Giorno: 1 novembre 2016

Lapidarium , di Flaminia Cruciani

Postato il Aggiornato il

LETTI SULLA LUNA (5)

Lapidarium di Flaminia Cruciani

vademecum” della rubrica Letti sulla luna:
L’intento è quello di incuriosire, e magari anche di spingere a compiere il passo ulteriore, piccolo ma significativo: approfondire, leggere altre cose, dire “sì mi piace”, oppure dire “Mugnaini non capisce niente, ha gusti da troglodita”.
Va bene tutto. Purché si metta in moto il meccanismo.Proporrò alcuni testi e qualche nota, nel senso musicale del termine, qualche breve accordo che possa dare un’impressione, un’atmosfera.
Se poi qualcuno, qualche essere semi-mitologico, volesse compiere anche il passo da gigante (quello alla Polifemo, o alla Armstrong sulla Luna, vera o presunta che sia) di acquistare una copia di uno dei suddetti libri… beh… allora il trionfo sarebbe assoluto e partirebbe la Marcia dell’Aida.

********************************************************

Lapidarium di Flaminia Cruciani

nota di IM

“A volte le parole suonano vuote come monete false”: è questa una delle pietre scagliate da Flaminia Cruciani dalle pagine di questo suo libro. E non c’è contraddizione, non c’è incoerenza: le parole qui sono sincere. Scomode non per il gusto di farsi vedere, ma per la necessità di essere davvero quello che si è. Il volume è fatto di frasi brevi, fulminee, folgoranti. Anche questo mio commento si adeguerà, sia perché lo richiede la tipologia delle segnalazioni proposte in questa rubrica, sia perché preferisco lasciare spazio e voce alle parole della Cruciani, la cui forza e originalità emergono in modo immediato e spontaneo, senza necessità di sottolineature o indicazioni specifiche.
L’autrice spazia dalla dimensione personale a quella sociale, o meglio, a quella in cui l’individuo è parte di un sistema più ampio, non di rado strangolante e disumanizzante. Allora, senza isterie, senza roboanti quanto vani proclami, la poetessa si china, ma non piegarsi o inginocchiarsi, per raccogliere, piuttosto, quello che la terra offre in abbondanza, le pietre. Materiale con cui costruire ma anche armi estreme di difesa. Le scaglia, senza foga,  potremmo dire senza scomporsi, restando elegantemente infuriata, divertita e dissacrante, adirata ma tranquilla, come chiunque sa di non avere niente da perdere, se non se stessa, la propria vera natura. Quella che, comunque, niente e nessuno potrà mai rubarle.
Quindi ogni lancio è ben ponderato e calibrato, la balistica è perfetta; è quella di una ragione che non pretende di avere ragione, di una follia conscia e contenta del suo sussistere e resistere dall’altra parte della barricata.
La sola solidarietà quindi è “Con quelli che si sentono sbagliati” e il desiderio è di “stare, bere, mangiare con loro”. La condivisione dell’umanità profonda, naturale, prima di tutte le sovrastrutture assurdamente imposte.
Lapidarium è un libro profondo che esalta la semplicità.
Un libro semplice di rara complessità. Non una sola frase è banale o lascia indifferenti.
Si può essere d’accordo o meno, si può reagire in modo empatico oppure trovarlo estraneo ed eccentrico, magari. Ma è quasi impossibile che lasci indifferente. La genuinità espressiva si unisce ad un’accuratezza nello scavo, nell’indagine che risulta vagliata da un occhio libero e acuto, disposto al gioco più impegnativo e rischioso: quello di mettersi in gioco, di gettare sul tavolo sporco della vita il proprio autentico sé, quello che si è davvero, ciò che si vuole e non si vuole, si ama e si odia.
Flaminia Cruciani fa tutto ciò con naturalezza profonda in questo libro atipico che ha già ricevuto ottime recensioni e segnalazioni su vari organi di stampa, oltre che sul web.
Io, parlandone qui ed ora, posso esprimere la mia personale empatia, il gusto di scoprire dietro ogni pietra un motivo per riflettere, per sorridere di questa imperfezione che è descritta senza pontificare, senza chiamarsi fuori; dicendo però, passo dopo passo, pagina dopo pagina, io sono qui e voi là. Vi ascolto ma non cambio, non mi lascio mutare dalla corrente imperante.  Perché “Se ci mettiamo in ascolto l’invisibile ha molte cose da dirci.” “Come si può pensare di ingannare il fuoco puro?”.
Aggiungo solo, questo sì, che la lettura è consigliata. 
Lapidarium è un libro in cui ogni parola va schivata per poi lasciarsi colpire in pieno, in un dolore condiviso e nel riso di chi sopravvive, a dispetto di tutto, senza lasciarsi mutare. Condividendo lo stesso vento e la stessa materia, la libertà, la forza, il coraggio della schiettezza.
IM
**********************************************

