Mese: dicembre 2020

A TU PER TU – Stefano Vitale

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Delle risposte di Stefano Vitale all’intervista, mi ha colpito tra gli altri questo passaggio: “prendere posizione, attraverso la poesia e il disegno, sulle lacerazioni della contemporaneità, del presente. Non si tratta di un libro ‘ideologico’, perché l’intento principale è fare poesia ed arte. In questo caso misurandoci col presente, affrontando l’impoetico con mezzi poetici. E cercando di proporre una visione più universale dei temi che trattiamo. Lo spunto nasceva dall’indignazione per le politiche sull’immigrazione e l’accoglienza di tutti i migranti del mondo, dalla rabbia per la generale indifferenza, ma anche dall’esigenza di cogliere e rappresentare il sentire dell’uomo e della donna di oggi immersi in questa realtà”.
Ci sono in queste parole molti spunti, molti inviti, impliciti ma molto pressanti, alla riflessione, anzi alla necessità di chiamarsi in causa. “Affrontando l’impoetico con mezzi poetici”, scrive Vitale. E non è solo una frase bella esteticamente. Anche se la bellezza è forse, oggi più che mai, un’arma di difesa. L’impoetico lo sappiamo cos’è. Ognuno se lo trova davanti agli occhi, nei timpani e nel cervello ogni giorno. Ognuno ha il suo personale “rumore” da affrontare. E sappiamo anche che “rumore” in vari ambiti disciplinari, da quelli tecnici a quello filosofici, psicologici e linguistici, è molto più del semplice chiasso. È il frastuono della disarmonia. C’è da valutare allora le contromisure. Quali sono i mezzi poetici? Oltre alla parola, al verso, c’è ad esempio, la musica, e non è casuale in tale contesto il legame profondo di Vitale con la musica, soprattutto quella sinfonica, a cui accenna egli stesso nelle risposte.
Ma i mezzi poetici non sono solo strettamente artistici. Se l’indifferenza è il male per antonomasia di questi nostri tempi, bisognerà agire sul tasto opposto, creare un controcanto, un’azione uguale e contraria che eviti la caduta nel baratro. Sandro Luporini e Giorgio Gaber avrebbero scritto e cantato che “Libertà è partecipazione”. I confini, sia quelli reali fatti di mattoni e filo spinato, sia quelli mentali non meno solidi e laceranti, si abbattono nel momento esatto in cui si partecipa del dolore degli altri. Ritrovare un “sentire” autentico è la vera sfida. Ciò che ci restituirà la dimensione di uomini e donne. La nostra autentica umanità.
Coerentemente, Vitale ha una visione sobria e oggettiva. La speranza non è data “a priori”, va conquistata, va meritata.  Anche il suo sguardo sul mezzo tramite cui si esprime è schietto: “Ho sempre sostenuto che la poesia è una cosa fragile che però ha in questa fragilità la sua qualità, la sua forma di paradossale resilienza. […] La poesia dovrebbe, talvolta, obbligare il lettore a non distrarsi, a tendere lo sguardo verso l’inatteso, costringendolo anche a prendere coscienza di quel che si vorrebbe rimuovere. Così facendo la poesia prende sul serio i vuoti dell’esistenza, le fratture, le questioni irrisolte”.
Poesia quindi non come materia astratta ma come sollecitazione al gesto, alla presa di coscienza, alla rimozione delle mura e dei confini che non di rado lasciamo scavare nelle nostre menti.
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A TU PER TU
UNA RETE DI VOCI

 

 

5 domande

 

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Stefano Vitale

 

1 ) Il mio benvenuto, innanzitutto.

Puoi fornire un tuo breve “autoritratto” in forma di parole ai lettori di Dedalus?

 

Sono nato a Palermo, città-radice che sento nostalgicamente vicina, ma vivo a Torino, città che amo per la sua discrezione e vivibilità, per la sua bellezza elegante. Qui mi sono laureato in filosofia, qui ho costruito la mia vita personale e professionale. Qui ho fondato nel 1981 i Centri di Esercitazione ai Metodi dell’Educazione Attiva, una cooperativa sociale dove ancora oggi lavoro come formatore e responsabile di servizi educativi. A Torino coltivo le mie passioni che sono, a parte la poesia e la letteratura, l’impegno civile nel mondo dell’educazione, della cultura e della musica. Oggi sono Direttore Artistico dell’Ass. Amici Orchestra Sinfonica RAI.

 

2 ) Ci puoi parlare del tuo ultimo libro (o di un tuo lavoro recente che ti sta a cuore), indicando cosa lo ha ispirato, gli intenti, le motivazioni, le aspettative, le sensazioni?

Cita, eventualmente, qualche brano di critica che ha colto l’essenza del tuo libro e del tuo lavoro più in generale.

Particolarmente gradita sarebbe, inoltre, una tua breve nota personale sul libro (o sull’iniziativa artistica).

Qualche riga in cui ci parli del tuo rapporto più intimo con questa tua opera recente.

 

Il mio ultimo libro è “Incerto confine” edito da “paolagribaudo editore” nella sua collana di libri artistici “disegnodiverso”. Il libro è stato scritto con Albertina Bollati che ha curato le immagini. Si tratta di un libro “unico”, nel senso che poesie e immagini sono un tutt’uno, sia pure in una prospettiva di dialogo. Insomma il libro è un insieme che non perde di vista la valorizzazione dei diversi strumenti espressivi. Così, nella coerenza del messaggio, vogliamo emerga la diversità dei percorsi, delle strategie comunicative. Si tratta di una plaquette, come si dice, che abbiamo voluto produrre sulla base di una esigenza etica ed estetica: prendere posizione, attraverso la poesia e il disegno, sulle lacerazioni della contemporaneità, del presente. Non si tratta di un libro “ideologico”, perché l’intento principale è fare poesia ed arte. In questo caso misurandoci col presente, affrontando l’impoetico con mezzi poetici.  E cercando di proporre una visione più universale dei temi che trattiamo. Lo spunto nasceva dall’indignazione per le politiche sull’immigrazione e l’accoglienza di tutti i migranti del mondo, dalla rabbia per la generale indifferenza, ma anche dall’esigenza di cogliere e rappresentare il “sentire” dell’uomo e della donna di oggi immersi in questa realtà. Il tema del “confine” rinvia ad una varietà di simboli, connotazioni, esperienze: si pensa ai muri, alle barriere, alla frontiere che dividono, opprimono, ma vogliamo che si pensi anche all’immagine della soglia intesa come passaggio verso nuove dimensioni dell’esperienza, e poi abbiamo anche bisogno di confini “buoni”, di spazi protetti, di limiti che ci aiutino a non frammentarci. Il libro è uscito a novembre del 2019 poco prima dell’emergenza Covid: per certi aspetti abbiamo anticipato alcune tematiche con cui poi abbiamo dovuto fare i conti. “Incerto confine” inoltre non perde di vista né la relazione con la memoria, né appunto con la ricerca di una pura espressione artistica. La memoria storica è indispensabile per costruire radici e identità così come la creatività è necessaria per aprire nuove strade, per dare voce e calore a pensieri diversi, inattesi.

Su questo libro hanno scritto diversi autorevoli critici e poeti come Alessandro Fo, Paolo Ruffilli, Ivano Mugnaini, Alfredo Rienzi, Dario Capello, Daniela Pericone, Alessandra Paganardi,  Carlo Prosperi, Lucia Triolo, Fabrizio Bregoli, Angelo Manitta, Pierangela Rossi, Marvi del Pozzo, Alberto Piazza, Giorgio Moio e tanti altri che devo ringraziare per la loro attenzione.

La cosa bella è che ciascuno di loro ha colto aspetti diversi, a testimonianza del fatto che questo libro non è un monolite, ma un “territorio” complesso in cui sono “tessute insieme” prospettive, risonanze, pensieri ed emozioni multiple. La poesia dovrebbe essere anche questo: una forma di espressione che si  fa forte della sua “ambiguità”, della sua “indefinitezza” e persino “imperfezione”.  Ho sempre sostenuto che la poesia è una cosa fragile che però ha in questa fragilità la sua qualità, la sua forma di paradossale resilienza. La poesia è prima di tutto sforzo del linguaggio di dire altrimenti ciò che è necessario dire. Per questo il poeta dovrebbe essere attento a quanto accade intorno e dentro di sé. La poesia dovrebbe, talvolta, obbligare il lettore a non distrarsi, a tendere lo sguardo verso l’inatteso, costringendolo anche a prendere coscienza di quel che si vorrebbe rimuovere.  Così facendo la poesia prende sul serio i vuoti dell’esistenza, le fratture, le questioni irrisolte.

 

Il libro, come ho detto prima, nasce proprio dalla voglia di alzare un argine alla deriva etica del nostro tempo, di provocare e denunciare l’indifferenza del pensiero. E c’è stato anche chi ha criticato dal punto di vista “politico” alcune prese di posizione dei miei testi. Ma la poesia è sempre “poesia civile”: l’importante è che sia poesia e non banale ideologia al servizio di questa o quella fazione più o meno di potere. La poesia è assolutamente priva di potere , è una “causa persa” come diceva Philip Roth. Al massimo può essere poesia asservita. E, ovviamente, non è il mio caso.

 

Tra le recensioni mi piace segnalare questo passo di Daniela Pericone (L’ Estro Verso): “ Dalla copertina del libro Incerto confine …, spicca un omino stilizzato in nero appeso a un cielo di nuvole azzurre sul fondo di un luminoso firmamento. Non si poteva rendere meglio il senso del nostro consistere, una sorta di fragilità e tenacia insieme che riassume l’essenza della condizione umana. Così il confine di cui parla il titolo non è che un’illusione creata dalla mente dell’uomo, perché in natura non esistono divisioni nette, barriere invalicabili, ogni cosa ‘sconfina’ nell’altra, si contamina e si supera, diventa di continuo altro da sé”.

Paolo Ruffilli ha colto un altro aspetto per me fondamentale: C’è una misura partecipativa, nella poesia di Vitale, un proiettarsi sempre oltre la barriera della propria vicenda e della propria storia, in una sorta di interrogativo aperto, che è la prospettiva del futuro o, se si vuole, la scommessa con la vita, in quella “mescita di ombre e di luce” che caratterizza tutto perché “non siamo dentro e neppure fuori / in questo incerto confine mobile” (“Italian Poetry)

Alessandro Fo ha ben tracciato il perimetro del libro: “Il tema è il confine fra la sventura e la fortuna, fra la libertà e la schiavitù, fra una patria da cui si è costretti a fuggire e terre nuove in cui si ripone speranza (forse non sapendo ancora fino in fondo quale accoglienza invece vi sarà, in alterna vicenda fra la buona volontà di pochi e l’indifferenza, se non l’odio, di molti – forse ormai dei più)” e ancora “  Non sempre si avverte con nettezza chi stia prendendo la parola nelle liriche: l’impressione è che per lo più si tratti dei migranti; ma Vitale lascia intenzionalmente aleggiare un margine di ambiguità, come a ‘confondere i confini’ fra chi sta male e chi si presume sia insediato nel benessere. Ciascuno ‘gode’ delle proprie limitazioni, e forse per questo l’illustrazione sul retro della copertina è quella di un «codice a sbarre». Ciascuno di noi è un recluso (p. 36).

 

“Incerto confine” ci vuole dire che dobbiamo considerare il nostro dolore, ma anche il dolore dell’Altro per rivitalizzare la forza del sentire, della reciproca protezione. La poesia è parola paziente che accoglie e ospitare vuol dire mettere in comune, offrire un tempo e uno spazio dove tra l’io e il tu possa nascere un linguaggio, una comunicazione che avvolge e protegge valorizzando le diversità.

 

Come si può capire, il libro si colloca all’interno del mio percorso poetico abituale e riprende alcuni temi del precedente “La saggezza degli ubriachi”. Qui ho voluto sperimentare un linguaggio più “espressionista”, fatto anche di immagini evocative, di figure poetiche più insistite. Lo stile è sempre lineare, almeno credo. Alcune poesie sono state inserite per dare un senso all’economia generale del libro e in una pubblicazione “normale” non le avrei inserite: sono magari poesie più occasionali. Non tutti i figli vengono su come vorremmo, ma sempre figli restano.

Come ho detto prima, la collaborazione con Albertina Bollati è un valore aggiunto che arricchisce la proposta poetica, mettendola in dialogo con altre arti: il colore, il disegno, l’immagine. Così come spesso la mia poesia è in dialogo con la musica. Insomma l’idea è di tracciare e superare, di individuare e oltrepassare confini, senza farsi imprigionare, pur nella consapevolezza che tutti abbiamo dei vincoli, dei limiti necessari.

“Incerto confine” è per me un libro di transito, una pausa di sperimentazione che introduce e prepara il mio prossimo libro vero e proprio che uscirà entro il 2021. Quando i confini e le barriere della pandemia saranno spero superati.

 

 

3 ) Fai parte degli autori cosiddetti “puristi”, coloro che scrivono solo poesia o solo prosa, o ti dedichi a entrambe?

In caso affermativo, come interagiscono in te queste due differenti forme espressive?

