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Alice nel labirinto – intervista a Roberta De Tomi

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Spazia con curiosità e fantasia, Roberta De Tomi,  in vari ambiti e tra vari generi. Ha scritto libri diversi l’uno dell’altro ma con il comun denominatore di una passione vivida, a tratti “speziata”, che la porta a cercare storie e argomenti in grado di suscitare a loro volta la curiosità, l’interesse e la passione del lettore, conducendolo in ambiti in cui realtà e dimensione onirica si incontrano, giocando a creare nuovi spazi, mondi possibili.
L’intervista qui pubblicata ci offre l’opportunità di approfondire la conoscenza con questa autrice vivace che opera attivamente anche in rete. Ci conduce inoltre a esplorare territori del panorama letterario che hanno molti appassionati lettori.
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2021Alice nel labirinto

A TU PER TU UNA RETE DI VOCI
 L’obiettivo della rubrica A TU PER TU, rinnovata in un quest’epoca di contagi e di necessari riadattamenti di modi, tempi e relazioni, è, appunto, quella di costruire una rete, un insieme di nodi su cui fare leva, per attraversare la sensazione di vuoto impalpabile ritrovando punti di appoggio, sostegno, dialogo e scambio.Rivolgerò ad alcune autrici ed alcuni autori, del mondo letterario e non solo, italiani e di altre nazioni, un numero limitato di domande, il più possibile dirette ed essenziali, in tutte le accezioni del termine. Le domande permetteranno a ciascuna e a ciascuno di presentare se stessi e i cardini, gli snodi del proprio modo di essere e di fare arte: il proprio lavoro e ciò che lo nutre e lo ispira. Saranno volta per volta le stesse domande. Le risposte di artisti con background differenti e diversi stili e approcci, consentiranno, tramite analogie e contrasti, di avere un quadro il più possibile ampio e vario individuando i punti di appoggio di quella rete di voci, di volti e di espressioni a cui si è fatto cenno e a cui è ispirata questa rubrica. IM

5 domande

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Roberta De Tomi

1 ) Il mio benvenuto, innanzitutto.

Puoi fornire un tuo breve “autoritratto” in forma di parole ai lettori di Dedalus?

Un saluto ai lettori e alle lettrici e un grazie per l’attenzione che mi dedichi. Non sarà un “autoritratto”… alla Dorian Gray, anche se sarebbe bello immortalare un pizzico di bellezza in questo momento storico così difficile. A parte questo, ho dipinto di colori diverse pagine che sono diventati racconti e romanzi. Ho iniziato in sordina, dopo essermi laureata al DAMS di Bologna, partecipando ad alcuni concorsi letterari, all’interno dei quali ho ottenuto buoni esiti. In parallelo ho iniziato un percorso lavorativo nella comunicazione che ha toccato diversi ambiti in maniera trasversale: dal giornalismo ai blog, passando per la gestione di eventi e uffici stampa. Parallelamente mi sono occupata anche di altre mansioni, ma sempre tenendo stretta la passione per la scrittura; passione che, dopo le prime prove, mi ha portato alla pubblicazione.
Ho vissuto e vivo con un certo travaglio la precarietà della mia generazione, tanto che ai tempi, con un blog e articoli dedicati, ho cercato di parlarne; ma mi rendo conto che certi argomenti sono spine che bruciano, vasi di cristallo da maneggiare con cura. Viviamo tempi complessi, sospesi, forse stiamo aspettando Godot; sinceramente io non riesco a stare ferma, in attesa di un miracolo salvifico. Non è nella mia indole, ho bisogno di creare, di fare qualcosa e di incuriosirmi. Creare è vivere.

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La mia più grande possibilità sono io – Intervista ad Anita Likmeta

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Ho conosciuto Anita Likmeta tramite LinkedIn. Ci siamo scambiati saluti formali e auspici reciproci per la scrittura. Da una ragazza giovane, bella e di successo, mi sarei aspettato la classica “puzza sotto il naso”, che, visto il contesto internazionale, equivale più o meno a meno a “to have the snobbish”, o qualcosa del genere, chi più ne ha più ne metta, anzi, chi più ne sa più ne metta. Invece ho notato e ricevuto molta cortesia, fin dall’inizio. Mi ha incuriosito.