lapidarium-copert

estratti da Lapidarium, puntoacapo editrice, 2015
La semplicità è difficile.
*
Con quelli che si sentono sbagliati voglio stare,
bere, mangiare con loro.
*
L’invisibile non va in vacanza.
*
I moralisti non sanno che il giudicare è il
pharmakon con cui curano la loro frustrazione.
*
Quelli che stanno male tutta la vita, tenendo in
scacco matto i congiunti, e non muoiono mai.
*
Procedo dritta alla vigna nel mio versetto di
fuoco.
*
Le parole curano, sono miracolose, creano.
*
L’amore e l’odio vivono dello stesso sguardo,
quando l’angelo custode si volge
precipita il demone.
*
Essere rapiti dai propri sogni.
*
Meglio un delirio d’onnipotenza che d’impotenza.
*
I rapporti di sangue sono un’aggravante.
*
Chi è capace di tutto pretende di convincere
con le stesse parole con le quali ha ingannato.
*
Amo il pensiero funambolico e spericolato.
*
Stanotte, fra un incubo e l’altro, ho sognato che
mangiavo un piatto che si chiamava avverbi di
mare…?!
*
Lasciami far parte delle disubbidienze, delle
cose fatte per voglia fuori dai cordami, delle
amate trasgressioni. Attesa, come una stella
cadente.
*
Dietro a una santa ostentazione si nasconde
sempre una donna del campo.
*
Le idee dentro di noi diventano marmo quando
la possibilità si posa.
*
Prendere una direzione significa guardare un
punto immaginario in cui non arrivare mai.
*
Fuori da chiese e da templi, lontano da dogmi e
da comandamenti ci sono cuori innamorati di
Dio.
*
Oggi esercizi d’invisibilità.
*
Contro la stupidità non ci sono né armi né
farmaci.
*
Brucio sospesa fra terra e cielo, la mia radice è
la cenere.
*
Non ho vuoti di memoria su chi ha provato a
pulirsi i piedi sulla mia vita.
*
Potremmo anche smetterla di fare i doppiatori
di noi stessi. Che ne dite?
*
La ragione è il baluardo di chi viaggia a poppa
della vita.
*
Se ci mettiamo in ascolto l’invisibile ha molte
cose da dirci.
*
Come si può pensare di ingannare il fuoco
puro?
*
L’enfasi è l’apparato di note a margine di un
testo inesistente.
*
Mi dice “ho sbagliato”: no, tu sei sbagliato!
*
Il tempo dell’attesa non è un tempo dignitoso.
*
Quando lo Shaykh di Tell Mardikh,
preoccupato che a trent’anni non fossi ancora
sposata, mi chiedeva “Flaminia, quando ti
sposi?”, rispondevo “la fretta viene dal
diavolo!”
*
Il destino è la scusa di chi vuole mettersi in
pantofole in poltrona.
*

La gentilezza è una sentenza di vita.
*
La volontà esteticamente fondata spalanca il
cielo.
*
Ogni potere deve essere legittimato.

L’ignoranza è il funerale dell’anima.
*******************************************
recensione di Pierangela Rossi
<Amo il pensiero funambolico e spericolato>; <Contro la stupidità non ci sono né armi né farmaci>; <Brucio sospesa tra terra e cielo, la mia radice è la cenere>; <Se ci mettiamo in ascolto l’invisibile ha molte cose da dirci>.; <L’enfasi è l’apparato di note a margine di un testo inesistente>; <A volte le parole suonano vuote come monete false>; <E’ più facile cullare un drago che incontrare persone gentili>; <La realtà è un irrequieto susseguirsi di avvenimenti intermittenti>; <Ci sono fili che legano le ali dismesse>. <La poesia è una formula magica>;
<Anghelos è giunto / le ali ritagliano il profilo di Dio / porta una notizia / annunzia che il vento ha girato>; <Tuona di corallo il tuo sguardo>; <Oggi sono stata al mercato delle nuvole>; <La vita ricomincia da capo in ogni istante>; <Nello studio dove lavoro il mio capo è Dio>; <La voce è il numero civico dell’anima>.
Sono solo alcuni dei numerosi fulminanti aforismi o sintesi di poesia di <Lapidarium> (con la prefazione di Tomaso Kemeny) agile ma prezioso libro <lapidario> che la giovane poetessa Flaminia Cruciani (romana, lunghi studi archeologici e iconografici complicatissimi alle spalle) ha incuneato tra la poesia orfica di <Sorso di notte potabile> (LietoColle, 2008) e l’imminente <Semiotica del male>, in uscita da Campanotto. Esponente del movimento mitomodernista, è tra le ideatrici del Grand Tour Poetico e della Freccia della Poesia. E quel che scrive, pratica: è persona gentilissima.
Ci dice Flaminia Cruciani: <Lapidarium nasce come una risposta alla banalizzazione del pensiero omologato, al torpore della nostra società anestetizzata dalla tecnologia e dalla televisione, in questo eccesso di delega alla tecnica che ha modificato anche la nostra possibilità dell’esperienza estetica. È una denuncia su un mondo che ha dimenticato l’uomo, dove l’uomo si colloca sullo sfondo. Dove i valori non negoziabili sono stati negoziati. la dignità umana è stata disgiunta dall’idea di valore, di legge universale. Si scaglia contro le scelte abusive e dissennate delle grandi potenze che hanno sostituito il fine dell’uomo e della sua dignità con il denaro e la logica economico-strumentale. In cui il denaro da mezzo è diventato fine, e l’uomo da fine è diventato mezzo>.
Tra poco, con l’uscita di <Semiotica del male>, affronterà i demoni del nostro tempo, anche in poesia: chiosa Kemeny nella prefazione: <Flaminia Cruciani respinge con ira ed eroismo il richiamo del tripudio eudemonico, pare chiaro come il soggetto metamorfico della scrittura preferisca morire piuttosto che vivere come un comune mortale>.
Speriamo che Flaminia, come del resto accade in molti punti di <Lapidarium>, conservi, nella sua complessa ricerca poetica, quell’ equilibrio che umanamente sembra evidente lei possegga, negli strati più alla luce e anche più profondi del suo sentire. Equilibrio, lei sottolinea, funambolico in un mondo malato.
Flaminia Cruciani
Lapidarium
Pagine 52. Euro 10
Puntoacapo editore