 

Mi considero un autore di sola poesia. Per lo meno ho pubblicato solo poesia, a parte le pubblicazioni di tipo professionale dedicate al gioco, al teatro, all’educazione ambientale, ai temi della gestione dei conflitti. E leggo molta poesia perché ritengo indispensabile per un poeta confrontarsi continuamente coi poeti, certo, del passato che fanno da riferimento, ma anche con quelli del presente. Ecco perché nel tempo ho sviluppato anche un lavoro da “critico” letterario. Che porto avanti con la rubrica “Oggetti smarriti” sul giornale on line www.ilgiornalaccio.net . Ma scrivo anche racconti, brevi, sorta di poesie un po’ più lunghe…in tal senso ammiro moltissimo l’inarrivabile Francesco Biamonti che aveva saputo fare poesia coi i suoi romanzi.

 

4 ) Quale rapporto hai con gli altri autori? Prediligi un percorso “individuale” oppure gli scambi ti sono utili anche come stimolo per la tua attività artistica personale?

Hai dei punti di riferimento, sia tra i gli autori classici che tra quelli contemporanei?

 

Come ho detto, leggo molta poesia contemporanea, dei nostri giorni intendo. Così cerco di confrontarmi con altri poeti. Non è facile perché è una piazza molto affollata, con voci non sempre chiare. Tutti hanno qualcosa da dire, tutti vogliono dire qualcosa, come in un condominio decisamente variegato. In ogni caso ho degli scambi più frequenti con amici poeti della mia regione attorno alla rivista “Amadomio”  in cui appunto sperimentiamo questa varietà di punti di vista. Tra loro voglio ricordare Alfredo Rienzi, Beppe Mariano, Riccardo Olivieri, Angela Suppo. Tra gli autori “classici” amo rileggere Mario Luzi, Giorgio Caproni, Vittorio Sereni ed anche la prima Antonella Anedda, poi Fabio Pusterla e Alberto Nessi, ma anche Umberto Fiori, Silvia Bre. Ammiro la poesia di Cristina Alziati e mi piace la scrittura di Italo Testa e quella di Anna Maria Carpi. Un pensiero particolare lo tengo per Jolanda Insania. Tra i poeti stranieri ho un dialogo, umile ma fitto, con Mark Strand, Fernando Pessoa, Jorge Luis Borges, Cees Nooteboom. La poesia è un mondo straordinario che continuamente mi stupisce e sorprende.

 

5 ) L’epidemia di Covid19 ha modificato abitudini, comportamenti e interazioni a livello globale.

Quali effetti ha avuto sul tuo modo di vivere, di pensare e di creare?

Ha limitato la tua produzione artistica o ha generato nuove forme espressive?

 

Certamente. Il confinamento ha limitato le relazioni sociali, che sono il mio principale nutrimento; mi ha impedito di andare a teatro, al cinema, a concerto, di viaggiare; ho dovuto annullare gli eventi che io stesso avevo organizzato. E’ stato difficile. Ho visto molti poeti gettarsi a scrivere versi ispirati dalla situazione: per parte mia ho cercato di limitare questo tipo di “produzione” e mi sono dedicato invece a sistemare il nuovo libro che vorrei pubblicare l’anno prossimo. Avere meno impegni mi ha restituito tempo. La clausura forzata prima e le limitazioni parziali poi, hanno permesso, come ha subito detto David Grossman, di mettere in fila le nostre priorità, di riscoprire la differenza tra ciò che è essenziale e ciò che è abitudine, routine, vano agitarsi. L’ho anche scritto in bel libro collettivo curato da Paola Gribaudo dal titolo “Condividere” (2020): “Perché se c’è una speranza è proprio qui, in questa nostra testarda volontà di non affogare, nella fatica della gioia di una ragione possibile, essenziale. Ci potrà salvare questa nostra infinita domanda di vita perché niente sarà come prima. Neppure noi. Chissà se ce la faremo a essere migliori con più musica, poesia, amore e meno ingiustizie, diseguaglianze, pregiudizi, prepotenza. Esitiamo sulla soglia del buio, ma evitiamo gli inutili lamenti e coltiviamo radici nell’aria dove la terra è ancora grembo, nell’attesa che fiorisca il seme della nostra incerta trasparenza.

Stefano Vitale — Ossigeno nascente - Atlante dei poeti contemporanei

 

 

 

Stefano Vitale. Poeta e critico letterario, ha pubblicato Double Face (Ed. Palais d’Hiver, 2003); Semplici Esseri (Manni, 2005); Le stagioni dell’istante (Joker, 2005); La traversata della notte (Joker, 2007); Il retro delle cose (Puntoacapo, 2012); Angeli (con disegni di Albertina Bollati, Edizioni Paola Gribaudo, 2013); ha curato (con Maria Antonietta Maccioccu) l’antologia Mal’amore no (SeNonOraQuando, 2015); La saggezza degli ubriachi (La Vita Felice, 2017). È presente su numerose antologie, blog, siti. Sue poesie sono tradotte in inglese sul Journal of Italian Translation (2019) e sul sito “Italian Poetry” (2018). È presente su “Atlante dei poeti” del portale “Griseldaonline” dell’Università di Bologna e sul sito “Italian Poetry”.

A TU PER TU – Villa Dominica Balbinot

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“Obiettivamente ostica incandescente urticante, magari pure scandalosa, addirittura probabilmente impoetica per eccellenza, anche per non finire a dare una visione falsamente idilliaca […] cosa quest’ultima per cui mi dichiaro apertamente ‘non adatta’, intellettualmente e ‘midollarmente’ non adatta. Quella che vado espressivamente rappresentando è la condizione umana ‘perenne'[…] io parlando della vita e della morte non posso essere contemporanea nel senso più tradizionalistico e forse riduttivistico del termine (come contingente) ma forse contemporanea perenne, perennemente attuale in un certo senso”.
Dal modo con cui le autrici e gli autori tracciano i contorni del proprio autoritratto si comprendono, per riflesso, molti aspetti del loro modo di rappresentare loro stessi in rapporto al mondo, anche attraverso la scrittura.
La mano di Villa Dominica Balbinot è allo stesso tempo passionale e riflessiva. Procede per scatti ed arresti, come se volesse sempre mantenere vivi, presenti e in primo piano, la forza e la riflessione, l’uragano e il chiarore. Un contrasto forte, in grado di generare dei chiaroscuri intensi. Uno specchio della vita, del tempo, degli eventi e dei mutamenti e di ciò che resta, come un infinito occhio del ciclone, a sovrastarci, a farci spalancare gli occhi di timore ma anche di sete, elettrizzati da quell’atmosfera in cui tutto il bene e tutto il male si scontrano generando scintille che illuminano a tratti il mistero dell’esistere.
Un percorso coerente, quello dell’autrice, che tra le righe delle risposte all’intervista ha inserito anche alcuni suoi versi, a testimonianza di una ricerca attualmente in corso sulla parola per renderla il più possibile vicina al suo progetto e alle motivazioni che la muovono, spingendola a creare meditando sulla “terribilezza” per usare un termine da lei coniato, quasi a voler andare oltre il più usuale vocabolo, ormai usurato dai tempi e della realtà.  “Ossessionata dalla mortalità che cerca in qualche modo di raggelare per poterne almeno parlare visto la sua tremenda ustionatezza al limite dell’indicibile”.
Una poesia di terra e di fuoco, quindi, sospesa tra il presente e un tempo ulteriore, tra costruzione e distruzione, a tratti anche sintattica, per giungere ad un livello di rappresentazione di una condizione umana che la Balbinot non considera più “cantabile” con sintonie ed accordi ma solo per sequenze di bagliori ustionanti
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 QUEL LUOGO DELLE SABBIE di Villa Dominica Balbinot – nota di lettura Doris  Emilia Bragagnini – NeobarILMIOLIBRO - FEBBRE LESSICALE - Libro di VILLA DOMINICA BALBINOT

 

 

 

 

5 domande

a

Villa Dominica Balbinot

 

1 ) Il mio benvenuto, innanzitutto.

Puoi fornire un tuo breve “autoritratto” in forma di parole ai lettori di Dedalus?

Intendo dare espressione a quella che sono arrivata a considerare la assoluta tragicità perenne della condizione umana, di cui azzardo una rappresentazione espressiva, una fredda visione (forse in alcuni punti disagevole, respingente perfino senza sconti comunque per nessuno-compresa me stessa beninteso), divisi come sono – e dalla notte dei tempi – gli esseri umani tra vittime e carnefici in un mondo che davvero può essere desolato.

Mentre scrivo queste puntualizzazioni e mi vado rileggendo mi rendo conto una volta di più che la tematica che mi sono azzardata a voler rappresentare è senz’altro obiettivamente ostica incandescente urticante, magari pure scandalosa, addirittura probabilmente “impoetica” per eccellenza, anche se a mio parere volendo mettersi a parlare della condizione umana, della vita e della morte insomma nulla dovrebbe a priori essere tematicamente escluso e questo anche per non finire a dare una visione falsamente idilliaca [cosa quest’ultima per cui mi dichiaro apertamente “non adatta”, intellettualmente e “midollarmente” non adatta]. Quella che vado espressivamente rappresentando è quella che secondo me è la condizione umana “perenne” al di là del cambio generazionale e al di là dei cambiamenti storici che pur tuttavia gradualmente esistono (e meno male se no ancora peggio direi), io parlando della vita e della morte che sempre si ripete nella sostanza non posso essere contemporanea nel senso più tradizionalistico e forse riduttivistico del termine (come contingente) ma forse contemporanea perenne, perennemente attuale in un certo senso.
Io – complessivamente e riassuntivamente mi presenterei così: «astorica» (ma nel senso che ahimè vedo nella storia ripetersi stesse dinamiche di base), perturbante, ontologicamente ribelle, Villa DOMINICA BALBINOT assorta medita sulla “terribilezza”. Ossessionata dalla mortalità che cerca in qualche modo di raggelare per poterne almeno parlare visto la sua tremenda ustionatezza al limite dell’indicibile”.

Per meglio – e più esattamente-rappresentare in parole il mio sentire ho qui pensato di riportare alcuni versi che ho messo come estrapolazioni altamente indicative sulla copertina di miei tre libri, aggiungendo poi anche due intere poesie ad esempio del mio intendimento e anche in un certo modo della modalità in cui la mia espressione poetica viene a prendere forma.

Ecco:

  • ”…E certo terribilezza vi era, ma alta- e sul freddo versante…

Riguardo alla “terribilezza”, una poesia recente incentrata sul tema:

E LA TERRA ANTICA – E TERRIBILE

(In questo mare della innocenza
dove nessuno è innocente
avrei abitato in una dimora
liscia compatta
color di malva – e dolce)

E sulla terra antica e terribile
( nel bisogno di assassinio di queste città)
nell’obliqua solarità del pomeriggio
– nella fioritura fuori stagione-
l’autunno perdeva un poco del suo mite calore
visto da vicino,
(e foglia dopo foglia)
con gli splendidi ingannevoli colori della morte,
nebbiosi sulle acque.
Nel -solo- lago spento,
come un santuario senza rumore,
tutte queste estati travolte,
là i campi di silenzio,
nelle ore della notte,
quel bianco bagliore,ottuso.

19/07/2020

[sulla copertina del secondo libro QUEL LUOGO DELLE SABBIE]

  • (L’immenso abbandono degli uomini era intorno a lei- e tutta quella ostinata vocazione alla assenza…cit.)

[sulla copertina del terzo libro “I fiori erano fermi- e lontani…]

 

  • “…al di sotto della pelle lei si sentiva scabra, straordinariamente netta…”

[ sulla copertina del 4 libro E tutti quegli azzurri fuochi…]

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A TU PER TU – Silvano Trevisani

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Parto in questo caso dalle recensioni di due critici, a loro volta poeti. “Trevisani è poeta dal duplice sguardo – osserva Antonio Fiori – uno storico e antropologico sul mondo; l’altro introspettivo, sulla vita e sull’amore, che ha un misterioso tempo interiore nel quale la poesia deve districarsi”. Claudia Manuela Turco osserva che “il titolo del libro di Trevisani, Le parole finiranno non l’amore, guida costantemente il lettore verso un porto sicuro: se da un lato ci sono le insidie del presente e l’assenza di sogni e speranze, dall’altro ci sono le stanze degli affetti, private ma sempre dotate di finestre aperte sul mondo […] Poesia e filosofia, attualità e tempi trascorsi, mito e vita quotidiana si intrecciano in queste pagine grazie a una parola scelta sempre con cura, passo dopo passo,  immersa in una musicalità capace di trasportare verso altre dimensioni anche mentre affonda nella materia più concreta”.
L’abbinamento evidenziato dai due critici è fondamentale, potremmo dire “vitale”, in senso stretto ancora prima che metaforico. Mette in risalto il rapporto tra il tempo interiore (e con esso lo spazio) e la dimensione cronologica che scorre, a dispetto di noi. Ma la scommessa è quella di andare oltre l’inconciliabilità apparente delle due dimensioni. Per qualcuno è azzardo, per altri utopia. Trevisani, invece, la vive come qualcosa di più di una speranza . Il titolo del libro lo dice in modo esplicito, inequivocabile. L’autore ha il coraggio, potremmo dire il privilegio, dal suo punto di vista, di dire che qualcosa va oltre le barriere e i confini eretti dal destino e dalla condizione umana.
Le risposte di Trevisani dimostrano una frequentazione assidua con autori, anche di impostazione molto diversa tra di loro, con cui ha interagito in modo schietto. Ne è stato ispirato, ha tratto linfa e spunti, pur conservando il proprio stile, le proprie idee, il proprio modo di pensare. Lo sguardo di Trevisani è aperto e sincero: non propone panacee né pietre filosofali ma non rinuncia neppure ad incamminarsi tramite le parole verso quegli sprazzi di luce che intravede nelle radure e nelle boscaglie.  Le sue letture nutrono la sua scrittura, sia quelle di poeti ben noti sia quelle di autori meno conosciuti, come Pasquale Pinto, che ci segnala con intensa partecipazione. Il suo amore per la poesia è alimento stesso per ciò che fa (il giornalismo e la collaborazione con riviste) oltre che per ciò che scrive. La commistione tra concretezza e dimensione onirica, tra realismo e speranza, è il tratto distintivo dei suoi versi, identifica il suo atteggiamento, il ponte gettato tra parola e pensiero, tra presente e progetto di un domani.
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Alla volta di Leucade: SILVANO TREVISANI: "LE PAROLE FINIRANNO, NON L'AMORE"

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Silvano Trevisani

1 ) Il mio benvenuto, innanzitutto.

