Calabria

La barriera

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Una mia recensione al romanzo “La barriera”, uno scenario prossimo venturo che ci parla anche del nostro presente e delle gabbie da evitare.

Scritta  per il sito di Anita Likmeta e pubblicata in versione integrale a questo link: https://anita.tv/2017/07/31/la-barriera-il-romanzo-sull-inconsistenza-della-nostra-mente/

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“La barriera” il romanzo sull’inconsistenza della nostra mente.

Vins Gallico - Fabio Lucaferri, La barriera, Fandango, Roma, 2017

Il primo e decisivo passo compiuto da Vins Gallico e Fabio Lucaferri è l’umanizzazionefar capire che in questo libro non si parla di numeri, di statistiche, di esempi astratti e proiezioni su grafici teorici. Non si parla neppure di personaggi letterari. Si parla di uomini, esseri umani. In quest’ottica i dettagli, le minuzie, le caratteristiche in apparenza inconsistenti, le fragilità, i vizi, le manie, gli oroscopi, gli ascendenti, il gioco del calcio, i luoghi e le cose, contribuiscono a definire una persona, a fare da specchio, facendoci identificare per analogia o per contrasto, dando forma a un riflesso in cui possiamo e dobbiamo guardarci. Da queste infinite tessere differenti si delineano i contorni di un mosaico: il mondo così com’è. Sarebbe bello poter dire che è così solamente nella finzione, ma è proprio questo il nodo, la sfida e il senso di questa narrazione.

C’è una data precisa, il 2029. Indicata con chiarezza, su un’agenda ipotetica ma ineludibile. Una data che appare lontana, eppure conosciamo i ritmi e le cadenze del tempo: quel traguardo è a un passo. C’è la descrizione di un pianeta che è una polveriera, e un solo luogo ancora conserva una parvenza di ordine e vivibilità: il più ricco e potente d’Europa, la Germania. Si salva dal caos imperante, ma a quale prezzo? Cosa si è costretti a pagare in termini di libertà e dignità umana per avere protezione? Lo sfondo del romanzo è quello descritto in questo breve sunto, arricchito da intrecci ulteriori di vite e destini e dal vibrare di trame sotterranee, intrighi, astuzie e controastuzie, corruzione, scontri, fughe, ostacoli e macchinazioni di ogni genere. Mentre ci si muove rapidissimamente da un episodio all’altro, si assimila gradualmente, potremmo dire nel sudore della tensione e della rincorsa, il messaggio sottotraccia, la verità nascosta ad di là della barriera, anche narrativail futuro apocalittico descritto nel romanzo in gran parte lo stiamo già vivendo. Lo intravediamo, ci viene tatuato addosso una goccia alla volta, ogni volta che in televisione all’ora di cena assistiamo a quelle trasmissioni inesorabilmente mandate in onda ogni singolo giorno Ferragosto compreso. Quelle in cui ci dicono, scrivendolo a caratteri cubitali sullo schermo del piccolo-grande-fratello, che siamo minacciati, che verremo schiacciati e che ci ammazzeranno tutti se le porte, tutte quante, non le chiudiamo. Se non ci chiudiamo.

Vins Gallico - Fabio Lucaferri, La barriera, Fandango, Roma, 2017.

Vins Gallico – Fabio Lucaferri, La barriera, Fandango, Roma, 2017.

Per rendere questo senso di oppressione il romanzo adotta un ritmo che non lascia respiro: è la versione narrativa di un film d’avventura, con attraversamenti di terre desolate, città e confini, nuotate da campione olimpionico, corse di velocità e di resistenza, centometristi e mezzofondisti. Ma il vero protagonista, muto ed eloquentissimo, è lo sfondo: il mondo, il solo luogo che abbiamo, il giardino recintato a mo’ di gabbia.Il linguaggio è rapido, frenetico ma preciso. Nessuna frase è buttata là solo per fare conversazione, nessun dettaglio è meramente descrittivo. Tutto è finalizzato a fornirci i dati essenziali di un manuale di sopravvivenza, un docufilm girato a ritmi serrati in cui si mostrano mosse e contromosse, lo scontro tra le regole annichilenti del potere e la volontà di restare vivi. I diritti naturali nello scenario descritto non sono più garantiti, devono essere riconquistati in una corsa da maratoneta e il premio finale, i diamanti da salvare, sono la dignità e la libertà. Gli aguzzini qui sono molto meno appariscenti di quelli descritti nel film di John Schlesinger con Dustin Hoffmann eLaurence Olivier. Sono burocrati in apparenza scialbi, e questo li rende perfino più temibili. In questo romanzo si arriva a far sì che siano le vittime a dover anelare di essere marchiati. Il tatuaggio, l’identity matrix, è la meta per cui si è disposti a fare di tutto. Ci si getta da soli nella gabbia camuffata da luogo stabile e sicuro.