 

cruciani-5


********************************************************
recensione di Gianluca Conte
pubblicata su http://glucaconte.blogspot.it/2016/03/lapidarium-di-flaminia-cruciani.html
«La realtà è un’allucinazione condivisa» (p.7). Potrebbe bastare questo fulminante incipit, questa brevissima e temibile isagoge, per costruire un intero edificio filosofico-letterario su Lapidarium di Flaminia Cruciani, puntoacapo Editrice, 2015. Sospeso tra lo status dell’aforisma e quello della prosa poetica, il libello della Cruciani affonda stilettate di sana e corrosiva ironia nel ventre molle dell’uomo d’oggi, coadiuvato da un’attenta analisi/sintesi di questa nostra contingente condizione antropica, pregna di un fiacco, invertebrato individualismo sociale. Se per un pensatore imprescindibile come Schopenhauer il mondo non era nient’altro che una rappresentazione e il noumeno kantiano, la “cosa in sé”, diventava l’inconsapevole, eterna, unica e cieca volontà di vivere, avvolgendo di un pessimismo pressoché irriducibile l’umana stirpe in saecula saeculorum, l’“allucinazione condivisa” della Cruciani cerca di squarciare la grande illusione, l’infinito, sterminato velo di Maya rappresentato dal nostro sonno della ragione. Le parole-rasoi cruciane sembrano indicare un sentiero di liberazione dalle convenzioni, dai convincimenti comuni e allineati, infine dal non-pensiero post industriale e post boom economico, che ci vorrebbe omologati, seriali: «Con quelli che si sentono sbagliati voglio stare, bere, mangiare con loro» (p.9). Così, se le vie della salvezza schopenhaueriane erano l’arte, la morale e l’ascesi, l’autrice sembra suggerire una via forse più facile da individuare ma molto difficile da percorrere, quella del risveglio, soprattutto in senso intellettuale: «Lasciami far parte delle disubbidienze, delle cose fatte per voglia fuori dai cordami, delle amate trasgressioni. Attesa, come una stella cadente» (p.13). Ed è proprio in quelle “cose fatte per voglia fuori dai cordami” che ha sede, a nostro avviso, l’issue del frangente temporale odierno, in cui la stragrande maggioranza dei pensieri e delle azioni è eterodiretta o quantomeno condizionata. Già Marcuse, molti anni orsono, metteva in guardia dai bisogni indotti e ingannatori, creati a tavolino al solo scopo di schiavizzare l’uomo, di renderlo succube di quel superfluo che per Pasolini rendeva superflua la vita. Prima di loro Marx aveva individuato, sulla scia di Feuerbach, il processo di alienazione – l’estraniarsi della coscienza e dell’uomo da sé – e la dipendenza dell’individuo da quell’aura di misticismo che circondava gli oggetti, i prodotti (feticismo delle merci): cose che l’uomo pur producendo febbrilmente, in realtà non possedeva. Il medium cruciano, lo psicopompo che funge da soggetto/oggetto di una trasmigrazione dalla reificazione dell’umano alla Poesia, dal torpore al risveglio, è la parola, entità generante, donatrice di vita e, per certi versi, preziosa panacea: «Le parole curano, sono miracolose, creano» (p. 10). Ma in un mondo doppio, equivoco, dove lo spettro dell’apparenza è sempre in agguato, anche le parole possono rivelarsi bugiarde «A volte le parole suonano vuote come monete false» (p. 20). È questo il contrasto dell’ambivalenza insito in ogni essere, in ogni organismo, anche nella più elementare particella dell’universo. Tuttavia, nonostante la causticità e le bordate impietose indirizzate ai tanti buffoni di corte, l’autrice non declina il suo sentire nella mera invettiva ma, stigmatizzando l’unidimensionalità dell’individuo, sembra teorizzare una nuova Philía, riservata ai soggetti che si riconoscono nella differenza, nella lateralità: «Prendere una direzione significa guardare un punto immaginario in cui non arrivare mai» (p. 14); «Se ci mettiamo in ascolto l’invisibile ha molte cose da dirci» (p. 17) e ancora: «La vita ricomincia da capo in ogni istante» (p. 43). Le parole della Cruciani, dense di suggestioni psico-foniche, appaionoverba dai richiami rizomatici, che a tratti ci ricordano il tentativo di rovesciamento dell’espressione dicotomica universale dell’“Io-Altro” deleuziano, compongono uno zodiaco di segni topici, di parole solide: làpis è, ad un tempo, pietra e matrice del segno e, in quanto tale, dinamicamente dura. Lapidarium è un vortice poetico, una spirale di “stelle danzanti” che sembra opporsi a tutto ciò che Nietzsche apostrofava come décadent, come l’immobilismo e il fatalismo dell’uomo contemporaneo: «Le cose accadono se noi le strappiamo al destino» (p. 48).