Puoi fornire un tuo breve “autoritratto” in forma di parole ai lettori di Dedalus?

– Silvano Trevisani, vivo di parole, essendo giornalista professionista e avendo pubblicato tantissimi libri di vario genere. Responsabile del bimestrale di poesia “Il sarto di Ulm”, collaboro con giornali e riviste. Sono cresciuto a contatto con i poeti Michele Pierri, Alda Merini, Giacinto Spagnoletti, Pasquale Pinto, nella Taranto degli anni Ottanta, e di tanti altri grandi pugliesi (Serricchio, Goffredo, Curci, Angiuli). Ma sono sempre stato uno spirito libero e ribelle, avulso dai “sistemi” e consapevole delle mie scelte. Sono credente e penso che questo influisca anche sul modo di soffrire e di vivere la poesia.

2 ) Ci puoi parlare del tuo ultimo libro (o di un tuo lavoro recente che ti sta a cuore), indicando cosa lo ha ispirato, gli intenti, le motivazioni, le aspettative, le sensazioni?

Cita, eventualmente, qualche brano di critica che ha colto l’essenza del tuo libro e del tuo lavoro più in generale.

Particolarmente gradita sarebbe, inoltre, una tua breve nota personale sul libro (o sull’iniziativa artistica).

Qualche riga in cui ci parli del tuo rapporto più intimo con questa tua opera recente.

– “Le parole finiranno, non l’amore” è l’ultima raccolta di mie poesie, pubblicata da Manni L’opera l’ho pensata come raccolta poetica organicamente costruita in sezioni tematiche, che descrivono un percorso reale di vita. Fatti e pensieri si accumulano e si addensano per temi e poi si dipanano in senso cronologico, con l’intento di offrire un racconto composito, corale, spesso provocatorio, sempre teso a una forte emozione.

La realtà è sempre in primo piano, anche quando si muta in un viaggio nel mito e nelle sue sopravvivenze, attorno a luoghi mnemonici chiamati in causa per mescolarsi al presente e ritrovare radici e confronti che intrecciano il dolore e l’amore, cioè la vita.

I versi, in un linguaggio pensato, persino puntiglioso, a volte anarchico, ricercano una musicalità funzionale (quasi tutte le poesie sono chiuse da un endecasillabo) e sono densi di concetti che a volte assumono il tenore di aforismi. Ambiscono a coinvolgere emotivamente il lettore, anche quando partono dalla mia intimità, che dialoga senza parlare con i propri affetti o con l’umanità tutta, quando fa rivivere i giorni più intensi dell’amore e gli affette familiari, o quando si interroga sul divino, per dare a se stesso, in primo luogo, uno strumento emozionale per riflettere sulla propria storia.

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A TU PER TU – Bruno Di Pietro

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“Sono napoletano, città in cui esercito la professione di avvocato, appassionato di poesia: non amo autodefinirmi poeta. Scrivo in versi e ho pubblicato più lavori. Di carattere normalmente sincero, dico sempre senza remore o timori reverenziali ciò che penso, ma sono anche incline all’ascolto pronto a cambiare idea se mi convinco della bontà della opinione altrui. Sono incline alla ironia, spesso esercitata come autoironia. Questo lo si trova anche nei miei versi. Non amo i Poteri (specie se detenuti senza alcun merito) né li temo. Non mi inchino davanti a niente e a nessuno”.
Un autoritratto schietto, sincero, che invita ad alcune considerazioni. La prima è quasi la conferma di una regola non scritta: spesso chi dichiara di non essere poeta in realtà lo è. Che poi sia vero non di rado anche il contrario è piuttosto probabile. Ai posteri l’ardua sentenza, anche se i contemporanei qualche idea se la sono già fatta. Tornando a Bruno Di Pietro emerge dunque dal suo caravaggesco ritratto che oltre ad essere poeta senza gridarlo in faccia al mondo, è persona autoironica e libera, anche in questo caso in modo concreto, mettendoci la faccia, non solo i proclami.
Il libro che presenta qui in questa sua intervista è Colpa del mare e altri poemetti. Ed è originale, felicemente fuori schema, quell’abbinare il mare alla colpa. Di solito il mare è esaltato, elogiato, incensato. Qui è associato a qualcosa che nessuno vorrebbe, ma potrebbe anche essere una forma di amore ulteriore, chissà. Se prima l’ardua sentenza era affidata ai posteri qui è riservata a chi vorrà leggere, scoprire, attraversare le onde e assaporare il sale dei versi. Di Pietro possiede una carnalità elegante, quasi una forma di spiritualità tattile. Un modo di esplorare perfino l’intangibile con i sensi. Non è un caso che anche il mezzo della scrittura, l’atto dello scrivere, diventi esperienza sensuale, in senso stretto prima ancora che metaforico: “Di personale posso dirti che Colpa del mare è la mia vita. Chi la conosce sa esattamente a cosa si fa riferimento in ogni singolo verso. Di intimo aggiungo che tutto è conservato nei miei quaderni di cui ho una cura maniacale. Amo scrivere a penna e matita. Su carta buona se non pregiata. E ho una bella serie di penne stilografiche e asticciuole e vecchi pennini. Inchiostrare è per me lussuria purissima”.
La curiosità del lettore è chiamata in causa, adeguatamente sedotta. Non resta che leggere, questa intervista e quel libro che parla di colpe e di onde sapide, come la poesia.
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nuovo colpa del mare

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Bruno Di Pietro

 

1 ) Il mio benvenuto, innanzitutto.

Puoi fornire un tuo breve “autoritratto” in forma di parole ai lettori di Dedalus?

Grazie a te, innanzitutto.

Un “autoritratto” chiesto a chi come me non sa fare nemmeno un selfie è una bella domanda. Un po’ mi imbarazza, un po’ per carattere direi tutti i difetti che ho trasformando la risposta in un “confiteor”. Ti dico che sono napoletano, città in cui esercito la professione di avvocato, appassionato di poesia: non amo autodefinirmi “poeta”. Scrivo in versi e ho pubblicato più lavori.

Di carattere normalmente sincero, dico sempre senza remore o timori reverenziali ciò che penso, ma sono anche incline all’ “ascolto” pronto a cambiare idea se mi convinco della bontà della opinione altrui. Sono incline alla ironia, spesso esercitata come “autoironia”. Questo lo si trova anche nei miei versi.

Non amo i Poteri (specie se detenuti senza alcun merito) né li temo. Non mi inchino davanti a niente e a nessuno.

In sintesi “non te la mando a dire”.  Questo vale per tutti. Non sono abituato, né mi piace , passare per la sagrestia : all’altare ci vado diritto.

 

2 ) Ci puoi parlare del tuo ultimo libro (o di un tuo lavoro recente che ti sta a cuore), indicando cosa lo ha ispirato, gli intenti, le motivazioni, le aspettative, le sensazioni?

Cita, eventualmente, qualche brano di critica che ha colto l’essenza del tuo libro e del tuo lavoro più in generale.

Particolarmente gradita sarebbe, inoltre, una tua breve nota personale sul libro (o sull’iniziativa artistica).

Qualche riga in cui ci parli del tuo rapporto più intimo con questa tua opera recente.

 

Con Oèdipus Edizioni nel 2019 ho pubblicato “Baie”. Ma quello pubblicato con lo stesso editore nel 2018 (“Colpa del mare e altri poemetti”) è senz’altro il mio lavoro più importante. Molti lo hanno definito “raccolta” altri “antologia” ma tengo a dire che è un unico solo “libro” dalla prima all’ultima parola, segue un progetto ed ha un “senso” nella sua interezza. E copre il lavoro che va dal 1995 al 2012.

Si dà conto in esso della questione “aurorale” della filosofia occidentale: da un lato il pensiero di Parmenide (la “fissità” dell’Essere) dall’altro quello di Eraclito (il “divenire”, l’Esserci) detto in sintesi estrema e impropria. Non a caso l’esergo è un frammento di Eraclito, mentre il libro si apre con le “Dieci Eleatiche”. L’ “orgoglio della scienza” da un lato, “il “frutteto in rigoglio” dall’altra (come nel testo eponimo). Con una inclinazione verso l’affermazione che “L’Essere è l’Esistere” e che noi più che “Essere-gettati-nel-mondo” “Giaciamo-nel-mondo”.

E che fra “l’Inizio” e “la Fine” c’è un “nel frattempo” che è la nostra vita.

 

Questo apre alla “Storia” siccome “narrazione dell’esistere” che diviene l’oggetto principale della attenzione nei “poemetti” e infine in “Impero” (Oèdipus 2017) che è la sintesi finale del discorso.

Un discorso che trova poi in “Baie” e nei lavori in corso un suo ulteriore sviluppo anche in senso stilistico.

Chi di più ha lavorato criticamente su quanto ho detto è senz’altro Giuseppe Martella col suo ampio saggio “Polifonia dell’Esserci” (apparso su Nazione Indiana). Essenziale anche la prefazione di Marcello Carlino a “Impero” e notevole un lavoro ancora inedito –uscirà a febbraio 2021- di Giuseppe A. Liberti. Ma cito volentieri anche gli splendidi e ripetuti interventi di Daniele Ventre (sempre su Nazione Indiana) di Carlo Di Legge (su Atelier) di Rosa Pierno (su Trasversale) di Vincenzo Salerno (su Menabò) di Mimmo Grasso (su “Infiniti Mondi”). Ma anche tanti altri.

Di personale posso dirti che “Colpa del mare” è la mia vita. Chi la conosce sa esattamente a cosa si fa riferimento in ogni singolo verso.

Di intimo aggiungo che tutto è conservato nei miei quaderni di cui ho una cura maniacale. Amo scrivere a penna e matita. Su carta buona se non pregiata. E ho una bella serie di penne stilografiche e asticciuole e vecchi pennini. Inchiostrare è per me lussuria purissima.

 

 

3 ) Fai parte degli autori cosiddetti “puristi”, coloro che scrivono solo poesia o solo prosa, o ti dedichi a entrambe?

Scrivo solo in versi. Una volta che ho provato a scrivere in prosa sono stato dissuaso in modo molto convincente dai migliori critici che conosco: mia moglie e le mie ragazze.

 

4 ) Quale rapporto hai con gli altri autori? Prediligi un percorso “individuale” oppure gli scambi ti sono utili anche come stimolo per la tua attività artistica personale?

Hai dei punti di riferimento, sia tra i gli autori classici che tra quelli contemporanei?

 

Amo avere altri (autori e non) con cui scambiare opinioni su quello che gli propongo. Ne ho scelto un piccolo gruppetto in cui nessuno sa chi sono gli altri. Ma non mi sottraggo anche su ciò che è inedito al confronto pubblico e anzi apprezzo la critica serrata. O anche il semplice “non mi piace”. In fondo dei versi si può dire innanzitutto questo: “mi piace o non mi piace”.  Un testo poetico o arriva diritto al cuore o no. La comprensione è poi frutto di studio, ricerca, conoscenze sedimentate. Ma la prima cosa è che il testo colpisca, resti nel cuore, nelle orecchie, nella memoria (magari!).

Sui punti di riferimento: un mare!!! Per sintesi estrema. Tutta la poesia della Grecia e di Roma antica. Dante, Ariosto, Tasso, Leopardi. Nel ‘900 Ungaretti. E poi Gatto, Sinisgalli, Giudici, Caproni, Luzi, Sanesi. Quello che ho sul comodino è però Thomas S. Eliot. E per la contemporaneità qui mi fermo.

Ci sarebbero poi i punti di riferimento filosofici e il discorso diventerebbe lungo e complesso. Bastino Nietzsche e, per il secolo scorso, il riferimento a Benjamin , Bloch , Jankélévich, Nancy, Byung Chul Han. C’è un “filo rosso” facile da intuire per chi di filosofia si occupa.