Si procede nel libro, guardandosi anche alle spalle: la Germania, il MuroSchindler’s ListLe Vite degli Altri e mille istantanee immagazzinate nella memoria riprendono vita e si intrecciano ad un futuro che è ipotesi più che plausibile e a un presente che è già dato di fatto vissuto. In un circolo che avvolge e soffoca: con la burocrazia che uccide la dignità senza neppure sporcarsi le mani. I capitoli del libro sono nomi di persona, luoghi e date. Quasi a confermare che ciò che ancora conta è l’equazione spazio-tempo, la possibilità di continuare a conservare la nostra identità a dispetto del mutare delle epoche e dei luoghi. O, meglio, saperla conservare lottando giorno dopo giorno per l’evoluzione, la sopravvivenza della specie autentica, quella specie umana che è costretta a difendere il proprio diritto alla diversità, al pensiero autonomo, alle scelte fondamentali, non ultime la sete di giustizia e di amore.

Moltissimi sono i riferimenti a situazioni che conosciamo bene e con cui interagiamo quotidianamente. Nel 2029 ci sarà ancora Facebook e ci saranno i tatuaggi, ma diventeranno macabre immagini di una gigantesca schedatura collettiva. Ci sarà ancora il sesso. Ma quello descritto nel libro è rapido e quasi incolore. La passione e la gioia sono al di là della barriera. Una delle sensazioni che le pagine trasmettono è che si potrà tornare ad assaporare tutto davvero fino in fondo solo quando la corsa per la sopravvivenza potrà essere interrotta. Coerentemente, nel libro c’è poco spazio per le divagazioni “liriche” e perfino per le pause descrittive. La solo poesia possibile nel contesto raffigurato è quella dei gesti, degli sguardi rapidi d’intesa, come quelli dei naufraghi, dei fuggiaschi. Come quelli delle spie, gli infiltrati in un mondo nemico. Le occhiate rapide di chi si riconosce affine ma non può fermarsi, per non destare attenzione.

La Germania del 2029 ha lineamenti in comune con quella nazista, ma anche con parenti insospettabili, la Calabria del secolo scorso e con lei il Meridione attuale e tutte le mafie di ogni genere e tipo, ad ogni latitudine.

Berlino è la scenografia ideale, per questa narrazione di impronta cinematografica, rapida, intensa. La Berlino di questo romanzo è una città senza cielo, riflessa nei colori scuri di un passato di ferro e di sangue, ma anche nei vetri lucidati a specchio dei palazzi altissimi e dell’arte solenne e geometrica che atterrisce e attrae, inglobando corpi e menti nelle sue strade e nelle immense periferie livide. La bellezza è cupa. Non è morta ma deve essere risvegliata. Nel momento in cui torneremo ad essere armonici, aperti e davvero liberi, ritroveremo anche le luci, i riflessi fascinosi del sole del nord.

Con abilità e in modo quasi subliminale vengono messi in atto parallelismi fondamentali. L’anno descritto si colloca a distanza di un secolo esatto da quello della grande crisi finanziaria, dal crollo di Wall Street e dell’economia globale. Il futuro è adesso e il passato è uno spettro che ancora si aggira nelle case, negli uffici, nelle officine. La Germania del 2029 ha lineamenti in comune con quella nazista, ma anche con parenti insospettabili, la Calabria del secolo scorso e con lei il Meridione attuale e tutte le mafie di ogni genere e tipo, ad ogni latitudine.

Leggendo questo libro si respira a fondo, si è coinvolti anche noi in una corsa vitale, nel senso letterale del termine. La posta in palio è la più preziosa, il nostro diritto a restare umani, con tutto il bene e il male che ciò comporta, con il libero arbitrio, la capacità di riconoscerci affini a chi è diverso da noi. La sfida è ardua, lo scopriamo pagina dopo pagina. L’unico spiraglio è quello offerto dal riferimento all’ideogramma orientale che esprime il concetto di “crisi” facendo riferimento simultaneamente all’idea di pericolo e a quella di opportunità. Ciò che viene descritto e collocato in un futuro prossimo è profezia che già sconfina nella realtà. La vicenda narrata ci prepara, ci invita a mantenere tonici i muscoli delle gambe e del cuore fin d’ora, anzi, proprio ora, nel presente su cui possiamo agire, mutando noi stessi, per poter guardare negli occhi il nostro volto in un volto altro, arrivato da qualche luogo del pianeta di fronte a una Barriera che esiste, ed esisterà, solo se avrà consistenza nella nostra mente.

