Mese: ottobre 2020

A TU PER TU – Chiara Rossi

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A TU PER TU

UNA RETE DI VOCI

Inauguro oggi la rubrica A TU PER TU – Una rete di voci.

L’obiettivo della rubrica è riportato qui sotto.

L’intento è quello di porre cinque domande fisse ad artisti e letterati provenienti da ambiti, nazionalità ed esperienze diverse ma accumunati dalla capacità di dialogo, dalla tendenza a “fare rete” creando connessioni e interazioni, quanto mai preziose nel tempo che stiamo vivendo.

Inauguro la rubrica con Chiara Rossi, di cui riporto in calce all’intervista anche un racconto e alcune note biografiche che ho ricavato dalla sua pagina di LinkedIn.

Chiara è giornalista, lavora nell’ambito dei progetti editoriali e di comunicazione, e scrive, tra l’altro, ottimi lavori teatrali. La lettura dell’intervista, del racconto e della nota biografica, forniranno un quadro più completo delle sue attività professionali e creative che, chi vorrà, potrà approfondire tramite i link riportati nell’intervista.

Presto pubblicherò le risposte di altri autori ed autrici.

Buona lettura, IM

L’obiettivo della rubrica A TU PER TU, rinnovata in un quest’epoca di contagi e di necessari riadattamenti di modi, tempi e relazioni, è, appunto, quella di costruire una rete, un insieme di nodi su cui fare leva, per attraversare la sensazione di vuoto impalpabile ritrovando punti di appoggio, sostegno, dialogo e scambio.

Rivolgerò ad alcune autrici ed alcuni autori, del mondo letterario e non solo, italiani e di altre nazioni, un numero limitato di domande, il più possibile dirette ed essenziali, in tutte le accezioni del termine.

Le domande permetteranno a ciascuna e a ciascuno di presentare se stessi e i cardini, gli snodi del proprio modo di essere e di fare arte: il proprio lavoro e ciò che lo nutre e lo ispira.

Saranno volta per volta le stesse domande.

Le risposte di artisti con background differenti e diversi stili e approcci, consentiranno, tramite analogie e contrasti, di avere un quadro il più possibile ampio e vario individuando i punti di appoggio di quella rete di voci, di volti e di espressioni a cui si è fatto cenno e a cui è ispirata questa rubrica.

 

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5 DOMANDE A

Chiara Rossi

 

1) Il mio benvenuto, innanzitutto. Puoi fornire un tuo breve “autoritratto” in forma di parole ai lettori di Dedalus?

Grazie per l’ospitalità squisita e pregiata, prima di tutto. Sono molto onorata di stare in compagnia di tanti Autori importanti e stimolanti.

Di me. ‘Longobarda’ di nascita, ligure di adozione: vivo a Santa Margherita Ligure, elegante borgo lambito dai lampi blu e dalle lingue verdi del mare, che ho il privilegio di ammirare dalle finestre di casa.

Sono giornalista pubblicista dal 1992, laureata in Esperto nei processi formativi e in Scienze dell’Educazione degli Adulti e della Formazione continua. Le mie esperienze professionali sono legate a progetti editoriali e di comunicazione, oltre che di consulenza e coaching nell’ambito della redazione di tesi di laurea in Scienze umane e psico-sociali e di writing coaching. Curriculum professionale e artistico completo su LinkedIn, www.imaginabunda.it   

Appassionata di scrittura (in tutte le sue declinazioni, ghostwriting compreso) & musica, viaggi & fotografia (adoro incrociare gli sguardi di persone che vivono in paesi lontani), sociologia delle religioni & cultura del mondo islamico, nonché di molte altre cose… credo fermamente nel LifeLong Learning e nell’utilità dell’Inutile, ossia dei saperi (meglio se contaminati e connessi) che, pur non producendo guadagno, migliorano l’Uomo. Nella mia ottica, sono più importanti le domande che le risposte e imparare che sapere; lo stupor è la molla di ogni conoscenza. È questo, che spesso mi fa trovare ciò che non sto cercando, facendomi sentire viva.