 

 

5 ) L’epidemia di Covid19 ha modificato abitudini, comportamenti e interazioni a livello globale.

Quali effetti ha avuto sul tuo modo di vivere, di pensare e di creare?

Ha limitato la tua produzione artistica o ha generato nuove forme espressive?

 

Non ha avuto un bell’effetto. Amo l’aria aperta, i rapporti umani diretti in cui il corpo ha la sua importanza, quelli virtuali non mi piacciono (salvo il caso di forza maggiore, l’estrema lontananza). Starmene chiuso in casa e per di più con frequentazioni limitate mi deprime. Poi amo la mia città. Napoli è antidepressiva per definizione. Il sole, il mare, i vicoli, i panni stesi, artigiani di tutto, il pescivendolo che sembra preso direttamente dal presepe, il rito del caffè, il “verdummaro” e i colori, i Castelli, le Chiese e i chiostri, artisti di strada che suonano a ogni angolo di via gli strumenti più vari, dal mandolino al violino all’arpa, dal “triccabballac” al “putipù”, dalla tammorra al tamburello.  Ma di quali forme espressive nuove si può parlare di fronte alla privazione di tutto ciò? Quella è la “bellezza del mondo”. “La sua esperienza visibile” (come dice Roberto Sanesi in quella che è la sua ultima poesia edita tre mesi prima di lasciarci). Diciamo che ho lavorato di ricordi e di speranza.

meme

 

Bruno Di Pietro (1954) vive e lavora a Napoli esercitando la professione forense.
 Ha pubblicato le raccolte poetiche: “Colpa del mare” (Oédipus, Salerno-Milano 2002)“[SMS] e una quartina  scostumata” (d’If,Napoli 2002)“Futuri lillà”  (d’If, Napoli,2003)“Acque/dotti. Frammenti di Massimiano” (Bibliopolis,Napoli 2007) “Della stessa sostanza del figlio”  (Evaluna,Napoli 2008) “Il fiore del Danubio” (Evaluna,Napoli 2010)“Il merlo maschio” (I libri del merlo, Saviano 2011) “minuscole” (IL LABORATORIO/Le edizioni, Nola 2016) “Impero” (Oèdipus,Salerno-Milano, 2017) “Undici distici per undici ritratti” (Levania Rivista di Poesia n° 6/2017).”Colpa del mare e altri poemetti” (Oèdipus ,Salerno Milano 2018);  “Baie” (Oèdipus ,Salerno-Milano 2019)
È presente in diverse antologie fra cui: Mundus. Poesia per un’etica del rifiuto (Valtrend, Napoli 2008) Accenti (Soc. Dante Alighieri, Napoli 2010) Alter ego. Poeti al MANN (Arte’m, Napoli 2012). Errico Ruotolo, Opere (1961-2007) (Fondazione Morra, Napoli, 2012) Polesìa (Trivio 2018,  Oèdipus Edizioni)
Articoli e interventi sulle sue opere sono presenti in riviste e blog (Nazione Indiana, Infiniti Mondi, ClanDestino, Trasversale, Versante Ripido, Frequenze Poetiche, Atelier, Levania , Trivio , InVerso, Menabò, Poetarum Silva, Le Stanze di carta). E’ stato cofondatore con Gabriele Frasca e Mariano Baino della Casa Editrice “d’If” e socio della Casa Editrice “Cronopio”.

A TU PER TU – Serenella Menichetti

Postato il Aggiornato il

Credo proprio che Serenella Menichetti, da abile cuoca – che non disdegna neppure, poi, di gustare lei stessa i manicaretti – abbia trovato i giusti ingredienti. Il giusto atteggiamento per preparare tutto con estrema cura ma senza l’ossessione di sbagliare, magari mettendo un pizzico di sale o di pepe in più. Cucina con occhio e mana attenta, ma intanto si gusta le risate dei nipoti, il passaggio dei vicini, magari anche di quella pettegola e di quello vanesio, e un’occhiata la dà anche al di là dei vetri, ai colori del tramonto, al sole, alla neve, alla vita che scorre.
Fuor di metafora, e abbandonando seppure a malincuore l’odorosa cucina, si può dire che la Menichetti, nei racconti e nelle poesie, nei versi e nella narrativa, si diverta a descrivere il mondo che vede. Credo che la parola chiave sia proprio “divertimento”. Che non significa affatto scarsa cura, o espressioni sciatte e approssimative. Anzi, è il contrario. Come in ogni gioco che si rispetti, l’impegno, la volontà, la determinazione a fare sempre meglio, sono parte integrante del meccanismo e del progetto, del senso innato dell’attività. La Menichetti ci tiene a ribadire che ciò che scrive è frutto di pura fantasia. Ed è sicuramente vero. Ma è interessante e suggestivo rilevare quanto l’invenzione somigli alla realtà, quanto possa servire a scorgere, attraverso uno specchio, le meraviglie (come Alice) ma anche le miserie di questo nostro tempo e di una tempo che non c’è, e quindi assume valore universale.
Si diverte, la Menichetti a mettere un po’ di sana cattiveria in ciò che scrive. Tornando agli amati fornelli, potremmo dire che a volte getta nella pietanza, con un sorriso, un grammo in più di peperoncino. Ma solo perché sa che non può fare male più di tanto. Anzi, a volte fa bene. Favorisce la circolazione, del cervello e di altri organi fondamentali. Ama le salse agrodolci, l’autrice. Mette un po’ di cattiveria nella bontà e viceversa. L’effetto è favorevole: rende le pietanze, letterarie s’intende, meno prevedibili, spesso stuzzicanti. In versi e in prosa racconta la vita, senza pretendere di offrire risposte né verità. Gioca, con serietà, a parlare di ciò che non è ma potrebbe essere e di ciò che è ma potrebbe non apparire per quello che è. La Menichetti ama la libertà, senza scordarsi i diritti degli altri, degli ultimi soprattutto, dei perdenti, degli sconfitti; e ama i sapori speziati che tuttavia non bruciano e non rovinano le papille gustative. Le sue Trame sono bucate ma solo per lasciare cogliere, nei profili, tra gli spazi, sprazzi di mondi possibili: “Osservavo, chiedevo, immaginavo. Soprattutto immaginavo. Tutto questo mi ha permesso di interiorizzare i vari comportamenti delle persone. Ed in seguito di cucirli addosso ai miei personaggi. Le mie storie non sono mai storie vere. Mi annoierei a morte a scriverle. Mi diverto a creare storie inedite, fantastiche, a volte pure surreali”.
Surreali. Come la vita, in fondo.
IM
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 Trame bucate - Serenella Menichetti - Libro - CTL (Livorno) - | IBS

 

5 domande

a

 Serenella Menichetti

 

1 ) Il mio benvenuto, innanzitutto.

Puoi fornire un tuo breve “autoritratto” in forma di parole ai lettori di Dedalus?

Grazie dell’ospitalità

Sinceramente non mi è mai piaciuto parlare di me. Ci sono delle volte che mi odio moltissimo. Ma dal momento che questa domanda mi viene spesso formulata risponderò con una specie di biografia da me preparata per simili occasioni.

Mi chiamarono Serenella. Significato Lillà . Era un freddo 17 Febbraio del 1950 Ci volle un bel collante per appiccicarmi addosso quel nome.

Spinosa come ero assomigliavo più ad un cactus. Mi scrollai dalle spine e mi adeguai. Mai raggiunsi la bellezza del fiore di Lillà.

Cercai la serenità nella circonferenza del cerchio. Girai in lungo ed in largo ogni sillaba. indossai la muta da sub e mi immersi.

-Dove?-– Ma nel mio nome.-

-Perché?- -Per cercarmi.-

Rimasi sul fondo finché non mi trovai.

Riemersi dopo lunghi giorni.

Presi carta e penna e mi raccontai.

 

2 ) Ci puoi parlare del tuo ultimo libro (o di un tuo lavoro recente che ti sta a cuore), indicando cosa lo ha ispirato, gli intenti, le motivazioni, le aspettative, le sensazioni?

Cita, eventualmente, qualche brano di critica che ha colto l’essenza del tuo libro e del tuo lavoro più in generale.

Particolarmente gradita sarebbe, inoltre, una tua breve nota personale sul libro (o sull’iniziativa artistica).

Qualche riga in cui ci parli del tuo rapporto più intimo con questa tua opera recente.

 

La mia opera letteraria è una raccolta di 21 racconti scritti in tempi diversi. I personaggi, molti di cui figure femminili, sono uomini e donne tormentate, sofferte. Essi nascono dall’impatto con la vita, dalla conoscenza e consapevolezza di un mondo sofferente. Diversi sono costretti nel dramma di una scelta, di una decisione improcrastinabile.

In questi miei scritti il messaggio  è la denuncia dell’ingiustizia e della discriminazione verso le figure più deboli. Ognuno di noi è unico e va accettato per quello che è, senza pregiudizi né stereotipi.  Per eliminare qualsiasi pregiudizio, dovremmo cercare di conoscere l’altro. Provare a mettersi nei suoi panni. Un altro messaggio riguarda l’accettazione del sé che troppo spesso è carente, perché la società ci offre dei modelli comportamentali al di la dei quali, ci sentiamo diversi, sbagliati. Credo che dovremmo accettarsi per quello che siamo e farsi accettare, perché questo è l’unico motore capace di dare quella spinta che ci aiuta ad uscire da certi tipi di situazione.

Il titolo Trame bucate, in questo caso, assume una connotazione  positiva.

La trama è bucata perché è fatta di nodi di maglie, che lasciano fori, interstizi quasi impercettibili nel ritmo della tessitura. Il buco è per sua stessa natura mancante e, come ogni vuoto, anziché elemento difettante può essere letto nei termini di un invito alla libertà, all’unicità. Alla possibilità di aggiungere maglie. Di cambiare filato, di tessere nuovamente. Ogni racconto ha una trama. Ognuno ha la trama che la vita ha tessuto per lei; Ogni persona può attuare cambiamenti alla propria trama. Trama viene da trans-meare: passare di là. Solo attraversando con i filati i buchi della nostra esistenza potremmo salvarci. Leggi il seguito di questo post »

A TU PER TU – Natalizia Pinto

Postato il Aggiornato il

Il libro recente di cui parla Natalizia Pinto nell’intervista ha per titolo Intrecci. È, anche in questo caso, rivelatore. L’attività artistica dell’autrice pugliese è basata sullo scambio, sull’intersecarsi di dialoghi ed emozioni e sulle suggestioni che ne derivano.
“L’arte, che ho sempre amato, diventa ancora più importante per meglio essere con gli altri. L’arte suscita la curiosità, invita a raffinare lo stile espressivo e stili di vita più creativi e consoni alla consapevolezza che porta a creare bellezza, benessere e gioia di vivere”, scrive Natalizia. “Meglio essere con gli altri” è una sintesi efficace. Evoca una bella commistione tra dimensione psicologica e concreta, tra mente e corporeità. Fa pensare ad una di quelle ampie e assolate masserie pugliesi, al cibo genuino, olio, pane e vino buono e voglia di cercare autenticità, schiettezza, empatia. La generosità del dare è anche una forma di investimento sul proprio benessere.
Lo stesso discorso si può ricondurre anche alla dimensione letteraria, e questo accostamento ci consente di tornare al libro e a quegli Intrecci di cui si è detto, punto di partenza e di arrivo, percorso e meta. Natalizia ha effettuato una lunga e appassionata ricerca sul proprio modo di scrivere, ha limato, nutrito e amorevolmente sfrondato le proprie parole come si fa con gli alberi di ulivo. Allo stesso tempo ha viaggiato; è andata incontro agli autori, e alle persone, che sono stati per lei fonte di ispirazione, modello e stimolo. Uno in particolare, figura di riferimento per antonomasia, è il critico e poeta Giuseppe Panella.
“Grazie a lui – scrive l’autrice – è anche maturato in me l’amore per i Canti Orfici di cui parlo in Intrecci, chiudendo il libro con la poesia “Le rose del poeta” dedicata a Dino Campana e a Sibilla Aleramo. La prematura scomparsa di Giuseppe Panella, nel maggio 2019, ha creato un vuoto, che mi ha fatto riflettere sul grave peso della perdita, sull’impossibilità a rinunciare completamente a quanto amiamo e sul bisogno di cercare, nonostante, la felicità per continuare a vivere”. Queste parole confermano che la poesia non è fatta solo di parole. L’humus è sempre qualcosa che va oltre, più in profondità, un passo più avanti rispetto alla mera sequenza di grafemi e fonemi. Mi piace molto inoltre la scelta del vocabolo nella frase finale della citazione: “la felicità per continuare a vivere”. Avrebbe potuto parlare di forza per continuare, Natalizia, invece ha preferito felicità. Parola impegnativa, ingombrante. Ma se ha sentito di poterla e doverla usare, vuol dire che la generosità paga. Nel dare e nell’avere. La cura degli alberi delle parole aiuta a tenere vivo il corpo e qualcosa di tenace che cresce e resiste, dentro, all’interno.
IM

 

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UNA RETE DI VOCI

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5 domande

a

Natalizia Pinto

 

1 ) Il mio benvenuto, innanzitutto.