La mia più grande possibilità sono io – Intervista ad Anita Likmeta

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Ho conosciuto Anita Likmeta tramite LinkedIn. Ci siamo scambiati saluti formali e auspici reciproci per la scrittura. Da una ragazza giovane, bella e di successo, mi sarei aspettato la classica “puzza sotto il naso”, che, visto il contesto internazionale, equivale più o meno a meno a “to have the snobbish”, o qualcosa del genere, chi più ne ha più ne metta, anzi, chi più ne sa più ne metta. Invece ho notato e ricevuto molta cortesia, fin dall’inizio. Mi ha incuriosito.

Sono andato e leggere il suo blog, https://anita.tv/me/, e la sua biografia, il sunto della sua vicenda. Così uguale a quella di tanti altri “migranti” e così specifica, diversa. Mi è venuto in mente di chiederle un’intervista per la rubrica “A tu per tu” del mio blog. Mi ha risposto in modo del tutto originale, non riconducibile a schemi, rifuggendo da qualsiasi generalizzazione, predica edificante o proposta di panacea. Mi ha fatto capire che la sua vicenda vale solo per lei, per il suo destino individuale. Eppure, proprio per questo suo rifuggire le frasi fatte e i punti di vista facili e ben confezionati, le sue parole forse possono fungere da spunto e da stimolo, dicendoci d’accordo, oppure dissentendo, scuotendo la testa, dubbiosi o schiettamente contrari.

Le sue parole possono servirci, facendo proporzioni, proiezioni, ipotesi e confronti, a provare a riflettere sulla questione dell’immigrazione, suoi profughi, sull’accoglienza e sui muri, reali e metaforici, sull’integrazione possibile e/o utopica, e su un mare di altre questioni che abbiamo intorno, e dentro. IM

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rubrica “A TU PER TU”

Intervista a ANITA LIKMETA

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1) Benvenuta Anita.

Puoi raccontarci la tua vicenda personale, dalla tua infanzia in Albania fino ad oggi?

Intanto grazie per lo spazio concessomi. Ci vorrebbe molto tempo per spiegare questa domanda, ma cercherò di essere più ermetica possibile. Sono nata a Durazzo, in Albania, ma per questioni private i miei genitori mi hanno portata dai nonni, i quali mi hanno cresciuta per 11 anni e mezzo. Nel 1997 mia madre, la quale era già partita per l’Italia con la prima nave del 1991, fece per me il certificato di ricongiunzione familiare e questo mi permise di partire con lei. Partimmo la mattina del 2 giugno del 1997 per poi raggiungere le sponde di Bari la notte del 3 giugno. Successivamente ci stabilimmo vicino a Pescara. In Italia ho fatto le scuole medie, il liceo classico, poi a Roma l’Accademia d’Arte Drammatica “Corrado Pani” e infine l’Università degli studi di Roma “La Sapienza” dove mi sono laureata in Lettere e Filosofia con l’indirizzo in Scienze Storiche. Ho pubblicato per Il Fatto Quotidiano, IlGiornaleOff, The Huffington Post etc. Oggi ho un mio personal blog, http://www.anita.tv, dove racconto le mie storie e quelle degli altri, insomma l’editore sono io, e questo lo trovo straordinario.

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2) Tu sei un esempio di integrazione riuscita, ma i casi come il tuo non sono frequenti. Quali sono a tuo avviso gli ostacoli che impediscono a tutt’oggi un reale dialogo tra persone e popoli diversi?

Onestamente non saprei dirti se sono davvero un esempio di integrazione riuscita e non mi piace neanche rientrare in questa categoria, non mi piacciono le etichette di alcun genere. Sono un essere libero, sono nata in un Paese che ha avuto una storia difficile e di quella storia ne siamo pagando tutti le conseguenze. Per me è stato un percorso molto arduo inserirmi nel tessuto sociale italiano. Quando ero piccola pensavo soltanto a studiare perché vedevo in questa possibilità la mia realizzazione come individuo. Ad oggi, posso dire che non mi interessa più come gli altri mi percepiscono, tanto meno le varie forme di giudizio che quando ero più acerba mi facevano soffrire. La mia più grande possibilità sono io, la mia casa è il mio corpo, il mio cielo sono i miei occhi. La mia integrità è la mia più grande conquista.