Soprattutto scrivo. Ritengo che scrivere storie – che a mio parere affondano sempre le loro radici nella Mitologia, in quanto rivelatrice di senso – sia un complesso progetto di ingegneria & architettura narrativa, in cui l’accuratezza intellettuale debba fondersi in curiosità, entusiasmo e competenze necessariamente trasversali: per concepire narrazioni occorre essere immaginatori di professione.

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“Il lume della follia”, domande e annotazioni

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Pubblico qui di seguito alcune domande a Prisco De Vivo riguardo alla sua attività letteraria ed artistica, con riferimento specifico al suo libro di recente pubblicazione “Il lume della follia”. IM

  1. Nella tua ultima raccolta di poesie, dal titolo “Il lume della follia”, in un verso reciti: “le cose del mondo che ti limitavi a tenere nascosto”. È la rappresentazione di un dolore vissuto?

Sì, rappresenta un doloroso vissuto di una persona a me cara, mio zio Gaetano, fratello di mia madre vissuto in manicomio; si è consumato nel silenzio e nell’ombra dell’indifferenza, di aspri egoismi e cattiverie.

  • Vorrei approfondire il tuo sguardo in materia di oscurità. Qual è la tua vertigine di solitudine?

La mia vertigine di solitudine, come tu la chiami, ha a che fare con il disincanto attraversando l’inciampo e la caduta, con lo stesso umore ho raggiunto quell’uscita dall’incombente oscurità. Tutto è dettato solo dall’amore verso gli altri e dalla chiarità delle proprie azioni.

  • Qual è il lato luminoso della follia?

Il lato luminoso della follia è rappresentato dalla genuinità di essere veraci, persone senza filtri fino al disgusto. La verità è nuda e ruvida, per niente estetica e per niente accattivante. Ebbene, questo è anche il perno principale di questa mia ultima raccolta di poesie dall’ossimorico titolo: “Il lume della follia”; testo viscerale e pulsante come un corpo nevralgico; un corpo scoperto coi suoi tendini, i suoi nervi e il suo sangue messo in luce.  

  • Riconosco che sei un uomo di fede, quanto è importante per te “la fede”?

In sintesi, “la fede” è davvero determinante. Dovrebbe essere fondamentale per ogni uomo. Ma, denoto che la questione religiosa, nel nostro attuale tempo, è del tutto secondaria. La mia esperienza di conversione al credo cristiano mi ha portato ad analizzare diversi aspetti della mia vita; a tendere, con vera autocoscienza, verso la redenzione ed a sopprimere l’inutilità di un vissuto speso verso la perdita e l’inconcludenza.

  • Può mai esserci una barriera alla banalità del male?

Credo che questa barriera non verrà abbattuta fin quando il seme dell’odio è fra gli uomini; ramifichi ed irrobustisca le sue radici verso il dissenso e la gratuità della violenza.

A tal proposito, Simon Weill diceva semplicemente: “Nessuno ha amore più grande di colui che sa rispettare la libertà dell’altro”. Eppure, tutto questo per l’uomo non dovrebbe essere così difficile e faticoso.

  • Secondo te, l’arte come la poesia è ricerca di perfezione e consapevolezza? Oppure, è solo una totale uscita dalle proprie insicurezze?

L’arte e la poesia migliorano profondamente l’essere umano. Ma, se vogliamo, la bellezza è custodita in ognuno di noi.

A tal proposito, vorrei citare George Bernard Shaw che quando si ritrovò ad osservare le opere di poesia di Michelangelo e le pitture della Cappella Sistina esclamò: “Si usano gli specchi per guardarsi il viso e si usa l’arte per guardarsi l’anima”.  

  • Quella sacralità del dolore che ritrovo nella tua ultima opera, sei sempre riuscito a riconoscerla?