Puoi fornire un tuo breve “autoritratto” in forma di parole ai lettori di Dedalus?

 

Lo faccio volentieri e ringrazio per questo dialogo. Parlare di se stessi ed essere obiettivi non è cosa facile, spesso si tende a denigrarsi o a darsi molto valore. Spero di realizzare, in poche righe, un giusto equilibrio.

Penso di essere una persona abbastanza aperta ed attenta nel cercare di comprendere quale possa essere il modo migliore per farmi capire e capire. So di non poter contare più sulla bellezza dei miei vent’anni e questo è per me quasi uno stimolo a creare e cercare nuove espressioni interiori, che possano compensarmi per piacermi di più. L’arte, che ho sempre amato, diventa ancora più importante per meglio essere con gli altri. L’arte suscita la curiosità, invita a raffinare lo stile espressivo e stili di vita più creativi e consoni alla consapevolezza che porta a creare bellezza, benessere e gioia di vivere.

 

2 ) Ci puoi parlare del tuo ultimo libro (o di un tuo lavoro recente che ti sta a cuore), indicando cosa lo ha ispirato, gli intenti, le motivazioni, le aspettative, le sensazioni?

Cita, eventualmente, qualche brano di critica che ha colto l’essenza del tuo libro e del tuo lavoro più in generale.

Particolarmente gradita sarebbe, inoltre, una tua breve nota personale sul libro (o sull’iniziativa artistica).

Qualche riga in cui ci parli del tuo rapporto più intimo con questa tua opera recente.

 

Mi è difficile scegliere tra i tanti lavori realizzati e progetti nel cassetto. Mi limito a parlare della mia ultima pubblicazione: Intrecci, un libro che nasce dal recital dedicato al poeta e filosofo Giuseppe Panella, per ringraziarlo del modo con cui mi ha fatto crescere nell’elaborazione del pensiero artistico, filosofico e poetico. Non dimenticherò mai le sue parole: «Dovresti crearti uno stile che sia inconfondibilmente tuo» e aggiungeva che ci riuscivo già, ma che non avrei mai dovuto smettere di affinarlo e contraddistinguerlo. Grazie a lui, è anche maturato in me l’amore per i Canti Orfici di cui parlo in Intrecci, chiudendo il libro con la poesia Le rose del poeta dedicata a Dino Campana ed a Sibilla Aleramo. La prematura scomparsa di Giuseppe Panella, nel maggio 2019, ha creato un vuoto, che mi ha fatto riflettere sul grave peso della perdita, sull’impossibilità a rinunciare completamente a quanto amiamo e sul bisogno di cercare, nonostante, la felicità per continuare a vivere.

Il libro è dunque, tramite i racconti e le poesie, la ricerca di risposte a considerazioni sul dolore e su come da esso stesso si possa rinascere.

Intrecci ha suscitato particolarmente l’interesse di alcuni miei amici letterati e critici. Ne parli tu Ivano nella bella presentazione disposta nelle prime pagine di Intrecci. Ne approfitto per ringraziarti della disponibilità e del modo con cui hai curato il mio lavoro, iniziando con il caratterizzare l’essenza del libro, riportando i versi di Giuseppe Panella, che sono l’incipit al libro stesso: «Se la passione è troppo forte rischia il silenzio se troppo debole l’oblio». Hai amorevolmente considerato già il mio incontro con Panella un intreccio di destini. Esso prende corpo e consistenza nel dialogo letterario che abbraccia qualcosa di sempre più ampio: «… la possibilità dell’esistenza della poesia nella vita». Nella tua comprensione, affermi che: non a caso, dopo la scomparsa di Panella, l’omaggio che gli rivelo è fatta di gesti tangibili, di immagini, di suoni, di canti, di danze, di fondali teatrali e naturali, di sapori della terra, di quella carnalità che non contrasta con la spiritualità, ma che va, semmai a formare un tutt’uno con essa». Nella tua presentazione riporti la parola “passione”, «… intesa come fertile emozione di un connubio artistico, che sfocia in modo naturale nell’amicizia profonda, nella condivisione privilegiata di due esseri che guardano nella stessa direzione». Son sicura che anche Giuseppe ti è grato per questo bel cammeo di cui hai voluto farci dono.

Ed ora passo a parlare della prefazione al mio libro, curata della prof.ssa Angela Decarolis, amante dei classici e della natura. La mia amica pone l’attenzione sui luoghi, da quelli persi, sognati, desiderati, a quelli vissuti in prima persona o conosciuti attraverso il racconto degli avi. I luoghi, quasi complici delle nostre azioni, si intrecciano con i sentimenti umani, fluttuando tra i versi, la prosa e la narrazione. A questo proposito, ha riportato il mio pensiero: «I luoghi hanno bisogno dei nostri occhi, noi dei loro», in cui riconosco un DNA dei luoghi, convinzione che ho approfondito diversi anni fa nei miei due recital: Con i luoghi nel cuore e Sguardi e respiri.

La Decarolis afferma che nel recital Intrecci si è data voce ai sentimenti di tutti, intrecci di “moti del cuore”, “un guazzabuglio del cuore umano”, usando un’espressione manzoniana, e continua ringraziando per l’iniziativa dedicata a Giuseppe Panella «che continuerà a brillare nel cielo trapunto di piccole stelle e a sfidare con il suo canto poetico i silenzi immani dell’indifferenza».

In un incontro per una chiacchierata letteraria sul balcone di villa Laurentia,  immerso in un bosco di querce, ricordo con gratitudine Angela Decarolis che, oltre a definire poliedrica la mia vena artistica, ha intravisto un percorso poetico che da Campana a Panella giunge a me, confermando il pensiero del critico letterario Ernest L’Arab che, senza conoscere il mio vissuto, a tu per tu con i silenzi, i suoni, i fruscii del vento, lo scorrere dei ruscelli di Marradi, nell’antologia poetica Con le armi della poesia, riconosce nei miei versi i caratteri dell’Orfismo: «… poesia dal carattere ancestrale, notturno, che penetra nei luoghi nascosti dell’animo umano».

Il libro Intrecci, come ho già su detto, si chiude con la poesia “Le rose del poeta”, dedicata a Dino Campana e Sibilla Aleramo, al loro amore tempestoso e traboccante. La lirica è nata vivendo le atmosfere di Marradi pregne dell’inconfondibile voce del poeta Campana.

Da ultimo, ma non per ultimo, parlo di quel che dice del mio libro la prof.ssa Patrizia Bessi, che per essere una raffinata amante della Storia dell’Arte, pone l’attenzione sulle immagini contenute nel mio libro; ne riporto le parole: «Nell’ultima pubblicazione della poetessa si possono intravedere i diversi tipi di intrecci, con le implicite interconnessioni. Tra i testi e le immagini che arricchiscono il libro intercorrono dei rapporti proporzionati, ricercati con cura che rivelano il sommo amore che la Pinto nutre per la storia dell’arte, per la fotografia e per ogni espressione della bellezza, portatrice di significati. A corredo di poesie e brani, l’autrice ha scelto oculatamente le opere d’arte e ha fermato con perizia e sensibilità il suo scatto fotografico su paesaggi e natura morta con rose». A tal proposito, la Bessi definisce struggente la mia poesia Il non detto a mia madre, descrivendone così l’immagine ad essa associata: «… gli intrecci dei rami ossuti creano, in virtù del vento che sfoca ogni cosa trascendendo il reale, una texture eterea, spirituale che evoca il dialogo tra le due anime …»

La Bessi, nel definire la cromaticità dei miei lavori, afferma che in essi gli opposti buio e luce si concatenano tra loro come morte e vita, aggiungendo, come, in Maria vestita di bianco, un accorato ricordo susciti la riflessione sul valore simbolico del bianco, colore del lutto e della rinascita e continua descrivendo e commentando così l’ immagine che accompagna la breve considerazione: «una parete imbiancata su cui si apre una porta, uno scorcio in un luogo – altrove, di canoviana memoria».

La Bessi afferma, inoltre, che l’allusione ai sepolcri è ripresa nel racconto: Stefano a Firenze, accompagnato dall’immagine de l’Angelo della notte di Giulio Monteverdi, una sorta di realismo, in cui Stefano e un angelo […] dopo lo straordinario incontro e la loro epifania, «… intrapresero percorsi opposti, tendendosi la mano fino a quando non furono completamente inghiottiti dai due orizzonti».

Personalmente aggiungo solamente, cercando di interpretare i versi su citati di Giuseppe Panella: «Se la passione è troppo forte rischia il silenzio se troppo debole l’oblio», che alla base di ogni azione umana rivolta al benessere e alla felicità, dovrebbe esserci la ricerca dell’equilibrio, elemento molto difficile da sostenere. Uno dei fini più significativi di Intrecci è quello di favorire la conoscenza di se stessi, intraprendendo il sentiero, i cui spunti siano dei segnali, che fanno capire come noi umani possiamo convivere con le perdite ed aumentare nel contempo la capacità di curare quanto di bello e caro abbiamo.

Questo obiettivo è comune a tutti i brani e le poesie di Intrecci, è il filo conduttore che li percorre portandosi dietro tutto quello che li accumuna, sebbene in situazioni ed in luoghi diversi.

 

 

3 ) Fai parte degli autori cosiddetti “puristi”, coloro che scrivono solo poesia o solo prosa, o ti dedichi a entrambe?

In caso affermativo, come interagiscono in te queste due differenti forme espressive?

 

La forma poetica e quella narrativa si compensano a vicenda. Mi capita spesso di desiderare di scrivere un racconto o un saggio, mentre scrivo o leggo una poesia, come solo una parola o una frase di un romanzo o di un saggio può ispirarmi dei versi.

 

4 ) Quale rapporto hai con gli altri autori? Prediligi un percorso “individuale” oppure gli scambi ti sono utili anche come stimolo per la tua attività artistica personale?

Hai dei punti di riferimento, sia tra i gli autori classici che tra quelli contemporanei?

 

Mi piace molto scambiare le mie idee con scrittori, artisti ed amici che si interessano e parlano di Arte. Non lo faccio solo per crescere, ma perché non potrei farne a meno: mi rende bella la vita.

Desidererei, pertanto, se fosse possibile, incontrarmi nel giardino delle Esperidi con il pretesto di sorseggiare una tazza di tè, con un’infinita lista di artisti: poeti, scrittori, e vista la mia passione per le arti figurative, anche pittori viventi e non. Sarebbe impossibile elencarli qui, sebbene tanto mi emozioni l’idea di questo chimerico incontro.

 

5 ) L’epidemia di Covid19 ha modificato abitudini, comportamenti e interazioni a livello globale.

Quali effetti ha avuto sul tuo modo di vivere, di pensare e di creare?

Ha limitato la tua produzione artistica o ha generato nuove forme espressive?

È per me il Covid una fatalità che mi fa soffrire, perché pericolosa e distruttiva. Sino ad ora, però, la mia vita letteraria e artistica non è stata intaccata. Il raccoglimento e la solitudine mi hanno aperta a nuovi interessi e ricerca di creative risorse artistiche facendomi sentire vicino alla amata Emily Dickinson.

******

 

Poesie di Natalizia Pinto

 

NOTTE DI SAN LORENZO

Qui le ombre della sera

raccolgono gli intenti

che l’alba di questo giorno

ha coccolato

nei colori dei fiori

e sulle pareti

 

Qui le colonne reggono il cielo

in attesa di partorire scie di stelle

 

Qui centenari passi

sulle chianche bianche

perseguono i sogni

e la saggezza invoca le stelle.

 

*

 

 

GRANDIOSO

Dopo la valle

il primo bagliore dell’alba

respira un rossore lieve,

contorna le colline.

 

Una viola

in abbondanza di rugiada

macchia il muschio

sotto l’albero del fragno

 

C’è il sudore degli avi sulle pietre

che benedice il cielo per il buon raccolto.

È nel profondo silenzio

Il miraggio che si avvera.

 

*

 

 

LA NEBBIA NEL CANALE

 

Morbida bianca

va nella valle

 

Lenta … decisa avanza …

si spande

 

 

A riva dell’immenso corpo

le cime degli alberi sommersi

 

Immergersi nel tuo spazio etereo

è ridonare l’antico

a chi da quassù ti guarda

e in te si perde.

 

*

 

DEA

 

Attesi, nel mio intento

il sorgere di ogni giorno

 

io, complice delle stelle

 

raccolsi le pietre

che la notte il mare porta a riva

e ricamai la luce dell’alba.

 

 

*

 

VENTO D’ ORIENTE

 

S’adagia l’oriente

e canta la Musa

nei giardini notturni

tra stelle destate.

*

 

 

ANCESTRALE

 

Io

lupa

nella notte

affronto la luna

e mangio il silenzio.

