Mese: dicembre 2019

Lui soltanto . BUON 2020

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Un piccolo promemoria, personale e condiviso.

E un grande auspicio di umanità e bellezza per il 2020 a tutte e a tutti.

IM

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Polveri nell’ombra

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Though lovers be lost love shall not / And death shall have no dominion. Leggendo Polveri nell’ombra di Antonio Spagnuolo mi sono tornati alla mente, in modo graduale ma nitido, questi versi di Dylan Thomas: “Anche se gli amanti si perderanno non verrà perduto l’amore / e la morte non prevarrà”.

La traduzione come sempre può avere sfumature e accenti diversi ma la sostanza è netta, inequivocabile. Le parole chiave sono “amanti” e “morte” e la dicotomia che ne deriva si inserisce nell’amplissimo filone del binomio eros – thanatos. Le sfaccettature sono infinite, le gradazioni multiformi. L’accostamento tra i due termini è stato sviscerato e cantato con altrettante numerose modulazioni. Spagnuolo ha scelto in questo suo libro un approccio del tutto personale, assolutamente schietto e sentito. La poesia di Polveri nell’ombra pur conservando l’accuratezza lessicale e il rovello della ricerca della parola esatta, è, al contempo, un intenso, accorato omaggio alla memoria della donna amata. Spagnuolo tuttavia, per istinto, per perizia, e grazie alla sincerità (è giusto ribadirlo) di un sentimento che ha dato senso e lo dà tuttora ad una vita intera, ha evitato i baratri e i crepacci scivolosi del già detto, del patetico e del retorico fine a se stesso. Potremmo dire che la morte non prevale perché la poesia autentica (in tutte le accezioni del vocabolo) mantiene vivo un ricordo che non è semplice e patinata rievocazione ma è una forma di vita ulteriore, anche al di là dei confini fisici e cronologici.

È opportuno qui fare nuovamente riferimento ad una delle parole cardine citate nei versi d’esordio: “amanti”. L’amore a cui fa riferimento Spagnuolo, è, anche, amore sensuale, corporeo, umanissimamente concreto. Il corpo, grazie alla parola e alla sua capacità di rendere il ricordo assolutamente presente, quasi tangibile e percepibile, non si dissolve, resta lì, ad ispirare, a fare da riferimento costante per i gesti e i pensieri. La sensualità, sana ma assolutamente concreta, è sempre stata una delle caratteristiche della poesia di Spagnuolo: il corpo come strumento per esplorare non solo i sensi ma anche il senso, inteso come significato, potremmo dire “seme”, nel senso di interazione di realtà e sentimento, concretezza e sogno, indagine sull’essenza stessa dell’essere al mondo,  quindi, con un percorso circolare, torniamo al punto di partenza che è anche punto di arrivo: l’amore indaga, anche attraverso il corpo, sul senso dell’amore e quindi della vita. E viceversa.

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Un marziano del mondo e della parola

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Leggendo e osservando sui giornali e in televisione il teatro della politica e della vita attuale, mi è venuto spontaneo chiedermi cosa avrebbe detto Flaiano dei mirabolanti eventi e mutamenti e dei memorabili tweet con i controtweet.  Probabilmente avrebbe detto “Coraggio, il meglio è passato”. O magari avrebbe taciuto, osservando con occhio da realistico sognatore “con i piedi fortemente poggiati sulle nuvole”.

Una cosa è certa: mi è venuta voglia di ripubblicare un vecchio pezzo su Flaiano, in cui, tra l’altro, viene citata anche questa sua frase: “Io credo soltanto nella parola. La parola ferisce, la parola convince, la parola placa. Questo, per me, è il senso dello scrivere”.

Il mio auspicio è che, a dispetto di tutto, anche in questi giorni non si smetta di pensare.

E magari anche di scrivere.

Se poi vi va di farmi leggere le vostre parole, edite o inedite, lo faccio volentieri.

Il mio indirizzo è sempre lo stesso:  ivanomugnaini@gmail.com.

Così come è sempre lo stesso il mio sito: www.ivanomugnaini.it/  . Non è un panettone, ma anche il sito è artigianale. Garantito e senza canditi.

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ENNIO FLAIANO:

UN MARZIANO DEL MONDO E DELLA PAROLA

Ci manca Flaiano. Manca a questi tempi incerti e confusi, in questo autunno del mondo tra crisi globali e perdite d’identità, tra opportunismi e nuove barbarie, ma manca soprattutto agli italiani, un popolo ingegnoso e disincantato, forse troppo, tanto da scambiare ancora o troppo spesso la furbizia per intelligenza.

Con la sua arguzia e la sua dissacrante ironia, Flaiano ci avrebbe confortato a suo modo dicendoci “Coraggio, il meglio è passato”, e avremmo forse ricordato a noi stessi che il meglio va immaginato e costruito e non semplicemente aspettato.

Parlare di Ennio Flaiano, sceneggiatore, scrittore, giornalista, umorista, critico cinematografico e drammaturgo, è come raccontare l’Italia e gli italiani nelle loro molteplici sfaccettature. Come un diamante la sua scrittura ha tagliato, sviscerato,  sferzato e irriso i nostri vizi e le nostre virtù e lo ha fatto in nome di una fede profonda e assolutamente personale nella parola. Io credo soltanto nella parola. La parola ferisce, la parola convince, la parola placa. Questo, per me, è il senso dello scrivere”.