*******************************************************

cruciani-2cruciani-4

Flaminia Cruciani – note biografiche
Romana, si ė laureata in Archeologia e storia dell’arte del Vicino Oriente antico, presso Sapienza Università di Roma sotto la guida del Prof. Matthiae. Ha poi conseguito il titolo di Dottore di Ricerca in Archeologia Orientale nella stessa università per poi perfezionare i suoi studi con un Master di II livello in “Architettura per l’Archeologia – Archeologia per l’Architettura” per la valorizzazione del patrimonio culturale. Per lunghi anni ha partecipato alle annuali campagne di scavo in Siria, in qualità di membro della “Missione archeologica italiana a Ebla”. Ha poi conseguito una seconda laurea in “Storia dell’arte”. Ha tenuto annualmente corsi nella cattedra di “Assiriologia”, presso Sapienza Università di Roma, sul rapporto fra l’iconografia e i testi nella tradizione mesopotamica. Si è specializzata inoltre in Discipline Analogiche, attraverso lo studio dell’Ipnosi Dinamica, della Comunicazione Analogica non Verbale e della Filosofia Analogica, conseguendo il titolo di Analogista, pratica una professione di aiuto per la lettura e la decodifica delle dinamiche emozionali profonde. Ha inoltre inventato il “Noli me tangere®”, uno strumento fondato sul potere evocativo delle immagini in grado di favorire il processo di individuazione della persona. Nel 2008 ha pubblicato Sorso di Notte Potabile, ed. LietoColle. Del 2008 è Dentro, ed. Pulcinoelefante. Nel 2013 ha pubblicato Frammenti, ed. Pulcinoelefante e nel 2015 Lapidarium, ed. Puntoacapo, con la prefazione di Tomaso Kemeny. Semiotica del male è uscito nel 2016, ed. Campanotto. Suoi testi letterari sono presenti in numerose antologie italiane e straniere. Ricordiamo la recente 42 voci per la pace ed. Nomos.
Suoi testi poetici sono stati tradotti in inglese, coreano, rumeno e spagnolo. È stata selezionata fra i giovani poeti italiani contemporanei per il Bombardeo de Poemas sobre Milán, opera del collettivo cileno Casagrande. È tra i fondatori e gli ideatori del Grand Tour Poetico e della Freccia della Poesia.

cruciani-1

DALLA CANICOLA AL BLU E ALTRE STORIE

Postato il

LETTI SULLA LUNA (4)

luna-1

 

Il quarto libro segnalato è Dalla canicola al blu, di Lorenzo Falletti. Si tratta di racconti, un genere che consente una gamma molto ampia di variazioni sul tema, voli panoramici  e scavi psicologici. Schizzo e dipinto dettagliato, abbozzo e disegno accuratissimo. Ho apprezzato i racconti di Falletti, come ho scritto anche nella prefazione di cui pubblico uno stralcio. Assieme al parere di una scrittrice-lettrice, Viviana Albanese, che ha voluto e saputo manifestare con sincera schiettezza e nitida partecipazione le sue impressioni e le sue emozioni.

Anche in questo caso, per chi sarà incuriosito, buona lettura; che, è, alla fine, quello che conta.

IM

****************************************************************************

 

vademecum” della rubrica Letti sulla luna:

L’intento è quello di incuriosire, e magari anche di spingere a compiere il passo ulteriore, piccolo ma significativo: approfondire, leggere altre cose, dire “sì mi piace”, oppure dire “Mugnaini non capisce niente, ha gusti da troglodita”.

Va bene tutto. Purché si metta in moto il meccanismo.Proporrò alcuni testi e qualche nota, nel senso musicale del termine, qualche breve accordo che possa dare un’impressione, un’atmosfera.

Se poi qualcuno, qualche essere semi-mitologico, volesse compiere anche il passo da gigante (quello alla Polifemo, o alla Armstrong sulla Luna, vera o presunta che sia) di acquistare una copia di uno dei suddetti libri… beh… allora il trionfo sarebbe assoluto e partirebbe la Marcia dell’Aida.

luna-2luna-3

Lorenzo Falletti, DALLA CANICOLA AL BLU E ALTRE STORIE, puntoacapo Editrice, Pasturana 2016, pp. 100, € 12,00

Un estratto dalla prefazione

Una verve comunicativa generosa e barocca quella dei racconti di Lorenzo Falletti. Uno specchio della sicilianità delle sue origini, fatta di sole, leggende, verità, iperboli sospese tra ponti concreti e immaginari, grandezza e sofferenza. A lato di tutto, in posizione pigramente attiva, tra coinvolgimento e atavico distacco, lo sguardo osserva la vita che suda, sbraita, si agita, corteggia e si fa corteggiare, irride e si rende ridicola, una goccia di sudore che scalda e placa al contempo: l’ironia. E una forma agra di indagine sull’esistere che un siciliano di Girgenti, tra drammi e farse, a suo tempo teorizzò e mise in pratica: il sentimento del contrario.

L’umorismo, anche nei racconti di Falletti, è ancora di salvezza, rifugio e schermo contro i colpi e gli spari della verità, quel sangue troppo caldo e troppo vivo. Falletti erige una barriera protetta da un cancello di ferro, ma di un ferro particolare, robusto ma mai pesante, mai ingombrante e goffamente massiccio. La danza barocca della parola è fatta di volute rotonde e lente, ghirigori e arzigogoli: un’esuberanza di aggettivi posti ovunque, sparsi come semi in un campo, rosseggianti e maturi come fichi d’india. Ma la crescita non è mai caotica nelle narrazioni di questo libro. C’è, accanto e dentro al rigoglio espressivo, un altrettanto saldo controllo, un rigore geometrico che impedisce di strafare e “stradire”.

Ciò è reso possibile dall’altra inclinazione naturale dell’autore, quella che poi è sfociata nella sua occupazione professionale, la recitazione. Nell’arte teatrale, lo sappiamo, tutto è tempo e il tempo è tutto. La misura quindi, anche qui, nelle storie registrate nella memoria e raccontate con gusto, contrasta e regola la sovrabbondanza senza togliere nulla della freschezza e della follia, del profumo e dell’eco della vita vissuta. È come se Falletti si facesse regista di se stesso e dei suoi personaggi, delle vicende che mette in scena sulla pagina.