 

 

 NELLA NOTTE - Copia

Natalizia Pinto è nata a Locorotondo nella cornice della Valle d’Itria, vive attualmente a Fasano. Ha frequentato a Firenze corsi di scrittura creativa, dove ha potuto confrontarsi con Dacia Maraini e Iosif Aleksandrovic Brodskij. Nel 2003 ha pubblicato la sua prima raccolta di poesie Il tempo in cornice, Ed. ICI, con cui ha vinto il Premio speciale “Firenze Capitale D’Europa”. Al Premio Concorso di Poesia “Mille Pagine” 1995, organizzato da Palcoscenico Premio Parole al femminile, è stata inserita con la poesia Sardegna tra gli autori di dodici poesie scelte da Lidia Ravera. Con il saggio Sostegno alla felicità le è stato conferito il Premio Internazionale di Poesia e Letteratura “Nuove lettere”,Ed. ICI. Una sua intervista curata dalla dott.ssa Cinzia Caroli è pubblicata nel Nono quaderno (Anno XII – numero 9 – Dicembre 2010) del Dipartimento di Scienze Pedagogiche e didattiche dell’Università di Bari, nel capitolo Poiési e Catarsé. Nel luglio del 2020 ha pubblicato il libro Intrecci, Ed “Il Faso”, dedicato al Filosofo e poeta Giuseppe Panella.
I suoi lavori sono stati commentati da diversi personaggi della cultura. Lo scrittore Stanislao Nievo ha commentato sul suo sito web il racconto Stefano a Firenze; l’italianista Ernest L’Arab ha definito orfica la sua poesia; il filosofo Giuseppe Panella e la scrittrice Maria Marcone hanno scritto una recensione al libro Il tempo in Cornice. Alcuni approfondimenti sulla vita artistico letteraria di Natalizia Pinto sono descritti nel sito web Il portale del sud all’indirizzo: http://www.ilportaledelsud.org/pinto_natalizia.htm
 

A TU PER TU – Natalizia Pinto

Postato il

Il libro recente di cui parla Natalizia Pinto nell’intervista ha per titolo Intrecci. È, anche in questo caso, rivelatore. L’attività artistica dell’autrice pugliese è basata sullo scambio, sull’intersecarsi di dialoghi ed emozioni e sulle suggestioni che ne derivano.
“L’arte, che ho sempre amato, diventa ancora più importante per meglio essere con gli altri. L’arte suscita la curiosità, invita a raffinare lo stile espressivo e stili di vita più creativi e consoni alla consapevolezza che porta a creare bellezza, benessere e gioia di vivere”, scrive Natalizia. “Meglio essere con gli altri” è una sintesi efficace. Evoca una bella commistione tra dimensione psicologica e concreta, tra mente e corporeità. Fa pensare ad una di quelle ampie e assolate masserie pugliesi, al cibo genuino, olio, pane e vino buono e voglia di cercare autenticità, schiettezza, empatia. La generosità del dare è anche una forma di investimento sul proprio benessere.
Lo stesso discorso si può ricondurre anche alla dimensione letteraria, e questo accostamento ci consente di tornare al libro e a quegli Intrecci di cui si è detto, punto di partenza e di arrivo, percorso e meta. Natalizia ha effettuato una lunga e appassionata ricerca sul proprio modo di scrivere, ha limato, nutrito e amorevolmente sfrondato le proprie parole come si fa con gli alberi di ulivo. Allo stesso tempo ha viaggiato; è andata incontro agli autori, e alle persone, che sono stati per lei fonte di ispirazione, modello e stimolo. Uno in particolare, figura di riferimento per antonomasia, è il critico e poeta Giuseppe Panella.
“Grazie a lui – scrive l’autrice – è anche maturato in me l’amore per i Canti Orfici di cui parlo in Intrecci, chiudendo il libro con la poesia “Le rose del poeta” dedicata a Dino Campana e a Sibilla Aleramo. La prematura scomparsa di Giuseppe Panella, nel maggio 2019, ha creato un vuoto, che mi ha fatto riflettere sul grave peso della perdita, sull’impossibilità a rinunciare completamente a quanto amiamo e sul bisogno di cercare, nonostante, la felicità per continuare a vivere”. Queste parole confermano che la poesia non è fatta solo di parole. L’humus è sempre qualcosa che va oltre, più in profondità, un passo più avanti rispetto alla mera sequenza di grafemi e fonemi. Mi piace molto inoltre la scelta del vocabolo nella frase finale della citazione: “la felicità per continuare a vivere”. Avrebbe potuto parlare di forza per continuare, Natalizia, invece ha preferito felicità. Parola impegnativa, ingombrante. Ma se ha sentito di poterla e doverla usare, vuol dire che la generosità paga. Nel dare e nell’avere. La cura degli alberi delle parole aiuta a tenere vivo il corpo e qualcosa di tenace che cresce e resiste, dentro, all’interno.
IM

A TU PER TU

UNA RETE DI VOCI

 Copertina - Copia (2)

 

5 domande

a

Natalizia Pinto

 

1 ) Il mio benvenuto, innanzitutto.

Puoi fornire un tuo breve “autoritratto” in forma di parole ai lettori di Dedalus?

Lo faccio volentieri e ringrazio per questo dialogo. Parlare di se stessi ed essere obiettivi non è cosa facile, spesso si tende a denigrarsi o a darsi molto valore. Spero di realizzare, in poche righe, un giusto equilibrio.

Penso di essere una persona abbastanza aperta ed attenta nel cercare di comprendere quale possa essere il modo migliore per farmi capire e capire. So di non poter contare più sulla bellezza dei miei vent’anni e questo è per me quasi uno stimolo a creare e cercare nuove espressioni interiori, che possano compensarmi per piacermi di più. L’arte, che ho sempre amato, diventa ancora più importante per meglio essere con gli altri. L’arte suscita la curiosità, invita a raffinare lo stile espressivo e stili di vita più creativi e consoni alla consapevolezza che porta a creare bellezza, benessere e gioia di vivere.

2 ) Ci puoi parlare del tuo ultimo libro (o di un tuo lavoro recente che ti sta a cuore), indicando cosa lo ha ispirato, gli intenti, le motivazioni, le aspettative, le sensazioni?

Cita, eventualmente, qualche brano di critica che ha colto l’essenza del tuo libro e del tuo lavoro più in generale.

Particolarmente gradita sarebbe, inoltre, una tua breve nota personale sul libro (o sull’iniziativa artistica).

Qualche riga in cui ci parli del tuo rapporto più intimo con questa tua opera recente.

Mi è difficile scegliere tra i tanti lavori realizzati e progetti nel cassetto. Mi limito a parlare della mia ultima pubblicazione: Intrecci, un libro che nasce dal recital dedicato al poeta e filosofo Giuseppe Panella, per ringraziarlo del modo con cui mi ha fatto crescere nell’elaborazione del pensiero artistico, filosofico e poetico. Non dimenticherò mai le sue parole: «Dovresti crearti uno stile che sia inconfondibilmente tuo» e aggiungeva che ci riuscivo già, ma che non avrei mai dovuto smettere di affinarlo e contraddistinguerlo. Grazie a lui, è anche maturato in me l’amore per i Canti Orfici di cui parlo in Intrecci, chiudendo il libro con la poesia Le rose del poeta dedicata a Dino Campana ed a Sibilla Aleramo. La prematura scomparsa di Giuseppe Panella, nel maggio 2019, ha creato un vuoto, che mi ha fatto riflettere sul grave peso della perdita, sull’impossibilità a rinunciare completamente a quanto amiamo e sul bisogno di cercare, nonostante, la felicità per continuare a vivere.

Il libro è dunque, tramite i racconti e le poesie, la ricerca di risposte a considerazioni sul dolore e su come da esso stesso si possa rinascere.

Intrecci ha suscitato particolarmente l’interesse di alcuni miei amici letterati e critici. Ne parli tu Ivano nella bella presentazione disposta nelle prime pagine di Intrecci. Ne approfitto per ringraziarti della disponibilità e del modo con cui hai curato il mio lavoro, iniziando con il caratterizzare l’essenza del libro, riportando i versi di Giuseppe Panella, che sono l’incipit al libro stesso: «Se la passione è troppo forte rischia il silenzio se troppo debole l’oblio». Hai amorevolmente considerato già il mio incontro con Panella un intreccio di destini. Esso prende corpo e consistenza nel dialogo letterario che abbraccia qualcosa di sempre più ampio: «… la possibilità dell’esistenza della poesia nella vita». Nella tua comprensione, affermi che: non a caso, dopo la scomparsa di Panella, l’omaggio che gli rivelo è fatta di gesti tangibili, di immagini, di suoni, di canti, di danze, di fondali teatrali e naturali, di sapori della terra, di quella carnalità che non contrasta con la spiritualità, ma che va, semmai a formare un tutt’uno con essa». Nella tua presentazione riporti la parola “passione”, «… intesa come fertile emozione di un connubio artistico, che sfocia in modo naturale nell’amicizia profonda, nella condivisione privilegiata di due esseri che guardano nella stessa direzione». Son sicura che anche Giuseppe ti è grato per questo bel cammeo di cui hai voluto farci dono.

Ed ora passo a parlare della prefazione al mio libro, curata della prof.ssa Angela Decarolis, amante dei classici e della natura. La mia amica pone l’attenzione sui luoghi, da quelli persi, sognati, desiderati, a quelli vissuti in prima persona o conosciuti attraverso il racconto degli avi. I luoghi, quasi complici delle nostre azioni, si intrecciano con i sentimenti umani, fluttuando tra i versi, la prosa e la narrazione. A questo proposito, ha riportato il mio pensiero: «I luoghi hanno bisogno dei nostri occhi, noi dei loro», in cui riconosco un DNA dei luoghi, convinzione che ho approfondito diversi anni fa nei miei due recital: Con i luoghi nel cuore e Sguardi e respiri.

La Decarolis afferma che nel recital Intrecci si è data voce ai sentimenti di tutti, intrecci di “moti del cuore”, “un guazzabuglio del cuore umano”, usando un’espressione manzoniana, e continua ringraziando per l’iniziativa dedicata a Giuseppe Panella «che continuerà a brillare nel cielo trapunto di piccole stelle e a sfidare con il suo canto poetico i silenzi immani dell’indifferenza».

In un incontro per una chiacchierata letteraria sul balcone di villa Laurentia,  immerso in un bosco di querce, ricordo con gratitudine Angela Decarolis che, oltre a definire poliedrica la mia vena artistica, ha intravisto un percorso poetico che da Campana a Panella giunge a me, confermando il pensiero del critico letterario Ernest L’Arab che, senza conoscere il mio vissuto, a tu per tu con i silenzi, i suoni, i fruscii del vento, lo scorrere dei ruscelli di Marradi, nell’antologia poetica Con le armi della poesia, riconosce nei miei versi i caratteri dell’Orfismo: «… poesia dal carattere ancestrale, notturno, che penetra nei luoghi nascosti dell’animo umano».

Il libro Intrecci, come ho già su detto, si chiude con la poesia “Le rose del poeta”, dedicata a Dino Campana e Sibilla Aleramo, al loro amore tempestoso e traboccante. La lirica è nata vivendo le atmosfere di Marradi pregne dell’inconfondibile voce del poeta Campana. Leggi il seguito di questo post »

A TU PER TU – Rebecca Lena

Postato il Aggiornato il

“Amo la frammentarietà delle forme brevi, libere di cambiare direzione in qualsiasi momento, di saltare un po’ovunque nello spazio e nel tempo etereo, fuoriuscire in modo lento e magmatico, oppure esplodere viscosamente in blocchi, lapilli e ceneri”, scrive Rebecca Lena in una delle risposte all’intervista.
Il titolo del suo libro è Racconti della Controra, e nella definizione non c’è solo un’indicazione cronologica. C’è una presa di posizione, una collocazione spazio-temporale, un modo di osservare il mondo e se stessa in relazione ad esso. La questione non è solo essere “contro” (sarebbe troppo agevole e forse inutile).  Consiste piuttosto nell’andare verso il mondo esterno senza snaturarsi. È una maniera di dirsi, di raccontare quella parte di sé che altrimenti resterebbe muta. I racconti del libro nascono dal blog dell’autrice, molto curato, attento anche all’importanza della dimensione iconografica. L’espressione di Rebecca Lena è ampia, a tutto tondo, e soprattutto è frutto di un modo di essere alieno ai facili compromessi. L’intervista offre molti spunti. Uno di quelli che mi ha maggiormente colpito, anche perché ricorda un racconto che ho scritto anni fa, è quello descritto da queste parole dell’autrice: “La scrittura breve sparge i pensieri su piani multidirezionali, senza organicità, senza progetto, forse in modo meno comprensibile, ma fieramente disobbediente. Le lettere sono state realmente consegnate, soprattutto a persone che non conoscevo, talvolta inventate e “riconosciute” nella folla, altre incontrate un giorno e ritrovate volontariamente. Insomma le consegno, come in una performance metaletteraria, in cui io stessa sono fessura nella membrana della finzione”.
È la prova che la realtà e la fantasia sono due volti della stessa luna, ed è un ulteriore incentivo a scoprire di più, del libro e dell’autrice.
Buona lettura, IM

 

A TU PER TU
UNA RETE DI VOCI

 racconti della controra libro

 

5 domande

a

Rebecca Lena

 

1 ) Il mio benvenuto, innanzitutto.

