Guardarlo ancora – Paesaggi e miraggi della passione amorosa, di Miriam Bruni
“Nei miei testi cerco l’esattezza delle parole, la densità naturale dei loro significati; cerco un grembo per ciò che è inconcreto e perlopiù invisibile, e questi aggettivi, questi sintagmi, sono scaturiti in me come una sorgente che in modo limpido riflette il mio volto interiore, il mio profilo umano”, osserva Miriam Bruni nell’intervista rilasciata nel giugno del 2022 a Monica Baldini per la rivista Millecolline.
Leggendo il suo libro «Guardarlo ancora – Paesaggi e miraggi della passione amorosa» le sue parole prendono corpo e concretezza seppure nell’esaltazione di quella “invisibilità” incorporea di cui sono fatti i sogni, i pensieri, i ricordi, anche quelli più aspri e taglienti.
“Noi siamo fatti della stessa sostanza dei sogni, e nello spazio e nel tempo d’un sogno è raccolta la nostra breve vita”, ci ricorda Shakespeare nel lavoro più atipico e forse più sentito, più intimamente suo, della sua produzione drammaturgica, «La tempesta». Miriam Bruni dimostra e conferma di avere ottimamente assimilato la lezione shakespeariana. Eppure, con naturalezza, per istinto e volontà, per puro desiderio e sincera inclinazione, produce nei suoi scritti un interessante e coinvolgente ossimoro, anzi, una serie di ossimori che si allacciano e si intrecciano in viluppi che sono essi stessi espressioni variegate e autentiche di un’assoluta passione vitale, e vitalistica.
Le poesie della Bruni si muovono nella terra di confine tra il dolore e la cura, tra la ferita e le suture fatte con il filo di un ricordo che, come detto, è allo stesso tempo impalpabile e solido, quasi tangibile. Se è vero che la saldezza della coscienza di ciò che si è perduto lacera la pelle e la mente, è anche vero che la certezza di ciò che si è stati, di ciò che si è visto, guardato insieme a chi abbiamo amato, con assoluta e limpida verità, ricostruisce istante dopo istante, fotogramma dopo fotogramma, un’immagine del mondo che si rispecchia nell’immagine del sé fino a formare un unicum, un tutt’uno. Non si tratta di una pura e semplice sovrapposizione. Nell’ambito della poesia non sussiste alcun Photoshop. Nel caso di Miriam Bruni la coesistenza di corporeo e incorporeo, mente e corpo, passato e attimo attuale, fanno pensare piuttosto ad un processo di osmosi o meglio ancora ad una compenetrazione, atto di amore, e al contempo incontro delle cellule che assumono ciascuna l’essenza dell’altra. Mente, corpo, e nel caso della Bruni, spiritualità, trascendenza (con vivide radici corporee) diventano un insieme, assumono un’identità condivisa, un identico respiro. “Amo la natura profondamente, ed essa mi ispira costantemente! Scrivo ciò che deve rimanere, ciò che supera una certa soglia interiore di intensità emotiva, o di acquisizione intellettiva”, dichiara ancora l’autrice nell’intervista sopra citata. Oltre una certa soglia si percepiscono analogie profonde, e si individuano strade per oltrepassare con la mente e con la parola muri e confini.
“Poesia e Trascendenza viaggiano paralleli nel mio peregrinare —e a volte, non di rado, si intrecciano: quasi non le distinguo! —rinsaldando quella corda misteriosa che mi tiene per la vita quando le sofferenze si fanno troppo acute perché bastino misure umane a far tornare i conti”, precisa e conclude.
Resta ferma la tenebra, è catrame.
In lei non ci si muove. La luce
invece
è una corsa del cuore: vi è giubilo,
accensione, apertura alare!
Quante
panchine, giardini, ci han visti
vicini.
Allo scadere del tempo – del
nostro –
non badavamo. Non confusi, sai?
l’amicizia con l’amore. Era un
pizzo
macramè la nostra storia.
L’eleganza
di un incontro
ricamato nel dolore e nella gioia.
I contrasti essenziali sono presenti in questa lirica: luce e tenebra, dolore e gioia. La pena è lacerante e suggerirebbe di chiudere lo spazio alla luce, serrando finestre e palpebre. Ma non è un caso che il titolo del libro esprima un desiderio totalmente opposto. Guardare è un’azione vera e propria. È un gesto conscio, deliberato, mai casuale. Si può vedere qualcosa per caso, ma l’atto del guardare è sempre volontario, è una scelta ben precisa, qualunque siano le ragioni e le motivazioni.
Mi disgusti / Sei bugiardo
Ma non so / Dimenticarlo
(Il nostro amore)
Ne porto i lividi / E la memoria
L’antica gioia / E lo riguardo.
A dispetto del tradimento, a dispetto dei lividi, sulla pelle e nei pensieri, l’autrice, in virtù di una gioia antica, ma mai morta, prende la decisione fondamentale: “lo riguardo”. Consapevole dei rischi, delle controindicazioni, della pena e del rimpianto, opta per lo sguardo, rivolge gli occhi della mente e del cuore a quel “lui” che può essere un uomo, può essere l’amore stesso, o addirittura un atto a più ampio raggio, il vivere, la vita.
Un sunto efficace di questa presa di posizione è racchiuso nelle parole tratte dalla prefazione: “La poesia di Miriam è una lotta contro il vuoto di materialità: ovvero, Miriam spinge la passione come avanguardia verso l’assenza della presenza, l’oggettuale, il tangibile; si trasfigura il sentimento e si libera dal peso degli atomi ingombranti della vita di superficie, e se davvero la materia di cui siamo fatti è composta più di vuoto che di superfluo, Miriam sa cosa cercare negli interstizi vacanti e misconosciuti delle eventualità umane”.
Per certi versi fragile
– pericolante –
umida e stanca e col timone rotto
Io sto
come lasciata in un cassetto
– Come un piccolo
gancio dismesso –
Per altri versi
con l’anima
resisto alle bufere e al pressante
languore delle vene
che d’improvviso sale agli occhi
e fa tremare.
Non posso udire no, non posso dire
definitive mots
su questo amore. Pensarti
per sempre perduto (?) No,
non mi è dato.