Sono andato e leggere il suo blog, https://anita.tv/me/, e la sua biografia, il sunto della sua vicenda. Così uguale a quella di tanti altri “migranti” e così specifica, diversa. Mi è venuto in mente di chiederle un’intervista per la rubrica “A tu per tu” del mio blog. Mi ha risposto in modo del tutto originale, non riconducibile a schemi, rifuggendo da qualsiasi generalizzazione, predica edificante o proposta di panacea. Mi ha fatto capire che la sua vicenda vale solo per lei, per il suo destino individuale. Eppure, proprio per questo suo rifuggire le frasi fatte e i punti di vista facili e ben confezionati, le sue parole forse possono fungere da spunto e da stimolo, dicendoci d’accordo, oppure dissentendo, scuotendo la testa, dubbiosi o schiettamente contrari.

Le sue parole possono servirci, facendo proporzioni, proiezioni, ipotesi e confronti, a provare a riflettere sulla questione dell’immigrazione, suoi profughi, sull’accoglienza e sui muri, reali e metaforici, sull’integrazione possibile e/o utopica, e su un mare di altre questioni che abbiamo intorno, e dentro. IM

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rubrica “A TU PER TU”

Intervista a ANITA LIKMETA

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1) Benvenuta Anita.

Puoi raccontarci la tua vicenda personale, dalla tua infanzia in Albania fino ad oggi?

Intanto grazie per lo spazio concessomi. Ci vorrebbe molto tempo per spiegare questa domanda, ma cercherò di essere più ermetica possibile. Sono nata a Durazzo, in Albania, ma per questioni private i miei genitori mi hanno portata dai nonni, i quali mi hanno cresciuta per 11 anni e mezzo. Nel 1997 mia madre, la quale era già partita per l’Italia con la prima nave del 1991, fece per me il certificato di ricongiunzione familiare e questo mi permise di partire con lei. Partimmo la mattina del 2 giugno del 1997 per poi raggiungere le sponde di Bari la notte del 3 giugno. Successivamente ci stabilimmo vicino a Pescara. In Italia ho fatto le scuole medie, il liceo classico, poi a Roma l’Accademia d’Arte Drammatica “Corrado Pani” e infine l’Università degli studi di Roma “La Sapienza” dove mi sono laureata in Lettere e Filosofia con l’indirizzo in Scienze Storiche. Ho pubblicato per Il Fatto Quotidiano, IlGiornaleOff, The Huffington Post etc. Oggi ho un mio personal blog, http://www.anita.tv, dove racconto le mie storie e quelle degli altri, insomma l’editore sono io, e questo lo trovo straordinario.

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2) Tu sei un esempio di integrazione riuscita, ma i casi come il tuo non sono frequenti. Quali sono a tuo avviso gli ostacoli che impediscono a tutt’oggi un reale dialogo tra persone e popoli diversi?

Onestamente non saprei dirti se sono davvero un esempio di integrazione riuscita e non mi piace neanche rientrare in questa categoria, non mi piacciono le etichette di alcun genere. Sono un essere libero, sono nata in un Paese che ha avuto una storia difficile e di quella storia ne siamo pagando tutti le conseguenze. Per me è stato un percorso molto arduo inserirmi nel tessuto sociale italiano. Quando ero piccola pensavo soltanto a studiare perché vedevo in questa possibilità la mia realizzazione come individuo. Ad oggi, posso dire che non mi interessa più come gli altri mi percepiscono, tanto meno le varie forme di giudizio che quando ero più acerba mi facevano soffrire. La mia più grande possibilità sono io, la mia casa è il mio corpo, il mio cielo sono i miei occhi. La mia integrità è la mia più grande conquista.

3) Dare consigli non è mai facile, ma, visto che conosci bene sia l’esperienza di chi si trova ospite di una terra non sua sia quella di chi invece è cittadino integrato, cosa ti sentiresti di dire a chi chiede ospitalità e a chi si trova a dover interagire con chi bussa alla sua porta?