Puoi fornire un tuo breve “autoritratto” in forma di parole ai lettori di Dedalus?

 

Nel mio autoritratto vedo un poliedro rotante con molte facce differenti. A primo impatto sono tantissime, l’una profondamente diversa dall’altra, nella testura, nell’area, nell’irregolarità.

L’osservatore che vuol contarle – prima di tutto me stessa nei miei slanci extracorporali – vi si approccia nel buio con un lumino, studia ogni faccia che, ruotando, gli si presenta davanti, ne conta 1, 2, 5, 16…ma a poco a poco comprende di essere caduto in inganno; un vizio di forma infatti scompone ogni spigolo del poliedro rimescolando la composizione al compimento di ogni rotazione (questo rimescolio avviene sempre nella zona d’ombra). Pertanto l’osservatore potrebbe rimanerne incatenato in un loop ossessivo, e il conteggio di ogni faccia, apparentemente vista di nuovo per la prima volta, non giunge mai a termine.

 

2 ) Ci puoi parlare del tuo ultimo libro (o di un tuo lavoro recente che ti sta a cuore), indicando cosa lo ha ispirato, gli intenti, le motivazioni, le aspettative, le sensazioni?

Cita, eventualmente, qualche brano di critica che ha colto l’essenza del tuo libro e del tuo lavoro più in generale.

Particolarmente gradita sarebbe, inoltre, una tua breve nota personale sul libro (o sull’iniziativa artistica). 

Qualche riga in cui ci parli del tuo rapporto più intimo con questa tua opera recente.

 

Racconti della Controra è il mio primo (e spero non ultimo) libro, una raccolta di storie e scritture brevi che risale al 2017, edito da Talos Edizioni. Nasce dall’attività del blog omonimo che questo mese ha compiuto esattamente 8 anni. Si tratta di un calderone di storie e ipnosi varie, alcune molto sperimentali, altre narrative e concatenate l’una all’altra. Il tempo e il dubbio sono due dei temi fondamentali. La Controra non è altro che il momento in cui il corpo giace paralizzato, per l’afa intorno e per il dubbio universale che sopraggiunge, il sole è allo zenith, ingoia le ombre dei vivi, così che possano temere di esser morti all’improvviso.

Attualmente l’attività “della Controra” continua attraverso il blog, ma si concentra su altre forme brevi di scrittura: le lettere (specialmente a sconosciuti che consegno realmente) e quello che mi viene da chiamare “mattoncini”, ovvero testi brevi, 1000-1700 caratteri circa, autoconclusivi, a volte narrativi, altre totalmente irrazionali, una sorta di zibaldone di sogni in cui ogni elemento subisce un cesellato lavoro di selezione linguistico-ritmica. Volgarmente li potrei considerare dei “post”, a cui spero di attribuire un qualche tipo di nobilitazione.

Ognuno è accompagnato o “guidato” da un lavoro fotografico che ne espande l’interpretazione. Le foto non sono mai illustrazione, ma viaggiano sullo stesso binario del testo con un linguaggio e un intento diverso, spesso arrivando dove il testo non riesce.

Come ribadisco quotidianamente “amo la frammentarietà delle forme brevi, libere di cambiare direzione in qualsiasi momento, di saltare un po’ ovunque nello spazio e nel tempo etereo, fuoriuscire in modo lento e magmatico, oppure esplodere viscosamente in blocchi, lapilli e ceneri. La scrittura breve sparge i pensieri su piani multidirezionali, senza organicità, senza progetto, forse in modo meno comprensibile, ma fieramente disobbediente.” Leggi il seguito di questo post »

A TU PER TU – Michele Nigro

Postato il

Leggendo le risposte di Michele Nigro alle domande di A TU PER TU mi sono venute in mente in particolare due considerazioni. La prima riguarda l’atteggiamento dell’autore nei confronti di ciò che scrive. E la considerazione ha sia una valore specifico che più ampio. Nigro si definisce “un artigiano”, scrive libri intitolati “Pomeriggi perduti” e “Poesie minori. Pensieri minimi” e ha diretto la rivista letteraria “Nugae”, che, tradotto, equivale all’incirca a inezie, bagatelle, cose da poco. Qualcuno in modo più esplicito userebbe una parola con due zeta. Ebbene, a differenza di molti che si autoincensano e in realtà scrivono cose “con due zeta”, Nigro, che si esercita da anni nell’arte dell’understatement, ha una cura meticolosa e appassionata per la parola, mai banale, mai incolore e indolore. E poi, beh, c’è motivo di consolazione se anche gente come Catullo, Orazio e Petrarca hanno definito “nugae” alcuni loro scritti.  La seconda considerazione la introduco citando un passaggio di una delle risposte di Nigro: “Il termine poeta è stato confinato a identificare solo ed esclusivamente il componitore di versi, ma per fortuna non è così: poeta, nella sua accezione creativa, è anche il narratore”. Personalmente ho trovato questo spunto interessante, in grado di generare un potenziale dibattito tra chi concorda e chi dissente. Lo stesso vale anche per altre osservazioni di Nigro inserite nell’ambito delle risposte. L’invito è quello di sempre: leggete se avete tempo e modo l’intervista e chissà che non vi venga voglia di leggere anche altro.
Buone letture, IM
A TU PER TU
UNA RETE DI VOCI
L’obiettivo della rubrica A TU PER TU, rinnovata in quest’epoca di contagi e di necessari riadattamenti di modi, tempi e relazioni, è, appunto, quella di costruire una rete, un insieme di nodi su cui fare leva, per attraversare la sensazione di vuoto impalpabile ritrovando punti di appoggio, sostegno, dialogo e scambio. Rivolgerò ad alcune autrici ed alcuni autori, del mondo letterario e non solo, italiani e di altre nazioni, un numero limitato di domande, il più possibile dirette ed essenziali, in tutte le accezioni del termine. Le domande permetteranno a ciascuna e a ciascuno di presentare se stessi e i cardini, gli snodi del proprio modo di essere e di fare arte: il proprio lavoro e ciò che lo nutre e lo ispira. Saranno volta per volta le stesse domande. Le risposte di artisti con background differenti e diversi stili e approcci, consentiranno, tramite analogie e contrasti, di avere un quadro il più possibile ampio e vario individuando i punti di appoggio di quella rete di voci, di volti e di espressioni a cui si è fatto cenno e a cui è ispirata questa rubrica.
IM

5 domande

a

Michele Nigro

 

1) Il mio benvenuto, innanzitutto.

Puoi fornire un tuo breve “autoritratto” in forma di parole ai lettori di Dedalus?

Grazie a te per questa opportunità. Non mi sono mai fidato degli autoritratti: peccano di omissioni o di adulterazioni dell’io. Volendo autodefinirmi dal punto di vista prettamente letterario posso dire con onestà e serenità che, pur non essendo un letterato, credo di essere almeno un artigiano della parola, un cercatore di senso e di verità prima di tutto per me stesso e magari anche per uno sparuto gruppo di lettori. Se la narrativa breve mi ha fornito qualche piccola soddisfazione soprattutto in passato, è la ricerca poetica a piantare i veri paletti lungo il confine della mia terra interiore. Una ricerca in fieri che sicuramente sposterà questo confine verso altre direzioni creative.

 

2) Ci puoi parlare del tuo ultimo libro (o di un tuo lavoro recente che ti sta a cuore), indicando cosa lo ha ispirato, gli intenti, le motivazioni, le aspettative, le sensazioni?

Il mio ultimo libro è una raccolta di poesie intitolata “Pomeriggi perduti” (ed. Kolibris, 2019) con la prefazione del poeta Stefano Serri. Avevo bisogno, come già accaduto con la prima raccolta “Nessuno nasce pulito” (ed. nugae 2.0, 2016), di materializzare i miei versi, di poterli toccare, di osservarli fissati su carta non per un effimero capriccio autoreferenziale, dopo essere stato (e lo sono ancora) un fautore della cosiddetta web poetry: importante e per certi versi rivoluzionario è stato l’approdo, non recente, della poesia in internet; molti lettori mainstream hanno scoperto poeti sconosciuti o di nicchia, molti poeti sconosciuti hanno potuto far veicolare i propri versi al di là di una cernita editoriale diventata poco credibile nelle intenzioni letterarie e più orientata verso esigenze commerciali o di “autorevolezza” di autori già affermati.

In questa seconda raccolta, a differenza della prima più didascalica e discorsiva, ho diluito con sobrietà e con una maggiore asciuttezza stilistica ricordi, eventi esistenziali, sensazioni estemporanee, persone e personaggi da immortalare, escursioni filosofiche nel quotidiano, verità interiori bisognose di essere fermate nel tempo, capisaldi della vita che andavano onorati, luoghi importanti che da sempre nutrono il corpo e l’anima; e poi la poesia, oggetto di se stessa.

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A TU PER TU – Laura Words

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L’intento di questa rubrica dedicata alle interviste è stato ed è quello di fornire qualche tessera del vasto e multiforme mosaico del mondo della scrittura. Abbiamo finora incontrato autori di diversa provenienza, età, approccio. Oggi, grazie a Laura Caroni Laura Words ci addentriamo, con sguardo curioso, nel mondo del romance contemporaneo. Di riflesso, percorriamo un tratto del mondo della rete e della scrittura in rete, incrociando lungo il cammino il fantasy (dark e non), You Tube e la promozione ad esso correlata, le serie di culto, gli spin-off e mille altri esseri che ai meno giovani e meno esperti potranno apparire strane creature aliene o comunque oggetti ignoti, ma, per moltissimi, per le nuove generazioni e non solo, sono punti di riferimento e appassionanti fonti di ispirazione, per la sfera della scrittura e dei sogni, ma anche della realtà tout court.     
Partendo da questo “humus”, Laura ha scritto un romanzo a cui è legatissima, Direzione la vita, ambientato a New York, che parla di una vicenda di rinascita dopo un grave evento. Non anticipo niente della trama, analizzata più in dettaglio dall’autrice nelle risposte. Osservo solo che, al di là dei modelli, dei tempi e degli stili, la letteratura resta sempre un microcosmo che in fondo parla di quell’universo imperfetto ma tenace che è l’uomo. IM         
L’obiettivo della rubrica A TU PER TU, rinnovata in un quest’epoca di contagi e di necessari riadattamenti di modi, tempi e relazioni, è, appunto, quella di costruire una rete, un insieme di nodi su cui fare leva, per attraversare la sensazione di vuoto impalpabile ritrovando punti di appoggio, sostegno, dialogo e scambio. Rivolgerò ad alcune autrici ed alcuni autori, del mondo letterario e non solo, italiani e di altre nazioni, un numero limitato di domande, il più possibile dirette ed essenziali, in tutte le accezioni del termine.  Le domande permetteranno a ciascuna e a ciascuno di presentare se stessi e i cardini, gli snodi del proprio modo di essere e di fare arte: il proprio lavoro e ciò che lo nutre e lo ispira.   Saranno volta per volta le stesse domande.  Le risposte di artisti con background differenti e diversi stili e approcci, consentiranno, tramite analogie e contrasti, di avere un quadro il più possibile ampio e vario individuando i punti di appoggio di quella rete di voci, di volti e di espressioni a cui si è fatto cenno e a cui è ispirata questa rubrica.  IM 

Laura Words cover

 

5 domande  

A 

Laura Words

 

1 ) Il mio benvenuto, innanzitutto. 

Puoi fornire un tuo breve “autoritratto” in forma di parole ai lettori di Dedalus? 

Sono sempre stata un amante dell’arte e dei viaggi: aggiungo sempre una componente artistica alla mia persona; possono essere ciocche colorate, un particolare tipo di trucco/abito oppure tatuaggi di farfalle e scritte che parlano al posto mio. Da piccola emergevo sempre per le mie stranezze ma con il passare del tempo le ho rese un mio punto di forza: non bisogna mai vergognarsi di come siamo perché ognuno di noi è unico e irripetibile. 

 

2 ) Ci puoi parlare del tuo ultimo libro (o di un tuo lavoro recente che ti sta a cuore), indicando cosa lo ha ispirato, gli intenti, le motivazioni, le aspettative, le sensazioni? Particolarmente gradita sarebbe, inoltre, una tua breve nota personale sul libro (o sull’iniziativa artistica).  

Direzione la vita è il mio libro d’esordio, oltre ad essere il primo volume di una trilogia con annesso uno spin –off. Lo pseudonimo che ho scelto per pubblicarlo è L. L: Words perché ha un tocco internazionale, oltre che richiamare il mio nome (Laura Love Words) In progetto c’è la sua traduzione prima in inglese, poi in spagnolo ed infine in tedesco; è un romance contemporaneo, con sede a New York, con sfumature medical e paranormali che tratta di tematiche delicate e sociali tra cui il recupero post incidente sia fisico che emotivo di A.C. King.  