Il risultato di questo connubio è un insieme godibile e originale di affabulazione e sostanza. Le trame sono sempre ben ritmate, mai lente o apatiche. Ma non c’è spazio neppure per una frenesia approssimativa e affastellata. Le descrizioni sono ricche di dettagli e di colore ma mai meramente estetizzanti o poste lì per puro sfoggio.

Il suo bagaglio magicamente s’aprì rovesciando una notevole quantità di piccoli oggetti: stelline, cilindri in metallo, palline, molle, marionette, tremule uova fritte in lattice, fazzoletti colorati ed altri aggeggi non catalogabili con nomi cristiani. Lo scroscio della pioggia di faville catturò l’attenzione di una bambina. Nei suoi occhi si specchiò la saettante follia dei balocchi.”

In questo esempio tratto dal racconto d’apertura, “Dalla canicola al blu”, si coglie in modo immediato la generosità espressiva a cui si è fatto cenno, quasi una volontà di dare al lettore non solo più dettagli possibili ma anche suggestioni, coordinate sensuali, odori, colori, sfumature visive, ed anche mentali. Come un pittore che aggiunge pennellata su pennellata, strato su strato, per giungere a rendere quasi tangibile quella “saettante follia dei balocchi”.

C’è anche un tocco di poesia, nelle trame di questo libro. Potrebbe sembrare fuori luogo, o apparire ridondante o puramente esornativa, se, a ben vedere, non fosse essa stessa sostanza, materia, o complemento mentale di quei riferimenti oggettivi, ed oggettuali, di cui le storie narrate abbondano.

Ivano Mugnaini

faletti-copert

Lorenzo Falletti, DALLA CANICOLA AL BLU E ALTRE STORIE

Io non sono una lettrice di racconti, la narrazione breve non è la mia misura, soffro quando capisco che c’è del non detto e che quel non detto avrebbe potuto essere funzionale alla storia, magari donandole un po’ di forza in più, rendendola più completa. Questa mia convinzione è stata smentita dal primo racconto di questa raccolta Dalla canicola al blu, che dà anche il titolo al volume.  Si tratta di un racconto abbastanza lungo e questo può sicuramente avermelo fatto apprezzare di più, ma ho trovato tra le righe una storia così potente e dei personaggi così profondi da farmeli amare e comprendere come quando si viene rapiti da un buon romanzo. Il protagonista Vincenzo Cassarisi è intenso, appassionato e pieno di contraddizioni e queste caratteristiche lo scrittore le fa assaporare tutte al lettore: la vita sregolata, fino alla fine, e la voglia di normalità, il tentativo di formare una famiglia a costo di falsificarne le fondamenta, il bisogno del pubblico e del successo ma anche la necessità di tornare a casa dalla madre, da quell’unica certezza che aveva dovuto abbandonare anni prima. Non mi sarei aspettata tanto; da un racconto e da un autore la cui professione è l’attore teatrale mi aspettavo più descrizione scenica, più gesti accentuati, plateali e invece ho trovato una profonda analisi dei personaggi ed emozioni palpabili che arrivano dritte al lettore. 

Anche gli altri racconti sono intensi; qualcuno mi ha toccato più di altri, nonostante i temi trattati siano fondamentalmente gli stessi: diversità innanzitutto, fisica e mentale (Liberi dagli stracci e  Solo per i bimbi) ma anche sociale  (Il principe Walter) e la necessità di integrazione spesso negata a questi personaggi, una frustrazione che sfoga spesso in violenza indirizzata solitamente verso la direzione sbagliata, come succede in Cari vecchi jeans.

Ogni racconto potrebbe appartenere a un genere diverso, nonostante quel comune denominatore che è la diversità, ma uno su tutti mi ha colpito più degli altri ed è Il principe Walter. Qui l’autore infatti sorprende più volte il lettore, e non solo per ciò che accade, per la sequenza degli eventi, ma perché disorienta, trascina nella mente del narratore e ad ogni pagina ci si chiede chi sta narrando veramente e se chi sta narrando la storia è cosciente di quel che accade, se la dimensione è quella della realtà o quella onirica e, alla fine, si rimane con l’amaro in bocca e uno strano senso di circolarità degli eventi, della vita.

È un libro che consiglierei e a cui non riuscirei ad assegnare un genere. A mio parere in pochi racconti c’è tanta varietà da poter appassionare ogni tipo di lettore e tanta maestria da parte dell’autore nel raccontare storie e personaggi diversi tra loro, donando a volte speranza ma spesso solo un senso di predestinazione. 

Viviana Albanese

falletti-lettura

Qui di seguito la parte iniziale del racconto che dà il titolo al libro:

DALLA CANICOLA AL BLU

Aprì la porta sporgendo cautamente il capo all’interno.

Si trovò faccia a faccia con un silenzio irreale. Non era successo niente. Bene. Non era venuto nessuno. Bene. Entrò cercando di non far rumore.

– Mamma… mamma… dove sei?

Prima piano con un soffio di voce poi, prendendo coraggio, sempre più forte.

– Mamma… ci sei? – Entrò in cucina a passo felpato. Era lì sua madre, seduta,  assente, gli occhi infissi come chiodi sul muro bianco.

– Mamma, perché non rispondevi? –

Lei tacque imperturbabile. Aveva qualcosa di strano, di diverso dal solito in sè che per un attimo lo fece trasalire ma che non riuscì a cogliere.     

-Allora…? Sono venuti?- Lei tacque ancora.

