Giorno: 31 dicembre 2020
A TU PER TU – Stefano Vitale
Delle risposte di Stefano Vitale all’intervista, mi ha colpito tra gli altri questo passaggio: “prendere posizione, attraverso la poesia e il disegno, sulle lacerazioni della contemporaneità, del presente. Non si tratta di un libro ‘ideologico’, perché l’intento principale è fare poesia ed arte. In questo caso misurandoci col presente, affrontando l’impoetico con mezzi poetici. E cercando di proporre una visione più universale dei temi che trattiamo. Lo spunto nasceva dall’indignazione per le politiche sull’immigrazione e l’accoglienza di tutti i migranti del mondo, dalla rabbia per la generale indifferenza, ma anche dall’esigenza di cogliere e rappresentare il sentire dell’uomo e della donna di oggi immersi in questa realtà”.
Ci sono in queste parole molti spunti, molti inviti, impliciti ma molto pressanti, alla riflessione, anzi alla necessità di chiamarsi in causa. “Affrontando l’impoetico con mezzi poetici”, scrive Vitale. E non è solo una frase bella esteticamente. Anche se la bellezza è forse, oggi più che mai, un’arma di difesa. L’impoetico lo sappiamo cos’è. Ognuno se lo trova davanti agli occhi, nei timpani e nel cervello ogni giorno. Ognuno ha il suo personale “rumore” da affrontare. E sappiamo anche che “rumore” in vari ambiti disciplinari, da quelli tecnici a quello filosofici, psicologici e linguistici, è molto più del semplice chiasso. È il frastuono della disarmonia. C’è da valutare allora le contromisure. Quali sono i mezzi poetici? Oltre alla parola, al verso, c’è ad esempio, la musica, e non è casuale in tale contesto il legame profondo di Vitale con la musica, soprattutto quella sinfonica, a cui accenna egli stesso nelle risposte.
Ma i mezzi poetici non sono solo strettamente artistici. Se l’indifferenza è il male per antonomasia di questi nostri tempi, bisognerà agire sul tasto opposto, creare un controcanto, un’azione uguale e contraria che eviti la caduta nel baratro. Sandro Luporini e Giorgio Gaber avrebbero scritto e cantato che “Libertà è partecipazione”. I confini, sia quelli reali fatti di mattoni e filo spinato, sia quelli mentali non meno solidi e laceranti, si abbattono nel momento esatto in cui si partecipa del dolore degli altri. Ritrovare un “sentire” autentico è la vera sfida. Ciò che ci restituirà la dimensione di uomini e donne. La nostra autentica umanità.
Coerentemente, Vitale ha una visione sobria e oggettiva. La speranza non è data “a priori”, va conquistata, va meritata. Anche il suo sguardo sul mezzo tramite cui si esprime è schietto: “Ho sempre sostenuto che la poesia è una cosa fragile che però ha in questa fragilità la sua qualità, la sua forma di paradossale resilienza. […] La poesia dovrebbe, talvolta, obbligare il lettore a non distrarsi, a tendere lo sguardo verso l’inatteso, costringendolo anche a prendere coscienza di quel che si vorrebbe rimuovere. Così facendo la poesia prende sul serio i vuoti dell’esistenza, le fratture, le questioni irrisolte”.
Poesia quindi non come materia astratta ma come sollecitazione al gesto, alla presa di coscienza, alla rimozione delle mura e dei confini che non di rado lasciamo scavare nelle nostre menti.
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A TU PER TU
UNA RETE DI VOCI
5 domande
a
Stefano Vitale
1 ) Il mio benvenuto, innanzitutto.
Puoi fornire un tuo breve “autoritratto” in forma di parole ai lettori di Dedalus?
Sono nato a Palermo, città-radice che sento nostalgicamente vicina, ma vivo a Torino, città che amo per la sua discrezione e vivibilità, per la sua bellezza elegante. Qui mi sono laureato in filosofia, qui ho costruito la mia vita personale e professionale. Qui ho fondato nel 1981 i Centri di Esercitazione ai Metodi dell’Educazione Attiva, una cooperativa sociale dove ancora oggi lavoro come formatore e responsabile di servizi educativi. A Torino coltivo le mie passioni che sono, a parte la poesia e la letteratura, l’impegno civile nel mondo dell’educazione, della cultura e della musica. Oggi sono Direttore Artistico dell’Ass. Amici Orchestra Sinfonica RAI.