Sì, sono riuscito a riconoscerla fin dall’adolescenza. In una mia vecchia lirica, dal titolo “Nel corpo della sofferenza”, parlai di un viaggio autobiografico nella profondità del proprio dolore; quel dolore che è visibile nella salvezza cristiana, quel “corpus doloris” che porta ad accettare il peso della croce ed a portarla con amore ed umiltà.

  • Ogni rumore ed ogni suono, in poesia, sono quasi solenni. Volevo capire, quando tu scrivi o dipingi hai bisogno della musica o del totale silenzio?

Sicuramente il suono ha una sua solennità. Se pensiamo, ad esempio, a “Barche amarrate”, dai “canti orfici” di Dino Campana in cui egli esprime fino in fondo la poesia farsi suono, quasi come se fosse uno spartito.

Per quanto riguarda la musica, sì, quando dipingo ascolto maggiormente da Bach a Bartok. Ma, devo anche confessarti una cosa che ci sono alcune canzoni che ascolto di rado, come: “L’oceano di silenzio” di Franco Battiato e “C’è tempo” di Ivano Fossati, oppure “Martha” di Tom Waits. Sono testi che scuotono il mio essere, mi lasciano naufrago in un dirupo di ricordi e di emozioni. Ma, penso che ciò accade a tutte le figure sensibili.

Ivano Mugnaini

TARANTA D’INCHIOSTRO note e considerazioni dell’autrice

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Ricevo da Valeria Serofilli alcune note riguardanti il suo libro di recente uscita, Taranta d’inchiostro, e, più in generale, concernenti la sua poetica.

A corredo delle note ho ricevuto dall’autrice alcune liriche tratte dalle varie sezioni del libro.

Le pubblico in calce assieme ad alcune foto e ad un video del prof. Aziz Mountassir.

IM

ALCUNE RIFLESSIONI

Di VALERIA SEROFILLI

Con particolare riferimento a Taranta d’Inchiostro, Oedipus, 2020

A mio avviso il significato assume senso e misura grazie al significante, in un connubio in cui tuttavia l’azione della parola assume un ruolo di ristrutturazione creativa della realtà. In questo senso potrei rispondere che il ruolo del significante è egemone, anche se forse una sintesi più esatta di quanto intendo può essere trovata in questo mio pensiero: “A mio avviso il senso del verso è da intendersi sia a livello logico che emotivo in quanto per scrivere poesia avverto l’esigenza di uno stimolo concreto, spesso di natura visiva” (1).

L’intento è il superamento della connotazione della realtà tramite la parola, senza tuttavia abdicare del tutto alla dimensione concreta ed efficace, al significato, al senso che il verso trasfigura tramite un significante, che la riscrive sia a livello logico che a livello estetico e sinestetico.

1) da: Valeria Serofilli, ” Amalgama” ne “La parola e la cura, I Quaderni di Poiein, Monografie di poeti contemporanei”, a cura di Gianmario Lucini, (puntoacapo 2010).

Nei miei versi penso che comunque vi siano l’uno e l’altro, cioè si riscontrino la preoccupazione dei “significati” e l’attenzione al gioco fonico e ritmico dei “significanti”; per la definizione di essi mio punto di riferimento è tra gli altri, la distinzione di Ferdinand De Saussure, che ispira e sottende lavori critici di grande valore come quelli di Gianluigi Beccaria consegnati al volume einaudiano “L’autonomia del significante”. 

Link con recensioni al volume:

Altri link di note critiche sui testi ancora inediti, poi confluiti nell’attuale pubblicazione, tra cui la nota del prof. Romboli poi divenuta l’attuale postfazione al volume:

http://www.literary.it/dati/literary/p/piazza/taranta_dinchiostro.html

https://www.google.com/amp/s/www.900letterario.it/poesia/taranta-di-inchiostro-serofilli-saggio-romboli/

Dalla Sez. I  LA TARANTA

La notte della taranta

(22 agosto 2015)

Quale ragno mi ha morso?