– Non sono venuti. – aggiunse lui ed esitò un attimo.

Ancora silenzio. Infine, la provocò: 

-Insomma vorrei sapere cosa c’entri tu! Che se la prendano con me. E’ con me che devono veders…- 

– Gli devi settanta milioni non è vero? Dimmelo. –

 La voce atona di  sua madre gli strappò il fiato, cadde di peso a sedere. Un colpo a tradimento. Silenzio. Greve di vergogna, di imbarazzo. Le carni che bruciano. E durò, durò a lungo quel silenzio, un tempo infinito. Poi lei riprese a parlare, gli occhi perduti nel vortice profondo di un ricordo.

-E’un maschio Maddalena! Vedrai, sarà la nostra consolazione -.

Era di lui che parlava sua madre.

Vincenzo Cassarisi, professione Mago-comico-illusionista. Età, venticinque anni. Stato civile, nessun vincolo, neppure con l’aria. Sempre in fuga da tutto e da tutti. Personaggio  brillante,  ma  spesso in preda a uno stato nevrotico che ne vestiva l’esistenza. In quell’attimo, di fronte a lei, si sentì come trafitto dagli spilli alla schiena, ai piedi, dappertutto. S’alzò di scatto con le mani percorse da un tremito e  raggiunse il soggiorno. Lei doveva averlo visto così un milione di volte ma probabilmente aveva smesso d’esserne emotivamente coinvolta solo alla millesima, una madre è sempre una madre.

Vincenzo aprì il portafogli. Scontrini, appunti, biglietti del bus, come grossi coriandoli planarono sul pavimento. Incollò le dita su una banconota nuova di zecca arrotolandola. Poi, svuotando un piccolo involucro di cellofan, formò sul comodino una striscia di polverina bianchissima. Applicò la banconota  alla narice ed aspirò velocemente. Qualche secondo e si accorse che la stanza era a soqquadro. Con uno scatto si precipitò  in cucina.

-Sono venuti allora! Mamma perché non mi hai detto che… –

Ma di nuovo si interruppe giungendo alle spalle di lei. Posò lo sguardo, per la prima volta, sui suoi capelli estirpati  come  gramigna. In un secondo immaginò la scena. Fluirono nella memoria presenze sinistre. Quando era accaduto? Un’ora? Due ore prima? Forse meno. Rabbrividì. Una contrazione  allo stomaco lo aggredì deformandone i tratti del viso. A piccoli passi si pose di fronte a sua madre. Le si accovacciò accanto. Ne abbracciò  le ginocchia scarne, muto.

 – Vincenzo,Vincenzo…- un filo di voce, lucido e vibrante come quello di una ragnatela. Restarono così, secondi, forse minuti, di nuovo. Ma non c’era niente di nuovo in questo. Da giorni, da mesi, da anni. Vincenzo si alzò.

– Mamma, i tuoi capelli…-

– Che vuoi che mi importi dei capelli –

 Nuovo  lungo silenzio. Poi lei riprese.

– Dove vai  stasera? –

Vincenzo rispondendo ad un irrefrenabile istinto istrionico, assunse un piglio  professionale e malgrado la desolazione della casa per aria accennò ad una piroetta. Poi, con voce  brillante, diede inizio al numero. 

-Signori e signore, tra poco, su questo esclusivo palcoscenico, il grande Cassarisi mago-comico-illusionista, eseguirà per voi uno dei suoi spettacolari numeri. Nessun altro al mondo saprà infondervi la stessa suspance e lo stesso brivido! – S’avvicinò alla madre e sfiorandola con mano lieve fece apparire due coltelli tra le pieghe dei suoi abiti.

-Signore… ma cos’ha qui? Un armamentario! Siamo forse in presenza di un novello Jack lo Squartatore? Due coltelli? E questo cos’è? Un trancia polli? Ma che se ne farà mai di un trancia polli? –

Poi rivolto al  pubblico immaginario con teatrale “a parte”:

 – Ah, ho capito, con tutti i polli che ci sono in giro un borseggiatore che si rispetti deve circolare attrezzato. Bravo!

Lei lo osservava con  un sorriso amaro sulle labbra. Era rimasto l’adolescente di sempre. A saper leggere scovavi ancora, nell’adulto, i tratti infantili, come  sbavature di colore lasciate sulla tela da un pittore alle prime armi. Ripensò  alla faccia seria con cui da ragazzino fregava tutti giocando coi tappi delle birre. Gli guardava le mani, abili come sempre. Quante volte aveva richiuso la porta alle spalle di lui che arrivava rincorso dai compagni inferociti, mentre qualche tappo ancora gli scappava dalle tasche rigonfie dei calzoni corti. 

Con le scarpe pericolosamente slacciate e le labbra increspate da un sorriso, correva Vincenzo, all’impazzata, sul ventre tremulo di quell’afa pomeridiana che sorgeva dalla terra sfocando la campagna, laggiù, in fondo alla stradina polverosa. Lei se lo stringeva al petto, forte, con complicità. Che altro poteva fare davanti a quel sorriso? Quei  denti bianchi come mandorle sgusciate finivano sempre per abbindolarla. Si sentiva ancora addosso il  suo umore selvatico di furetto.

Non aveva mai voluto smettere di giocare Vincenzo ma non si aspettava che quelli se la prendessero con lei.

 

– Adesso, gentile pubblico, avrei bisogno di qualcuno uscito di fresco dall’ospedale. No, non lei… ho detto dall’ospedale non dalla galera. No, lei no… lei neppure… oh, santo Iddio!

Fu la voce di sua madre a distoglierlo dalla  performance.