2 ) Ci puoi parlare del tuo ultimo libro (o di un tuo lavoro recente che ti sta a cuore), indicando cosa lo ha ispirato, gli intenti, le motivazioni, le aspettative, le sensazioni?
Cita, eventualmente, qualche brano di critica che ha colto l’essenza del tuo libro e del tuo lavoro più in generale.
Particolarmente gradita sarebbe, inoltre, una tua breve nota personale sul libro (o sull’iniziativa artistica).
Qualche riga in cui ci parli del tuo rapporto più intimo con questa tua opera recente.
Il mio ultimo libro è “Incerto confine” edito da “paolagribaudo editore” nella sua collana di libri artistici “disegnodiverso”. Il libro è stato scritto con Albertina Bollati che ha curato le immagini. Si tratta di un libro “unico”, nel senso che poesie e immagini sono un tutt’uno, sia pure in una prospettiva di dialogo. Insomma il libro è un insieme che non perde di vista la valorizzazione dei diversi strumenti espressivi. Così, nella coerenza del messaggio, vogliamo emerga la diversità dei percorsi, delle strategie comunicative. Si tratta di una plaquette, come si dice, che abbiamo voluto produrre sulla base di una esigenza etica ed estetica: prendere posizione, attraverso la poesia e il disegno, sulle lacerazioni della contemporaneità, del presente. Non si tratta di un libro “ideologico”, perché l’intento principale è fare poesia ed arte. In questo caso misurandoci col presente, affrontando l’impoetico con mezzi poetici. E cercando di proporre una visione più universale dei temi che trattiamo. Lo spunto nasceva dall’indignazione per le politiche sull’immigrazione e l’accoglienza di tutti i migranti del mondo, dalla rabbia per la generale indifferenza, ma anche dall’esigenza di cogliere e rappresentare il “sentire” dell’uomo e della donna di oggi immersi in questa realtà. Il tema del “confine” rinvia ad una varietà di simboli, connotazioni, esperienze: si pensa ai muri, alle barriere, alla frontiere che dividono, opprimono, ma vogliamo che si pensi anche all’immagine della soglia intesa come passaggio verso nuove dimensioni dell’esperienza, e poi abbiamo anche bisogno di confini “buoni”, di spazi protetti, di limiti che ci aiutino a non frammentarci. Il libro è uscito a novembre del 2019 poco prima dell’emergenza Covid: per certi aspetti abbiamo anticipato alcune tematiche con cui poi abbiamo dovuto fare i conti. “Incerto confine” inoltre non perde di vista né la relazione con la memoria, né appunto con la ricerca di una pura espressione artistica. La memoria storica è indispensabile per costruire radici e identità così come la creatività è necessaria per aprire nuove strade, per dare voce e calore a pensieri diversi, inattesi.
Su questo libro hanno scritto diversi autorevoli critici e poeti come Alessandro Fo, Paolo Ruffilli, Ivano Mugnaini, Alfredo Rienzi, Dario Capello, Daniela Pericone, Alessandra Paganardi, Carlo Prosperi, Lucia Triolo, Fabrizio Bregoli, Angelo Manitta, Pierangela Rossi, Marvi del Pozzo, Alberto Piazza, Giorgio Moio e tanti altri che devo ringraziare per la loro attenzione.
La cosa bella è che ciascuno di loro ha colto aspetti diversi, a testimonianza del fatto che questo libro non è un monolite, ma un “territorio” complesso in cui sono “tessute insieme” prospettive, risonanze, pensieri ed emozioni multiple. La poesia dovrebbe essere anche questo: una forma di espressione che si fa forte della sua “ambiguità”, della sua “indefinitezza” e persino “imperfezione”. Ho sempre sostenuto che la poesia è una cosa fragile che però ha in questa fragilità la sua qualità, la sua forma di paradossale resilienza. La poesia è prima di tutto sforzo del linguaggio di dire altrimenti ciò che è necessario dire. Per questo il poeta dovrebbe essere attento a quanto accade intorno e dentro di sé. La poesia dovrebbe, talvolta, obbligare il lettore a non distrarsi, a tendere lo sguardo verso l’inatteso, costringendolo anche a prendere coscienza di quel che si vorrebbe rimuovere. Così facendo la poesia prende sul serio i vuoti dell’esistenza, le fratture, le questioni irrisolte.