Per Flaiano la parola non è mai solo espressione sonora o grafica di un concetto, è prima di ogni altra cosa essa stessa spettacolo, commedia, tragedia, farsa, una menzogna che contiene innumerevoli verità. Rappresentazione costante e tuttavia sempre nuova e imprevedibile, allestita dalla Compagnia Quasi Stabile della Vita.

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La parola e l’abbandono

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Il titolo del libro di Mauro Germani, quasi ossimorico, ci offre una prima indicazione su una delle caratteristiche più rilevanti, sia del volume specifico che della poetica dell’autore: la capacità di guardare il mondo e se stesso, la realtà e il pensiero, con uno sguardo sincero in grado di cogliere e descrivere anche il lato in ombra, the dark side of the world, potremmo dire. Non per il gusto del piangersi addosso o allo scopo di esaltare, per contrasto, ipotetiche ed improbabili Arcadie o mondi perfetti, tanto distanti quanto inconsistenti. Per la necessità, semmai, di una documentazione precisa, compilata in modo razionale e partecipato (altro ossimoro chiave). Questo libro ha anche il sapore e la consistenza di un diario di viaggio, un giornale di bordo su cui vengono annotati i resoconti, il bilancio del dare e dell’avere.

Come ha opportunamente indicato anche Marco Molinari nella recensione al libro pubblicata su “L’Eco di Mantova” di cui qui sotto viene riportato uno stralcio, il fulcro del libro sono le riflessioni, gli aforismi e le massime che Germani ha raccolto in un trentennio, e “che hanno al centro il rapporto stretto fra vita e poesia, i contributi dei grandi autori che ha amorevolmente coltivato e, soprattutto, un’etica della scrittura che per lui è stata importante quanto forse lo stesso fare poetico”.

Progetto condotto con rigore, senza mai dimenticare tuttavia, è giusto sottolinearlo, la possibilità (necessaria) di conciliare la consistenza con la “leggerezza”, a tratti perfino con l’ironia. Sì, perché l’interrogativo, the question, avrebbe detto il Principe di Danimarca, non è di poco conto: si tratta di stabilire, o almeno di chiederci, se, considerata La solitudine della parola (è il titolo di una delle sezioni) e presa coscienza dell’ineluttabile abbandono a cui perfino la parola è soggetta, abbia senso scrivere. Non solo, se abbia senso vivere, con la parola e per la parola, per quella “cosa” indefinita e onnicomprensiva chiamata poesia.

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Ostinate morfeologie

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Il presente articolo nasce dalla presentazione congiunta dei libri Ostinato di Cinzia Della Ciana e Morfeologie di Stefano Taccone che ha avuto luogo il 22 novembre scorso alla Libreria Blu Book di Pisa nell’ambito del ciclo di Incontri “Autori allo Specchio” proposti dall’Associazione AstrolabioCultura diretta da Valeria Serofilli.

Sono stato invitato in qualità di “curioso ponente domande” in quanto conosco e stimo da tempo entrambi gli autori, di cui ho già letto vari libri scrivendo in proposito anche qualche mia impressione di lettura.

In questo articolo propongo alcune delle domande poste agli autori da me e da Valeria Serofilli corredate dalle risposte degli autori.

Aggiungo in calce a ciascun “dialogo” anche una mia nota (musicale, spero, in assonanza) ai due libri presentati, ciascuno (per via diverse ma per molti versi convergenti) originali e interessanti.

Buona lettura a chi vorrà.

 IM 

 

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 DOMANDE A CINZIA DELLA CIANA

RIGUARDO A OSTINATO

 

Domande di Ivano Mugnaini

  1. Ostinato è un titolo perentorio e accattivante. Ce ne puoi spiegare l’origine? Si tratta di un parto immediato, per così dire, o è stato gradualmente concordato con l’editore e i tuoi collaboratori?

1) “Ostinato” è un titolo ambiguo, gioca sull’ambivalenza lessicale perché, se da una parte rimanda alla tenacia dello star fermo, dall’altra si muove nella musica per consentire il ricamo della melodia.

Ostinato porta un sottotitolo: “suite in versi”, proprio per indicare che è una vera e propria suite musicale e come tale ho orchestrato la sua architettura. Una sequenza di movimenti ciascuno con la propria andatura e la propria tonalità, con tanto di agogica. La sua particolarità è che è una partitura senza note, le parole e il loro combinarsi in versi la melodia. Sono arrivata a questo particolare parto grazie alla mia formazione pianistica che mi ha suggerito l’impostazione. La massa di liriche che avevo raccolto in quasi due anni di produzione è stata scremata, selezionata e organizzata in un piano d’opera che nel titolo voleva richiamare il cd. “basso continuo” della musica barocca.

 

2) Con questo tuo libro prosegue il tuo progetto, notevolmente interessante, di unire e fare interagire, in una specie di possente “cortocircuito”, parole e note, scrittura e musica. Da cosa trae origine questo abbinamento e quali sono le difficoltà che comporta e i vantaggi, le sensazioni più appaganti che dona l’accostamento tra i due ambiti espressivi?

2) Certo il libro è un ulteriore passo dopo “Passi sui sassi” di cui rappresenta la continuità, ma anche l’evoluzione. Qui, in “Ostinato”, la “musicalità” aspira a diventare “musica”, qui è il significante sonoro a condurre il tema senza tralasciare il materiale del significato. Leggi il seguito di questo post »