Alexander C. King è un ragazzo di 27 anni che ha sempre vissuto la sua vita in bianco e nero, alla costante ricerca dell’attenzione dei genitori che gli è stata sempre negata. Figlio di una famosa attrice del cinema e di un archeologo di fama internazionale ha sempre vissuto nel lusso ma anche nell’indifferenza. L’incidente che lo vedrà protagonista stravolgerà tutta la sua esistenza ma, oltre a fargli passare le pene dell’Inferno, gli farà capire che forse c’è davvero una possibilità anche per lui. Possibilità che porta il nome di Tyler Jones, un fisioterapista specializzato nella risoluzione di casi impossibili che si scontrerà contro il muro di rabbia e disperazione dietro il quale A.C. si nasconde. Il dottor Tyler Jones che per A.C. è l’ultima spiaggia.
Con un dono che per lui è una maledizione, Ty è un fisioterapista diverso dagli altri, anticonformista ed imprevedibile: il migliore nel suo campo. Ma basteranno la passione per il suo lavoro, l’amore per la musica anni ’80 e la costante presenza di Stone, il bastardino che ha adottato, per strappare A.C. dall’inferno in cui è precipitato?

Quando ho iniziato a scrivere la prima bozza del mio libro non stavo passando un bel periodo: facevo un lavoro che non mi corrispondeva (per ragioni che credevo giuste ma che non lo erano) e scrivere era la mia unica valvola di sfogo. Come molte altre autrici sono nata su Wattpad ma solo quando ho visto che la mia storia aveva raggiunto incredibilmente 50,000 K di letture mi sono decisa a toglierla dal portale per affidarla alle mani competenti di Claudia Bellana, la mia editor. Il messaggio che ho voluto mettere in ogni riga è questo: non importa quanto la tua situazione sia buia o disperata perché se guardi bene, proprio in fondo al tunnel della tua disperazione, vedrai una luce: seguila perché ha le vesti della Speranza, che Marika Palomba ha perfettamente reso creando la mia bellissima copertina. 

Volevo che il mio romance fosse qualcosa di diverso dalle solite storie leggere che trovavo on-line; che i miei personaggi avessero carattere e spessore in modo da sembrare reali. Per questo ho intervistato una fisioterapista che si chiama Catia Colomeo per capire le varie fasi della riabilitazione di un paziente paralizzato; per avere ulteriori informazioni ho chiesto approfondimenti anche al mio medico che a sua volta ha chiesto ad altri… Come vedete è una catena d’informazione molto simile al giornalismo: chiedere è sempre la chiave del sapere perché per scrivere cose veritiere serve indagare e non lasciare nulla al caso; con questo non voglio dire di essere perfetta ma appassionata di quello che racconto sì. I miei personaggi mi parlano in mente 24h su 24h e non capisco chi dice di avere il blocco dello scrittore: basta delineare uno scheletro del libro – punto per punto – seguire i suggerimenti che ci danno i nostri protagonisti e lasciarsi sorprendere. Più volte sono rimasta a bocca aperta per quello che mi hanno fatto scrivere; è difficile da spiegare ma chi ci è passato sa di cosa parlo. Per quanto riguarda le aspettative, beh, ci sono e sono anche alte ma credo che non possa, né debba esserci nulla di meno se si crede nel proprio progetto. Per me scrivere è un vero e proprio secondo lavoro, con tanto di scadenze; chi mi conosce sa che a volte mi alzo alle sette per buttare giù una scena e anche che faccio continuamente ricerche sui vari “set” dove ambiento le mie scene. Le cose o si fanno con passione o è meglio lasciar stare. 

Il 18/12/20 sarà il compleanno di “Direzione la vita” e gli dedicherò tutta la giornata organizzando un party on line su Instagram; se volete seguirlo segnatevi questa data perché ci saranno tantissime sorprese on line, il mio profilo Instagram è lauracaroni77.  

Questi 365 giorni sono stati incredibili e inspiegabili; essendo un’autrice Self non ho una CE alle spalle ma ho svolto con folle piacere tutto il lavoro di promozione che mi ero imposta di fare e i risultati ci sono stati; eccome. Sono entrata a far parte del “Collettivo Scrittori Uniti”, una bellissima realtà capitanata da Claudio Secci che ha l’unico scopo di sostenere gli scrittori facendoli partecipare a diverse fiere ed iniziative, e questo mi ha cambiato la prospettiva perché sono entrata in contatto con veri professionisti. Grazie a loro avevo potuto scrivere Direzione la vita al “Salone Internazionale del Libro” di Torino e anche al “Pisa Book Festival”; entrambe saltate per l’emergenza sanitaria in corso. Ma, nonostante tutto, questo meraviglioso gruppo non ha mai mollato stravolgendo le fiere tradizionali per crearne altre totalmente on-line che hanno avuto un clamoroso riscontro. Il collettivo oltre che da Claudio è composto anche da Jessica Maccario, Manuela Chiarottino, Massimo Procopio e Manuela Siciliani a cui andrà sempre il mio grazie.  

Cita, eventualmente, qualche brano di critica che ha colto l’essenza del tuo libro e del tuo lavoro più in generale. 

Qui sotto metto in copia una recensione di Serena che mi ha toccato e che potete leggere su Amazon:  

“Ci sono storie capaci di emozioni, altre di riflessioni, altre ancora di risate o timore. In questo libro dalla narrazione profonda in prima persona al passato, con doppio punto di vista maschile non alternato, è possibile incontrare un mix di sensazioni che trascinano il lettore sin dalle prime pagine, in un percorso fatto di paure, speranze e piccoli flashback ben presentati nei capitoli di media lunghezza. Il tempo diventa attento spettatore di un ragazzo che controvoglia osserva la vita scorrere davanti ai suoi occhi, convinto, si, di non poter più camminare ma anche di non aver mai avuto niente per cui valeva la pena lottare. Già essere e/o sentirsi soli ti porta a fare di tutto, provare di tutto pur di vivere anche per un solo istante quell’amore, quell’affetto che sembra riservato a persone ricche non di soldi ma di altro. Persone che sorridono grazie al benessere altrui, che vivono di piccoli attimi spensierati con i propri cari. Persone come quel dottore diventato la “spina nel fianco” per A.C. Ty è un combattente perché sa cosa vuol dire affrontare la vita e scegliere di camminare con il sorriso sulle labbra. Sa cosa vuol dire affrontare i propri demoni, conviverci e cercare di essere un sostegno per gli altri. Per questo e per piccoli dettagli che non posso svelarvi, accetta il caso di A. C. sopportando le sfuriate, pianti e mille prove da superare. Prova, attende e poco per volta si innamora di quegli occhi pieni di dolore ma anche tanta paura. Occhi negli occhi contro il passato doloroso, contro le allucinazioni uditive in grado di distruggere sicurezze che solo la vicinanza e l’amore di medici in gamba riescono a costruire, fortificare e fissare nel cuore dei nostri meravigliosi protagonisti descritti in modo delicato, attento, mai forzato e soprattutto vero!!! Vi sono importanti accenni al paranormale presentati in modo elegante, mai reso pesante o finto e ben fusi con aspetti deliranti. Ecco uno degli argomenti base di questo romanzo: un trauma importante, se poggiato sopra una situazione già di suo compromessa, può mutare in varie forme di delirio purtroppo in grado di compromettere la quiete di una persona fino a spingerla ad atti spiacevoli.
Grazie a questo primo romanzo della trilogia ho affrontato il dolore, l’amore, l’amicizia e la forza di non arrendersi. Ho amato l’interazione tra personaggi secondari e principali, le storie d’amore solo accennate con una delicatezza indescrivibile e l’emozione… Viva in ogni singola parola.” 

Penso che non ci sia altro da aggiungere. 

 

3 ) Fai parte degli autori cosiddetti “puristi”, coloro che scrivono solo poesia o solo prosa, o ti dedichi a entrambe? In caso affermativo, come interagiscono in te queste due differenti forme espressive? 

Non scrivo poesie ma solo romance. 

4 ) Quale rapporto hai con gli altri autori? Prediligi un percorso “individuale” oppure gli scambi ti sono utili anche come stimolo per la tua attività artistica personale? Hai dei punti di riferimento, sia tra i gli autori classici che tra quelli contemporanei? 

Fin dall’inizio ho ricevuto tantissimo appoggio e voglio ringraziare tutte le Book Blogger e colleghe scrittrici che hanno dedicato un post, una segnalazione o un’intervista a “Direzione la vita”: sono sempre stata convinta che l’unione possa fare la forza e oggi posso affermarlo con assoluta certezza. Grazie al sostegno delle colleghe ho conosciuto Giulia Segreti – una persona splendida nonché doppiatrice professionista – che insieme al suo fidanzato Barone Mark Khell hanno dato voce a diversi testi del mio libro che potete trovare su Youtube. Adoro collaborare e do la mia totale disponibilità a chi vuole propormi progetti di scrittura collettivi: se le tematiche trattate corrispondono alle mie linee guida sarà un piacere partecipare. Inoltre voglio spezzare una lancia in favore dei social: smettiamola con la voglia di primeggiare sugli altri! Se usati bene sono davvero un portale potentissimo; sosteniamoci a vicenda e uniamo i nostri sogni per crearne altri più grandi e luminosi! Come autori di riferimento posso citarne alcuni che mi seguono da anni nelle mie giornate: Gena Showalter che mi ha fatto conoscere il genere Dark Fantasy attraverso la serie “Demons”, T.J. Klune che adoro grazie a Bear Otter e Kid, Laura Gallego García che con “Due Candele per il Diavolo” (un plauso le è dovuto per la creazione di Cat e Angel) mi ha lasciato letteralmente a bocca aperta e Charlie Cochet che con la sua serie Thirds mi ha fatto follemente innamorare di Dex. Se non sapete di chi sto parlando fate una veloce ricerca su Google; non ve ne pentirete. 

5 ) L’epidemia di Covid19 ha modificato abitudini, comportamenti e interazioni a livello globale. Quali effetti ha avuto sul tuo modo di vivere, di pensare e di creare? Ha limitato la tua produzione artistica o ha generato nuove forme espressive? 

Durante questo periodo così strano ho scritto e scrivo tantissimo; sono così piena di gratitudine per i miei personaggi! Mi hanno letteralmente salvato la vita e forse nemmeno lo sanno; ma è questo che fanno di solito i libri: ti salvano senza che tu glielo chieda. Ecco perché scrivo.  

Laura Words

 

Mi chiamo Laura e ho sempre amato scrivere ma, più precisamente, tutto ciò che riguarda l’arte: musica, scrittura, pittura, canto…  Ogni cosa che può far sognare. Il mio debutto nel mondo dei libri inizia con “Direzione la vita” che ho pubblicato in self il 18/12/19 su Amazon – sotto lo pseudonimo di L.L. Words – dove si può trovare in offerta fino a Gennaio sia in formato e-book che cartaceo.  Le emozioni che mi hanno accompagnato in questo anno di auto promozione sono state bellissime e difficili da descrivere: la prima persona a cui mi sento di dire grazie è Claudia Bellana, una famosa sceneggiatrice televisiva, che ha creduto fin dall’inizio in Tyler, Alexander e Stone; è stata la prima ad ascoltare la storia che da troppo tempo abitava solo nel mio cuore; un racconto nato su Wattpad che ha visto la luce solo grazie alle 50 K di letture che ha avuto e che mi hanno spinto a fare il salto e ad affidarle la cura del testo. Non avrei potuto fare una scelta migliore!  Nei ringraziamenti segue subito Marika Palomba, la ragazza che ha creato la cover di “Direzione la vita”: faccio parte di quella schiera di lettori che vengono colpiti dalla copertina quindi, insieme a Marika, ho cercato qualcosa che potesse essere d’effetto e incuriosire il possibile lettore. L’immagine scelta ritrae New York, dove è ambientata la storia, durante una notte tempestosa che richiama esattamente le dinamiche l’incidente che vedrà coinvolto A.C. King, il protagonista principale.  L’ennesimo grazie va a Alessia Minardi, amica insostituibile nonché beta reader, che mi ha aiutato con l’impaginazione del cartaceo: solo grazie a lei potete tenerlo tra le mani oggi. Sono originaria di Viareggio, in Toscana, ma ho viaggiato ovunque per molti anni, unendo la passione dei viaggi alla pittura che, per molti anni, mi ha portato a creare a livello professionale.  La scrittura, però, è sempre stata il mio punto di partenza e inizio di ogni cosa; per molti anni sono stata una lettrice compulsiva del genere romance-dark-fantasy e i miei scrittori preferiti sono Charlie Cochet e T.J. Klune. Adesso che scrivo, paradossalmente, leggo molto meno per piacere; le mie letture infatti sono più ricerche per dare corpo ai miei personaggi e alla mia storia: ad esempio, per il personaggio di Alexander, ho letto testi medici e intervistato fisioterapisti, tra cui Catia Colomeo, che mi aiutato per descrivere al meglio la riabilitazione di A.C. Il tutto senza nessuna presunzione, ma solo con la voglia di far uscire i miei personaggi dalle pagine e farli entrare nel cuore di chi legge. Il mio sogno è quello di scrivere abitando nella location dei miei racconti – così da poter rubare profumi, suoni e odori del luogo – e anche quello di tradurre “Direzione la vita” in ogni lingua possibile. Perché, come dice Walt Disney, “Se puoi sognarlo puoi farlo.”