-Vincenzo, smetti per favore! – Vincenzo s’arrestò di colpo.

– Devi andartene. Lo hanno detto quelli.

Quelli” ebbe l’effetto del vischio sulla pelle, una sensazione di caldo paralizzante. Solo dopo qualche secondo  gli bastò l’animo per trascinare lentamente una sedia. Le sedette accanto. Poggiò il viso su ciò che restava dei suoi capelli. Lei socchiuse gli occhi. Con la mano diafana carezzò la sua pelle di bambino. Ne avvertì il profumo e non avrebbe voluto.

Fu il suono della voce di Vincenzo, questa volta, a giungere come rimedio ad un salto nel vuoto.

– Ce ne andremo insieme mamma .-

– No – Rispose lei decisa.

-Ma non posso lasciarti in balia di quella gente! Rifletti: oggi hanno fatto questo ma domani? –

-Non ci sarà nessun domani se dovessero tornare e trovarti in casa.

Devi sparire… solo così  mi lasceranno in pace. Questo hanno detto. E’ una grazia, Vincenzo, l’ultima… per me e per te.-

Ancora una lunga pausa.

– Ma dove vuoi che vada mamma…? –

– Dovunque, purché tu vada, poi si vedrà. –

 

Lui non disse una parola di più. Attraversò lentamente il soggiorno e giunse in camera sua. Preparò il bagaglio. Solo una valigia, neppure troppo grande.

Il mago Cassarisi aveva ben poco da portare con sé. Un bagaglio fatto di giochi, di trucchi più che di indumenti. Importava assai a Vincenzo di coprirsi; il freddo era dentro. Un freddo che solo la risata del pubblico riusciva a dissolvere. A fine spettacolo puntava lo sguardo sulla gente, sulle sciarpe colorate, su trecce, cappelli, sul goffo barcollare dei bambini assonnati imbacuccati nei cappotti. Al diradarsi di quell’ordinaria umanità scompariva dietro le quinte. Gettava alla rinfusa nella valigia i ferri del mestiere per raggiungere col  tremito in corpo il primo anfratto che gli capitasse a tiro per incontrare la sua compagna. Lei, impalpabile dama, gli si concedeva ormai per tempi sempre più fugaci, negli anni era diventata avara.  (Certe amanti svaniscono all’improvviso lasciandoti in ricordo solo la scia di  un profumo struggente.)

Sua madre ne avvertì la presenza alle spalle. S’era arrestato sulla soglia della cucina, valigia alla mano, bloccato da una dolorosa riluttanza. 

Lei era di nuovo assente, come scissa in mille particelle sull’universo bianco di un muro. Vincenzo tornò indietro e s’avviò all’uscita. Senza rumore chiuse alle sue spalle l’uscio di casa. Due lacrime urlarono, scivolando sui solchi precoci del viso lei. 

 

Un treno, uno qualsiasi- pensò il giovane prestigiatore avviandosi verso la stazione.-

Ma tu guarda- borbottò tra sé – un mago a cui tocca fuggire come un ladro! Ma, in fondo, tutti i ladri sono un po’ maghi. Solo che i ladri spesso, assieme alle cose, rubano anche i sogni delle persone. I maghi, almeno quelli, sono ben lieti di regalarteli.

Trovò, comunque, giusto fuggire. Non era stato molto furbo da parte sua far sparire “per gioco” un sacchetto di coca da una certa valigia. I sacchetti di coca non sono fazzoletti colorati e poi, dettaglio tutt’altro che trascurabile, quelli a cui lo aveva soffiato non erano certo tipi da apprezzare i lazzi dei fantasisti. Gli tornarono in mente, una ad una, le loro facce bovine. 

Affrettò il passo guardandosi intorno. Camminò sui grossi granuli di pietrisco scuro dei binari avvertendone le sporgenze aguzze attraverso le suole sottili.

– Maledette gambe!- pensò – ti portano sempre dove non vorresti- ma meglio una multa o un taglio al piede che il frequentato sottopassaggio.

Il primo treno in partenza dalla stazione di Messina era sul binario tre.

“Messina – Milano” c’era scritto sulla tabella gialla. Poteva andare bene. Come posto gli parve abbastanza distante. Eccessivo fuggire in Brasile e quella sera stessa. Al biglietto e ai documenti non pensò minimamente, lui aveva i suoi. Era o non era un mago? Ma un momento… quello su cui stava per salire non era  forse un vagone letto? – E allora? – si rispose – e subito si ridacchiò addosso valutando che non avere prenotazione fosse un problema altrettanto  ridicolo.

Detto-fatto, si ritrovò a percorrere il corridoio riscaldato alla ricerca di uno scompartimento tranquillo. Ne scelse uno ma, mentre stava per varcarne la soglia, il suo bagaglio magicamente s’aprì rovesciando una notevole quantità di piccoli oggetti: stelline, cilindri in metallo, palline, molle, marionette, tremule uova fritte in lattice, fazzoletti colorati ed altri aggeggi non catalogabili con nomi cristiani. Lo scroscio della pioggia di faville catturò l’attenzione di una bambina. Nei suoi  occhi si specchiò la saettante follia dei balocchi.

– C’è un mago! –

Un trillo, una sorta di richiamo che parve il dipanarsi di un festone tra le grigie  pareti della vettura.