Prova col nastrino colorato/ amore

ma tanto già ne conosco il nome

come già ne so l’antidoto:

tu il veleno/ il contro veleno

la mia terapia coreutica

E abbracciati balliamo

in pizzica lenta

ad uccidere un ragno che non c’è.

Io il ragno

Mi tuffo dal soffitto/ per sprofondare

nell’abisso cristallino

a tessere la tela

dell’attesa e dell’aspettativa

Forse che

sono io il ragno

a misurare le distanze

tra dune di sabbia

ormai tarantata/ in notti senza sonno?

Conoscenza

È questa verità, tardiva

o il raggiungimento

di essa/ mio malgrado?

La ragnatela non serve

più/ me ne distacco:

ingombrante scaleo

di sapienza cui

ogni gradino ha acuito conoscenza.

Vecchiezza

Bulbo di memoria/ la conoscenza

cresce ad oltranza

«Sei pronta ad invecchiare con me?»

chiese il ragno alla sua tela

Ma la domanda giunse assai tardiva

alla ragnatela già bianca che

priva di forza e incanutita/ lasciò cadere

il suo ragno stanco/ ormai inerte

e questo facendo impronta di sé

reinventando il suo ieri.

Dalla Sez.II  RAGNATELA DEL MONDO

Lettera al figlio

Vorrei vedere nel film dei tuoi occhi

scorrere le favole di una volta

Riccioli d’oro/ nel bosco del tuo disincanto

E risuscitare elfi per guardia a castelli

e draghi per assalti fuori porta

raccogliere gocce per farne stagno

e ogni filo d’erba intrecciarlo a parco

perché non siano stanche le fate

mentre mi scuso per il dolore che ti darò

Il destino/ figlio è cosi:

siam tutti condannati ad essere estratti a sorte

ma tu e non io/ mi hai dato la vita.

Testo tradotto in arabo dal prof. Aziz Mountassir con video al link:

Dalla Sez.Sezione III LUZIANE

“L’insegnamento poetico di Luzi ha inciso molto su di te

cara Valeria e lo si vede bene nei tuoi libri ma è ovvio

che tu conservi una notevole originalità”.

Giuseppe Panella

(27 Gennaio 2019)

Per sua significazione 

Per sua significazione 

la non parola 

chiese al Poeta 

e si fece Poesia e significanza.

Forse che il cielo ci ha salvato entrambi

Forse che il cielo ci ha salvato

entrambi/ da una inutile vecchiezza

preservandoci

senza dubbio uguali

e quant’altro donandoci

ad uno ad uno e insieme

un paio d’ali?

Si cristallizza nel momento della recisione

Il fluire di sempre

si cristallizza nel momento della recisione

dal sé/ dall’altro, dal resto

Questo da sempre temeva/ questo ormai sapeva

per sempre impresso acquisito

nel momento in cui

non seppe più.

Dalla sez IV PAGANELLIANE

Contemplo in cielo

Il teatro di me/ la mia

Dispersa storia.

G. Luigi Paganelli: poesia del 2015 pubblicata 

sulla rivista “Paletot” g.c. da Claudio Frosini.

Funzione religiosa

Gremita era la Chiesa: 

non mancava nemmeno/ la sua migliore amica 

con quel cappellino 

accessorio integrante/ di quell’ultimo acquisto di 

Moschino 

La chiesa era gremita: 

il prete che tesseva/ le lodi di una vita. 

Più pregi o più difetti? 