Il libro, come ho detto prima, nasce proprio dalla voglia di alzare un argine alla deriva etica del nostro tempo, di provocare e denunciare l’indifferenza del pensiero. E c’è stato anche chi ha criticato dal punto di vista “politico” alcune prese di posizione dei miei testi. Ma la poesia è sempre “poesia civile”: l’importante è che sia poesia e non banale ideologia al servizio di questa o quella fazione più o meno di potere. La poesia è assolutamente priva di potere , è una “causa persa” come diceva Philip Roth. Al massimo può essere poesia asservita. E, ovviamente, non è il mio caso.
Tra le recensioni mi piace segnalare questo passo di Daniela Pericone (L’ Estro Verso): “ Dalla copertina del libro Incerto confine …, spicca un omino stilizzato in nero appeso a un cielo di nuvole azzurre sul fondo di un luminoso firmamento. Non si poteva rendere meglio il senso del nostro consistere, una sorta di fragilità e tenacia insieme che riassume l’essenza della condizione umana. Così il confine di cui parla il titolo non è che un’illusione creata dalla mente dell’uomo, perché in natura non esistono divisioni nette, barriere invalicabili, ogni cosa ‘sconfina’ nell’altra, si contamina e si supera, diventa di continuo altro da sé”.
Paolo Ruffilli ha colto un altro aspetto per me fondamentale: “C’è una misura partecipativa, nella poesia di Vitale, un proiettarsi sempre oltre la barriera della propria vicenda e della propria storia, in una sorta di interrogativo aperto, che è la prospettiva del futuro o, se si vuole, la scommessa con la vita, in quella “mescita di ombre e di luce” che caratterizza tutto perché “non siamo dentro e neppure fuori / in questo incerto confine mobile” (“Italian Poetry)
Alessandro Fo ha ben tracciato il perimetro del libro: “Il tema è il confine fra la sventura e la fortuna, fra la libertà e la schiavitù, fra una patria da cui si è costretti a fuggire e terre nuove in cui si ripone speranza (forse non sapendo ancora fino in fondo quale accoglienza invece vi sarà, in alterna vicenda fra la buona volontà di pochi e l’indifferenza, se non l’odio, di molti – forse ormai dei più)” e ancora “ Non sempre si avverte con nettezza chi stia prendendo la parola nelle liriche: l’impressione è che per lo più si tratti dei migranti; ma Vitale lascia intenzionalmente aleggiare un margine di ambiguità, come a ‘confondere i confini’ fra chi sta male e chi si presume sia insediato nel benessere. Ciascuno ‘gode’ delle proprie limitazioni, e forse per questo l’illustrazione sul retro della copertina è quella di un «codice a sbarre». Ciascuno di noi è un recluso (p. 36).
“Incerto confine” ci vuole dire che dobbiamo considerare il nostro dolore, ma anche il dolore dell’Altro per rivitalizzare la forza del sentire, della reciproca protezione. La poesia è parola paziente che accoglie e ospitare vuol dire mettere in comune, offrire un tempo e uno spazio dove tra l’io e il tu possa nascere un linguaggio, una comunicazione che avvolge e protegge valorizzando le diversità.
Come si può capire, il libro si colloca all’interno del mio percorso poetico abituale e riprende alcuni temi del precedente “La saggezza degli ubriachi”. Qui ho voluto sperimentare un linguaggio più “espressionista”, fatto anche di immagini evocative, di figure poetiche più insistite. Lo stile è sempre lineare, almeno credo. Alcune poesie sono state inserite per dare un senso all’economia generale del libro e in una pubblicazione “normale” non le avrei inserite: sono magari poesie più occasionali. Non tutti i figli vengono su come vorremmo, ma sempre figli restano.
Come ho detto prima, la collaborazione con Albertina Bollati è un valore aggiunto che arricchisce la proposta poetica, mettendola in dialogo con altre arti: il colore, il disegno, l’immagine. Così come spesso la mia poesia è in dialogo con la musica. Insomma l’idea è di tracciare e superare, di individuare e oltrepassare confini, senza farsi imprigionare, pur nella consapevolezza che tutti abbiamo dei vincoli, dei limiti necessari.
“Incerto confine” è per me un libro di transito, una pausa di sperimentazione che introduce e prepara il mio prossimo libro vero e proprio che uscirà entro il 2021. Quando i confini e le barriere della pandemia saranno spero superati.