3) Dare consigli non è mai facile, ma, visto che conosci bene sia l’esperienza di chi si trova ospite di una terra non sua sia quella di chi invece è cittadino integrato, cosa ti sentiresti di dire a chi chiede ospitalità e a chi si trova a dover interagire con chi bussa alla sua porta?

In Levitico 19:33-35 sta scritto che: “Quando uno straniero risiede con voi nel vostro Paese, non lo maltratterete. Lo straniero che risiede fra voi, lo tratterete come colui che è nato fra voi; tu l’amerai come te stesso, poiché anche voi foste stranieri nel Paese d’Egitto. Io sono l’Eterno, il vostro Dio. Non farete ingiusta nei giudizi con le misure di lunghezza, di peso e di capacità.”

Ecco, io non aggiungerei niente di più a questa domanda che non può avere nessun altra risposta.

4) Sei arrivata in Italia diversi anni fa. Come l’hai vista trasformarsi in questi anni? Come è cambiata questa nazione e come sono cambiati gli italiani dai tempi del tuo sbarco a Bari?

Gli italiani sono un popolo magnanimo, sempre disposti ad aiutare il prossimo. Amo l’Italia per questo suo modo di rispondere alla vita. Il cuore degli italiani risponde ad una coscienza più alta, divina e giusta. L’Italia è lo stivale che raccoglie tutti, va aiutata e non abbandonata come stanno facendo. Vivendo in Italia ho trovato molte similitudini con l’Albania, in qualche modo questi due popoli sono molto congrui. Forse il clima mediterraneo, forse i rapporti intercorsi da sempre fra questi Paesi ma se scendo in Calabria ho la netta sensazione di parlare con miei conterranei.

5) Ti trovi spesso per ragioni professionali a lavorare e soggiornare all’estero. Quale idea hanno gli stranieri dell’Italia? Corrisponde ai soliti cliché o è basata su conoscenze meno scontate, più accurate e più vicine alla realtà?

Beh, l’idea che gli stranieri hanno dell’Italia è la stessa che gli italiani hanno dell’Albania. Poi ci sono quelli che l’Italia la conoscono davvero, mi è capitato di vedere qui a Londra il documentario di Annalisa Piras e Bill Emmott “Girlfriend in a Coma”, il quale mi è sembrato un perfetto quadro di quello che io stessa ho vissuto negli anni in Italia. Tuttavia, personalmente non mi preoccuperei della visione che gli altri hanno di noi, piuttosto concentro le mie energie sul “fare”.

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6) In questo blog mi occupo principalmente di letteratura, ma anche di cinema, di musica e del mondo artistico. Quali sono stati i libri, i film, le canzoni e le espressioni artistiche che ti hanno maggiormente influenzato e hanno contribuito a formare e perfezionare la tua conoscenza della lingua e della cultura italiana?

Nel 1997, appena sbarcata in questo piccolo paesino, Villanova di Cepagatti, in provincia di Pescara, conobbi in prima media un parrocco, Don Cleto. Mi faceva tanto ridere. Io non portavo mai la merenda a scuola, ma lui ogni giorno si preoccupava se io mangiassi, se io sorridessi, se ero felice o se ero triste. Durante l’ora di religione, Don Cleto decise di portarmi via dalla classe nel suo studio che era sopra la scuola. Nella stanza c’erano una infinità di libri, quaderni pieni di appunti e tante Bibbie in varie lingue. Il parrocco mi chiese di sceglierne uno. Perquisii con attenzione e alla fine presi tra le mani un volume molto corposo. Sulla copertina c’era scritto “William Shakespeare – Le opere”, tradotte in italiano da Montale e Quasimodo.

Trascorsi l’inverno tra il 1997-98 a studiare Shakespeare e me ne innamorai. Poi, ovviamente Montale e Quasimodo, Verga, Pirandello, Ungaretti, Saba, Silone etc, ma devo essere onesta, gli autori che hanno inciso davvero nella mia formazione sono Dostoevskij, Cechov, Goethe, Joyce, Orwell, Dickinson, Wordsworth, Hannah Arendt, Levi, e poi Brecht, le cui poesie sono state per me un punto di riferimento.

Lo ammetto: io

non ho speranza.