Difettava semmai, la necessaria volontà di elencazione

non trattandosi, stavolta, di confetti

E tanti fiocchi

– Ma non rovinavano le panche? –

– Se al Matrimonio no, almeno adesso

le è concesso, anche se neri e non bianchi

Qualche pianto, più che altro rimpianto:

sensi di colpa per non averle più telefonato 

o non averla invitata a quel concerto

Ormai non usciva che di rado, del resto

Tanti i convitati al lugubre banchetto:

chi si batte a croce il petto,

chi ricerca/ disperato, un fazzoletto

Amava scrivere, soprattutto accanto al caminetto

– Una pura, direi, –

– ma la pigrizia, poi, dove la metti? –

Si/ perché c’era anche quella

in sapida componente con l’ ingegno

La Chiesa era gremita. C’è chi pensava, 

tra un pianto ed una rosa

che forse, in fondo, era più pazza che estrosa

inadatta alla vita, al contingente

C’era anche il Sindaco: non poteva mancare

In quanto pisana, se non una strada 

almeno questa presenza 

se la meritava

C’era il Prefetto, 

dispiaciuto per non averle concesso

il patrocinio

a quel suo ultimo progetto

– Se n’era andata così, mentre scriveva – Leggeva? –

– No, scriveva. A leggere le cose altrui non ci teneva.

Ma aveva il Premio… –

– si, ma la Giuria leggeva anche per lei –

Tanti i discorsi

sommessi

in fondo all’androne

C’era anche il ladro

col sacchetto vuoto/ del suo ultimo misfatto

C’era anche il gatto/ col fiocco nero d’organza:

non si è mai capito se l’amava

certo la seguiva ovunque

anche se a debita distanza

C’era la zia, più vecchia di lei

– L’avevo sognato: perdita di dente

morte di parente –

E c’era lui, assenza/ presenza

che di lei sapeva tutto e non aveva niente 

vestito a lutto impeccabilmente

ma un lutto artistico, con quella penna all’occhiello

ed il suo piccolo, immancabile ombrello

che forse pioveva e 

nero per fortuna, che si addiceva

La Messa è finita: andate in pace

No, aspettate, c’è una postilla

o forse un refuso:

“Da leggersi al momento opportuno: istruzioni per 

l’uso”.

(Testo finalista al premio L assedio della poesia 2020 presieduta da Antonio Spagnuolo e vincitrice del Premio della Giuria al Concorso “Tra Secchia e Panaro” 2020).

BIGLIETTO SOLO ANDATA

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copertina
Biglietto solo andata di Alessandra Solina

BIGLIETTO SOLO ANDATA

Ciò che maggiormente colpisce e rimane di Biglietto di sola andata è il coinvolgimento sincero, non fittizio, non di maniera. L’autrice, Alessandra Solina, ha manifestato nelle pagine del suo romanzo ciò che realmente ha vissuto e percepito, a livello emozionale. Sembrerebbe una caratteristica scontata, garantita, del tutto normale. Invece, se pensiamo ai fiumi di inchiostro deliberatamente appesantito da retorica densa e posticcia, se pensiamo all’ideologizzazione di tutto, persino di ciò che la comune appartenenza al genere umano dovrebbe rendere naturale, se pensiamo alla pletora di romanzi in cui la trama è poco più che un pretesto per permettere all’autore evoluzioni narcisistiche tipo selfie acrobatico con tuffo all’indietro carpiato, allora, sì, un romanzo atipico come quella della Solina merita sicuramente attenzione.

            L’atteggiamento di schietta fratellanza con gli esseri umani descritti e l’autenticità degli stati d’animo, perfino nei confronti dei personaggi negativi, hanno in questo libro un’influenza diretta anche sulla struttura narrativa. La “mimesi”, la capacità di identificazione con le persone e con gli eventi, determina qui anche il ritmo narrativo. In questo libro l’andamento è sostenuto. Il cuore vibra come uno strumento, un tamburo africano percosso da dita abili che ricalcano il battere e il levare delle vibrazioni, della speranza e del dolore, del nascere e del morire, del vivere e del lottare.

“Il mio romanzo è debitore ai molti incontri avuti nel corso degli anni con gli immigrati e i rifugiati politici, grazie all’attività svolta come insegnante di lingua italiana e successivamente come operatrice SPRAR (Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati). Ho ascoltato racconti incredibili per i nostri giorni, storie affascinanti di Paesi lontani che hanno risvegliato in me il desiderio di far capire sentimenti e sogni di questi uomini”, annota la Solina nelle pagine del suo blog.