3 ) Fai parte degli autori cosiddetti “puristi”, coloro che scrivono solo poesia o solo prosa, o ti dedichi a entrambe?
In caso affermativo, come interagiscono in te queste due differenti forme espressive?
Mi considero un autore di sola poesia. Per lo meno ho pubblicato solo poesia, a parte le pubblicazioni di tipo professionale dedicate al gioco, al teatro, all’educazione ambientale, ai temi della gestione dei conflitti. E leggo molta poesia perché ritengo indispensabile per un poeta confrontarsi continuamente coi poeti, certo, del passato che fanno da riferimento, ma anche con quelli del presente. Ecco perché nel tempo ho sviluppato anche un lavoro da “critico” letterario. Che porto avanti con la rubrica “Oggetti smarriti” sul giornale on line www.ilgiornalaccio.net . Ma scrivo anche racconti, brevi, sorta di poesie un po’ più lunghe…in tal senso ammiro moltissimo l’inarrivabile Francesco Biamonti che aveva saputo fare poesia coi i suoi romanzi.
4 ) Quale rapporto hai con gli altri autori? Prediligi un percorso “individuale” oppure gli scambi ti sono utili anche come stimolo per la tua attività artistica personale?
Hai dei punti di riferimento, sia tra i gli autori classici che tra quelli contemporanei?
Come ho detto, leggo molta poesia contemporanea, dei nostri giorni intendo. Così cerco di confrontarmi con altri poeti. Non è facile perché è una piazza molto affollata, con voci non sempre chiare. Tutti hanno qualcosa da dire, tutti vogliono dire qualcosa, come in un condominio decisamente variegato. In ogni caso ho degli scambi più frequenti con amici poeti della mia regione attorno alla rivista “Amadomio” in cui appunto sperimentiamo questa varietà di punti di vista. Tra loro voglio ricordare Alfredo Rienzi, Beppe Mariano, Riccardo Olivieri, Angela Suppo. Tra gli autori “classici” amo rileggere Mario Luzi, Giorgio Caproni, Vittorio Sereni ed anche la prima Antonella Anedda, poi Fabio Pusterla e Alberto Nessi, ma anche Umberto Fiori, Silvia Bre. Ammiro la poesia di Cristina Alziati e mi piace la scrittura di Italo Testa e quella di Anna Maria Carpi. Un pensiero particolare lo tengo per Jolanda Insania. Tra i poeti stranieri ho un dialogo, umile ma fitto, con Mark Strand, Fernando Pessoa, Jorge Luis Borges, Cees Nooteboom. La poesia è un mondo straordinario che continuamente mi stupisce e sorprende.
5 ) L’epidemia di Covid19 ha modificato abitudini, comportamenti e interazioni a livello globale.
Quali effetti ha avuto sul tuo modo di vivere, di pensare e di creare?
Ha limitato la tua produzione artistica o ha generato nuove forme espressive?
Certamente. Il confinamento ha limitato le relazioni sociali, che sono il mio principale nutrimento; mi ha impedito di andare a teatro, al cinema, a concerto, di viaggiare; ho dovuto annullare gli eventi che io stesso avevo organizzato. E’ stato difficile. Ho visto molti poeti gettarsi a scrivere versi ispirati dalla situazione: per parte mia ho cercato di limitare questo tipo di “produzione” e mi sono dedicato invece a sistemare il nuovo libro che vorrei pubblicare l’anno prossimo. Avere meno impegni mi ha restituito tempo. La clausura forzata prima e le limitazioni parziali poi, hanno permesso, come ha subito detto David Grossman, di mettere in fila le nostre priorità, di riscoprire la differenza tra ciò che è essenziale e ciò che è abitudine, routine, vano agitarsi. L’ho anche scritto in bel libro collettivo curato da Paola Gribaudo dal titolo “Condividere” (2020): “Perché se c’è una speranza è proprio qui, in questa nostra testarda volontà di non affogare, nella fatica della gioia di una ragione possibile, essenziale. Ci potrà salvare questa nostra infinita domanda di vita perché niente sarà come prima. Neppure noi. Chissà se ce la faremo a essere migliori con più musica, poesia, amore e meno ingiustizie, diseguaglianze, pregiudizi, prepotenza. Esitiamo sulla soglia del buio, ma evitiamo gli inutili lamenti e coltiviamo radici nell’aria dove la terra è ancora grembo, nell’attesa che fiorisca il seme della nostra incerta trasparenza.