Al mago era capitato spesso di aprire la valigia davanti alla polizia locale (che lo conosceva bene) o negli angoli bui delle stazioni quando dimenticava in quale giocattolo aveva nascosto la roba di riserva.  Gli fece piacere che, per una  volta, qualcuno aveva pronunciato la parola giusta, semplice e magica, appunto. Troppo spesso passava per un rappresentante di giocattoli o per un piazzista qualunque. Che fosse un mago, insomma, nessuno lo aveva mai supposto, neppure per sbaglio.

Vincenzo allora, davanti alla sua minuta spettatrice,  si produsse in un inchino sbilenco, un po’ per via dello sgangherato contrappeso che si ostinava a chiamare valigia, un po’ per via del corridoio stretto.

-Permette, signorina? Vincenzo Cassarisi, mago-comico-illusionista al suo servizio… –

Mentre lei lo fissava incuriosita, una donna s’inginocchiò, premurosa, a raccogliere i ninnoli. Vincenzo, allora, poggiò la valigia su uno dei posti letto. Si ritrovarono in tre a riempirla nuovamente, in preda ad una strana euforia.

Richiuso il bagaglio si presentarono. Il quarto viaggiatore, un uomo sulla cinquantina, distinto, dai capelli brizzolati, non aveva fatto una piega.

Il mago pensò ad un viaggiatore solitario. Dopo poco, senza scomporsi, l’uomo parlò.

– E’ proprio certo di avere un posto assegnato qui? –

Lui guardò la donna, osservò le sue curve, i suoi occhi verdi, i capelli corvini. Era molto bella. Come avrebbe potuto rispondere di no?

– Sì certo, vediamo, vediamo… questa deve essere la cuccetta numero 151. Si, è questa. Permette? – proseguì Vincenzo, avvicinandosi all’uomo con la mano protesa.- Vincenzo Cass… –

– Sì, ho sentito – fece quello, senza distogliere lo sguardo dal buio pesto del finestrino.

– Cordialità commovente.- sussurrò ritraendosi Vincenzo. Donna e donnina, accennarono ad un sorriso impacciato.

Il nome di lei, della donna, era Cecilia.

A lui parve proprio un bel nome. Anche le sue gambe gli parvero belle, perché erano belle: tornite, nervose, diritte come due sedani.

– Ma perché, i sedani sono diritti? – Si domandò, chiudendosi in una delle sue profonde digressioni. – Se aveva fatto questo pensiero, certo un motivo  doveva esserci. Forse perché un bel sedano, oltre che cotto, va anche gustato crudo, fresco e croccante. – Sì, forse ci sono – pensò – in fondo ogni volta che mi piace una femmina mi dico sempre: “Questa me la cucino” no? –

– Guarda – disse, sedendosi, alla bimba – guarda cosa ti regalo. – e portò la mano in tasca – regaliamo a… come si chiama la piccola, scusi? –

– Marinella- rispose pronta Cecilia, che già  gli indirizzava sguardi tutt’altro che di  circostanza. Lui tirò fuori dalla tasca un agnellino di plastica che animò premendo una molla alla base. Lei rispose con un sorriso convalescente, come la traccia  di luce sul volto di una bambola consunta dai giochi.

– Bello! –

– Sta attenta però, mi raccomando, il lupo è sempre in agguato!

– Io sono lo zio. – rispose a denti stretti l’uomo.

-Scusi tanto, sa. Dev’essere stato il suo pelo grigio a trarmi in inganno. Certo, se ora la bimba  mi rassicura. Proviamo a chiederlo a lei. Questo signore è tuo zio non è vero ?

– Lei, giovanotto, è un po’ troppo impudente per i miei gusti! –

– Lei, invece, pare essere un lupo alquanto maleducato. Ops, scusi… volevo dire uno zio alquanto maleducato! –

Le donne soffocarono nuovamente una risata. L’uomo, dopo una lunga pausa, si alzò e contenendo il disappunto  gli andò incontro con la mano protesa.

– In fondo non posso darle torto, sono stato un po’  scorbutico poc’anzi. Permette?  Dott. Angelo Petralia – Presentazione fatta. Un contatto che però, al mago, non piacque affatto. Aveva la mano viscida il tipo. Ripensamento troppo immediato per essere vero. Un mago sa scrutare le facce e gli occhi della gente, è da lì che si affaccia il cuore degli uomini sulle cose del mondo. Suo malgrado non riuscì a capire quale genere di rapporto legasse i tre. Ma in fondo siamo tutti degli strani viaggiatori, concluse. Certo, vedere  una  donna  così giovane in compagnia di un orso (anche se molto distinto)  in viaggio con una denutrita nipote da ospedale da poveri, non poteva che destare perlomeno curiosità. Per non parlare dello sguardo della bambina velato di  misteriosa malinconia.

Ma in quel momento ebbe altro a cui pensare: il freddo. Cominciò a sentirlo anche dentro. Infilò le mani in tasca finché non s’alzò col consueto scatto. Pensò alla toilette del treno. La raggiunse. Non che sperasse di trovarla libera ma quanto ci metteva quello ad uscire!? Nel corridoio s’era pure tolta la luce. In certi momenti pare che il tempo si fermi. Finalmente lo scatto della serratura. La luce che trafilò dall’uscio del bagno delle Ferrovie dello stato non temeva confronti con quella dell’eden. Entrò al volo. Girò più volte la maniglia sul rosso. Non s’apriva, bene. Tirò fuori la bustina di cellofan e la depose sul  ripiano di vetro della specchiera. Ma fu un attimo; un violento cambio di binario sbatacchiò lui contro la parete del bagno e la bustina dentro il WC. Biglietti… biglietti da centomila zuppi fradici, purtroppo in forma di polvere e a cui non sarebbe certo bastato il calore di un phon per tornare alla vita.