            Sentimenti e sogni. Materia impalpabile, eppure essenziale. La più preziosa, ciò che realmente siamo e ciò che davvero possediamo. Tutto ciò conferma che Biglietto di sola andata non è un libro da leggere per svagarsi o per distrarsi magari mentre si fa qualcos’altro. Non è un libro per passare il tempo. Perché il tempo, tutto quello che c’è, e anche quello che non c’è ma che si vorrebbe avere, magari per cambiare l’orientamento del destino, è lì, in quelle righe compresse, tese come dita, come mani protese a difesa di ciò che di sacro ancora oggi rimane, la vita, i diritti, il desiderio di protezione anche di fronte alla violenza più cieca e inumana.

            Altra caratteristica di rilievo di questo libro è l’abbinamento o meglio la coesione spontanea tra il particolare e il generale, tra il dettaglio e la visione d’insieme. Il libro racconta i destini di un numero limitato di personaggi. Eppure, pur con le peculiarità di cui si è detto, la trama, gli uomini e le donne che la tessono e da cui vengono essi stessi tessuti e forgiati, è capace di assumere una dimensione allegorica, facendosi specchio di ciascun essere in lotta per la propria sopravvivenza, in senso stretto e in senso metaforico. È altresì una descrizione del tempo che stiamo vivendo, quello degli sbarchi che impongono la scelta tra accettazione e rifiuto, interessi e solidarietà. Al contempo è anche un quadro di più ampio respiro, una sintesi diacronica di tutti i viaggi fatti in cerca di un lembo di terra che possa consentire la sopravvivenza ma anche la realizzazione dei propri sogni.  

            La trama del romanzo è complessa, articolata. È giusto ed è bello che sia il lettore a scoprirla, individuando i rimandi, i richiami, l’intreccio dei destini che confermano quanto ogni essere umano sia in realtà il risultato di infinite combinazioni, incontri, scontri, dialoghi, interazioni in cui il dare e l’avere si sovrappongono in infinite variazioni sul tema. L’autrice stessa propone questa essenziale sinossi: “Nel romanzo i destini di giovani italiani si intrecciano a quelli di giovani stranieri evidenziando quanto la vita sia complicata a tutte le latitudini, ma altrettanto preziosa e degna di essere vissuta intensamente. Le figure femminili rivestono un ruolo chiave, poiché ritengo che siano le meno ascoltate in tutte le società. In Italia, come in Africa, seppur con caratteristiche diverse, la donna resta in secondo piano: nella nostra nazione costretta a scimmiottare l’uomo per poter raggiungere ruoli di potere, in Africa obbligata a fuggire oppure a subire violenze”.

Ne ricaviamo un elemento aggiuntivo, di assoluta importanza: l’attenzione per l’universo femminile. In un mondo esposto al pericolo, alla sopraffazione e alla violenza, la donna è in apparenza l’anello più debole. Ma tornando al discorso espresso poco sopra si può anche rilevare che la donna è forza creatrice, energia vitale che può incarnare, anche in senso stretto e letterale, la rinascita, il rinnovamento.

            Il libro di Alessandra Solina, è giusto confermarlo, non è stato scritto per narcisismo letterario né per dare voce ad una propria tesi o ad una visione del mondo da imporre. La motivazione profonda alla base di questo romanzo è un sincero moto della mente e delle emozioni. Ricordi, stati d’animo, sensazioni di fronte ai fatti di cronaca, alle morti, alle stragi ai danni del bello, del giusto e di tutto ciò che di autenticamente umano rimane su questo nostro pianeta. La Solina ha un amore autentico per tutto ciò che estende l’orizzonte. Ciò che va oltre le mura e i confini. Sente il fascino di ciò che è distante eppure a ben pensare è parte di noi. Percepisce le affinità nelle differenze (si veda ad esempio nelle pagine del romanzo l’utilizzo dei nomi, delle etimologie, delle assonanze). Ed è questo il vero senso della solidarietà: non la cancellazione delle differenze, non la volontà di uniformare. Il desiderio e l’attrazione, semmai, per ciò che unisce senza distruggere le specifiche peculiarità.