Il cieco parla di una via di uscita. Io

ci vedo.

Quando tutti gli errori sono esauriti

l’ultimo compagno che ci sta di fronte

è il Nulla.”

(Der Nachgeborene)

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7) Quali affinità percepisci tra il popolo albanese e quello italiano e quali sono le radici condivise?

L’Albania e’ stata caratterizzata da una lunga storia fatta di continue invasioni: dai greci ai romani, dai goti ai bizantini, ai bulgari, ai serbi, ai normanni, ai veneziani, agli svevi, agli angioini, ai turchi e infine agli italiani. Una somma di successione di popoli che hanno contribuito a modificare il codice genetico più e più volte e quindi alterato il patrimonio storico culturale sociale religioso e politico nei secoli. Come l’Italia, ma per motivi differenti, neppure, o ancor meno, un paese come l’Albania aveva mai conosciuto una compattezza nazionale. I due paesi, data la loro vicinanza geografica, hanno sempre avuto continue relazioni economiche politiche e sociali che risalgono alla diaspora albanese guidata da Giorgio Castriota di Skenderberg che ebbe come conseguenza una massiccia emigrazione di albanesi in Calabria alla fine del 1400. Entrambi sono popoli mediterranei e quindi condividono i modi di vivere la vita, poi noi abbiamo avuto la dittatura di Hoxha per cui siamo stati molto condizionati per 50 anni circa.

8) Tu scrivi per varie testate articoli ben documentati, basati su fatti e osservazioni reali. Se dovessi però scrivere un pezzo di pura fantasia, una specie di proiezione immaginaria sul futuro dell’Europa, quale scenario descriveresti?

L’unione dei popoli d’Europa sarebbe il più bello dei temi.

9) Questa domanda, strettamente legata alla precedente, riguarda invece il tuo ruolo nel mondo dell’editoria. Come ti vedi tra qualche anno, come sarà a tuo parere il mondo dell’informazione e della cultura nel futuro, e, potendo realizzare i tuoi più belli auspici, come vorresti che fosse?

Penso che non ci sarà più l’editoria, piuttosto non ci saranno più i giornali per come li intendiamo. Credo che ognuno potrà essere l’editore di se stesso attraverso il proprio canale.

10) Ringraziandoti per questa tua intervista, ti chiediamo una tua dedica personale ai lettori di questo blog e a tutti gli appassionati di letteratura. Sul frontespizio del tuo libro personale cosa scriveresti?

A Ninì, la bimba dalla ferrea coscienza.

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Anita Likmeta

Anita Likmeta
Anita Likmeta
Dottoressa in Storia medievale, moderna e contemporanea laureata in Lettere e Filosofia all’Università di Roma “La Sapienza, Anita Likmeta è una storica, scrittrice e documentarista.
Nata a Durazzo in Albania si trasferisce in Italia con la famiglia all’età di 11 anni, dapprima nella cittadina di Pescara e in seguito a Roma dove ha frequentato l’Accademia di Recitazione “Corrado Pani”. Nel 2011 si trasferisce a Parigi dove maturerà il suo saggio storico nonché tesi di laurea, discussa con il professore Giancarlo Giordano, in merito alle relazioni tra l’Albania e l’Italia nel periodo che va dal 1922 al 1943. Sempre a Parigi conosce una realtà culturale che l’ha portata a co-dirigere un documentario insieme al regista francese del collettivo Kourtrajmé Mohamed Mazouz dove ha intervistato il candidato premio Nobel per la letteratura e conterraneo Ismail Kadaré, l’artista Kiki Picasso, l’artista italiano Tanino Liberatore e il politico francese Francois Asselineau. Il 13 ottobre del 2013 il giornale “Il Fatto Quotidiano” pubblica un suo articolo in cui racconta il viaggio che l’ha portata in Italia e la sua visione in merito alle politiche dell’immigrazione. Da gennaio 2014 scrive sull’Huffington Post diretto da Lucia Annunziata. Da aprile ad agosto 2015 ha collaborato per la pagina culturale IlGiornaleOff de Il Giornale diretto da Edoardo Sylos Labini.
Vive fra Londra, Roma e Milano.

rubrica A TU PER TU: intervista a Dante Maffia

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Cari amici, Ferragosto è davvero imminente e molti di voi saranno immersi (è il caso di dirlo) in tutt’altre acque e differenti atmosfere.

Qui sulle sponde del web la scrittura e la poesia non vanno del tutto in vacanza e rilevano eventi interessanti.