La lettura di questo romanzo equivale a viaggiare nella nostra realtà geografica e in terre lontane, nel tempo presente e in un tempo che ha le proprie radici nella memoria ma anche in una dimensione ancora tutta da scrivere, a seconda delle scelte che, anche individualmente, in qualità di appartenenti al genere umano, sapremo e dovremo fare. Questo è un racconto di avventure, un romanzo di formazione e, non ultimo, un invito a staccarci, magari tramite un biglietto di sola andata, dalle isole dei pregiudizi e degli egoismi, scoprendo la bellezza della diversità, il fascino di vedere il nostro stesso volto in volti con altri lineamenti, altri colori, ma con negli occhi la stessa sete di vita, le stesse necessità e gli stessi sogni.

                                                                                                         Ivano Mugnaini

NOTA DELL’AUTRICE

Il mio romanzo è debitore ai molti incontri avuti nel corso degli anni con gli immigrati e i rifugiati politici, grazie all’attività svolta come insegnante di lingua italiana e successivamente come operatrice Sprar (acronimo di Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati). Ho ascoltato racconti incredibili per i nostri giorni, storie affascinanti di Paesi lontani che hanno risvegliato in me il desiderio di far capire  sentimenti e sogni di questi uomini. Credo profondamente che il razzismo nasca dall’ignoranza, dalla non comprensione dell’altro, e che quindi soltanto attraverso la conoscenza sia possibile comprendere che nel profondo siamo tutti collegati da fili invisibili. Si dice che lo sbattere d’ali di una farfalla possa generare un uragano in un’altra parte del globo (The Butterfly Effect), allo stesso modo la sofferenza delle popolazioni del sud del mondo si riversa nelle nostre vite influenzandole, anche se non ce ne rendiamo pienamente conto.

Nel romanzo i destini di giovani italiani si intrecciano a quelli di giovani stranieri evidenziando quanto la vita sia complicata a tutte le latitudini, ma altrettanto preziosa e degna di essere vissuta intensamente. Le figure femminili rivestono un ruolo chiave, poiché ritengo che siano le meno ascoltate in tutte le società. In Italia, come in Africa, seppur con caratteristiche diverse, la donna resta in secondo piano: nella nostra nazione costretta a scimmiottare l’uomo per poter raggiungere ruoli di potere, in Africa obbligata a fuggire oppure a subire violenze.

Di seguito un breve estratto che riguarda una ragazza somala:

“Zahara. Nome che evoca terre aride e riarse come il deserto che nel nord taglia il continente africano. Zahara, estirpata dalle sue radici e costretta ad attraversare quel mare subdolo e dorato. Lacrime più calde della sabbia arroventata avevano solcato la sua pelle liscia. Lacrime sprecate al vento che faceva piroettare granelli nel vano tentativo di offuscare il sole. Gocce d’acqua che non avrebbero donato alcun sollievo alla terra, e non avrebbero prodotto neanche miseri germogli isolati. Lacrime che semplicemente si univano ai suoni misteriosi del vento, un canto disperato di berbere in lutto. Zahara, che come promesso dal nome datole alla nascita*, era di una bellezza disarmante. E la sua avvenenza sarebbe stata anche la sua rovina”.

Da “Biglietto Solo andata”, Alessandra Solina, Libeccio Edizioni, Gruppo CTL Editore, 2020

Immagine di copertina: “Sogno” dell’artista Xixi Wang

*nome di origine araba, utilizzato in varianti simili anche in lingua swahili, che significa “bella e profumata come un fiore”.