Tra i tanti segnalati e segnalabili, faccio riferimento all’iniziativa “Erato a Matera” prevista oggi, 13 agosto. Il programma prevede tra l’altro un intervento di Dante Maffia su “La poesia oggi in Italia”. L’argomento è di particolare interesse e il personaggio ha una notevole conoscenza dell’ambiente, una lunga e proficua produzione, e, non ultima, una personalità definita e autonoma. Maffia ha frequentato autori del calibro di Pasolini, Bassani, Carlo Bernari, Amelia Rosselli, Enzo Siciliano, Domenico Repaci, Elio Pagliarani, Attilio Bertolucci, Giacinto Spagnoletti, Sandro Penna, Maria Luisa Spaziani, Giorgio Caproni, Aldo Palazzeschi. È stato candidato al premio Nobel per la letteratura, è poeta, scrittore, critico letterario e orgoglioso testimone della sua terra, la Calabria.

Gli ho posto alcune domande sullo stato attuale della poesia a cui ha risposto con schiettezza e verve, esprimendo il suo personale  punto di vista su vari temi e argomenti, sia di carattere specifico che di portata più generale e onnicomprensiva.

Tutto ciò si inquadra alla perfezione anche nello spirito della rubrica A TU PER TU, il cui intento è quello di generare un potenziale dibattito, uno scambio di pareri e opinioni, sottolineando l’importanza di una pluralità di approcci e prese di posizione.

Partendo da questa intervista si può parlare, per analogia o per contrasto, di tutto ciò che ruota attorno al variegato pianeta della scrittura, e, in termini più ampi, di questo nostro tempo.

Qualsiasi commento che arricchisca il dibattito su questi temi è ben accetto.

L’intervista completa si può leggere anche a questo link: 

Buona lettura! IM

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Intervista aDante Maffia

Che giudizio dai dell’attuale stato della poesia? Come valuti i nuovi fermenti letterari in particolar modo la sperimentazione, anche “ludica” o dissacratoria?

C’è uno stato della poesia attuale? O è soltanto un farneticare approssimativo e superficiale di velleità che crea confusione e non si pone nessun problema e soprattutto non parte dalla conoscenza del passato remoto e prossimo per confrontarsi, colloquiare, disconoscere, ampliare, indignarsi, aderire. Non ci sono nuovi fermenti se non in qualche solitario e ciò che viene offerto e imposto “ufficialmente” è ragione che non ha attinenza con la poesia. E attenti a giocare con la lingua e non fare come quello scienziato che stava studiando le stelle e s’è innamorato del cannocchiale.

Il solo significante, non mi stancherò mai di ribadirlo, non porta da nessuna parte. I giochi di prestigio e i cruciverba fatti passare per poesia sono ridicolaggini da circo equestre, che non lasciano traccia. Tra l’altro non sono affatto una novità le composizioni del nonsenso, appaiono in Gran Bretagna già nel Settecento. Ciò non significa che bisogna muoversi nell’acqua stagnante o putrida, ma con atteggiamento giusto, consapevoli che la poesia non è solo vocabolario o trovata, ma qualcosa di più profondo, un’alchimia imponderabile fatta di vari elementi che per diventare poesia devono amalgamarsi perfettamente.

A me, quando si parla di avanguardie, mi viene da ridere, perché chi scrive è sempre nella postazione delle avanguardie. E poi, ci possono essere le avanguardie se non esistono le retroguardie? Perché in Italia siamo arrivati a questo, perfino ad affermare che i classici sono roba inutile, zavorra. Intanto hanno alimentato epoche intere e alimentano anche la nostra nei più intelligenti e più accorti, perché la poesia è diversa dalla scienza. Qualsiasi insegnante di matematica e fisica delle scuole medie è più bravo di Galilei ma nessun insegnante di lettere ha una briciola di Dante Alighieri. La poesia non è sviluppo costante, approdo e svolta di un qualcosa, ma realizzazione di un miracolo di emozioni e di pensiero che spalanca la nostra coscienza ad emozioni inusitate che ci permettono di avere consapevolezza della realtà e del mondo. Insomma, la poesia, se c’è, è senza tempo e senza aggettivi, ecco perché chi mescola e fa il funambolo non coagula che aria fritta.

Pensi che la poesia, nell’intento di aprirsi ad un pubblico più ampio, rischi in alcuni casi di snaturarsi oppure che tale ampliamento sia insito nel processo innovativo? Leggi il seguito di questo post »