In Levitico 19:33-35 sta scritto che: “Quando uno straniero risiede con voi nel vostro Paese, non lo maltratterete. Lo straniero che risiede fra voi, lo tratterete come colui che è nato fra voi; tu l’amerai come te stesso, poiché anche voi foste stranieri nel Paese d’Egitto. Io sono l’Eterno, il vostro Dio. Non farete ingiusta nei giudizi con le misure di lunghezza, di peso e di capacità.”

Ecco, io non aggiungerei niente di più a questa domanda che non può avere nessun altra risposta.

4) Sei arrivata in Italia diversi anni fa. Come l’hai vista trasformarsi in questi anni? Come è cambiata questa nazione e come sono cambiati gli italiani dai tempi del tuo sbarco a Bari?

Gli italiani sono un popolo magnanimo, sempre disposti ad aiutare il prossimo. Amo l’Italia per questo suo modo di rispondere alla vita. Il cuore degli italiani risponde ad una coscienza più alta, divina e giusta. L’Italia è lo stivale che raccoglie tutti, va aiutata e non abbandonata come stanno facendo. Vivendo in Italia ho trovato molte similitudini con l’Albania, in qualche modo questi due popoli sono molto congrui. Forse il clima mediterraneo, forse i rapporti intercorsi da sempre fra questi Paesi ma se scendo in Calabria ho la netta sensazione di parlare con miei conterranei.

5) Ti trovi spesso per ragioni professionali a lavorare e soggiornare all’estero. Quale idea hanno gli stranieri dell’Italia? Corrisponde ai soliti cliché o è basata su conoscenze meno scontate, più accurate e più vicine alla realtà?

Beh, l’idea che gli stranieri hanno dell’Italia è la stessa che gli italiani hanno dell’Albania. Poi ci sono quelli che l’Italia la conoscono davvero, mi è capitato di vedere qui a Londra il documentario di Annalisa Piras e Bill Emmott “Girlfriend in a Coma”, il quale mi è sembrato un perfetto quadro di quello che io stessa ho vissuto negli anni in Italia. Tuttavia, personalmente non mi preoccuperei della visione che gli altri hanno di noi, piuttosto concentro le mie energie sul “fare”.

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6) In questo blog mi occupo principalmente di letteratura, ma anche di cinema, di musica e del mondo artistico. Quali sono stati i libri, i film, le canzoni e le espressioni artistiche che ti hanno maggiormente influenzato e hanno contribuito a formare e perfezionare la tua conoscenza della lingua e della cultura italiana?

Nel 1997, appena sbarcata in questo piccolo paesino, Villanova di Cepagatti, in provincia di Pescara, conobbi in prima media un parrocco, Don Cleto. Mi faceva tanto ridere. Io non portavo mai la merenda a scuola, ma lui ogni giorno si preoccupava se io mangiassi, se io sorridessi, se ero felice o se ero triste. Durante l’ora di religione, Don Cleto decise di portarmi via dalla classe nel suo studio che era sopra la scuola. Nella stanza c’erano una infinità di libri, quaderni pieni di appunti e tante Bibbie in varie lingue. Il parrocco mi chiese di sceglierne uno. Perquisii con attenzione e alla fine presi tra le mani un volume molto corposo. Sulla copertina c’era scritto “William Shakespeare – Le opere”, tradotte in italiano da Montale e Quasimodo.

Trascorsi l’inverno tra il 1997-98 a studiare Shakespeare e me ne innamorai. Poi, ovviamente Montale e Quasimodo, Verga, Pirandello, Ungaretti, Saba, Silone etc, ma devo essere onesta, gli autori che hanno inciso davvero nella mia formazione sono Dostoevskij, Cechov, Goethe, Joyce, Orwell, Dickinson, Wordsworth, Hannah Arendt, Levi, e poi Brecht, le cui poesie sono state per me un punto di riferimento.

Lo ammetto: io

non ho speranza.

Il cieco parla di una via di uscita. Io

ci vedo.

Quando tutti gli errori sono esauriti

l’ultimo compagno che ci sta di fronte

è il Nulla.”

(Der Nachgeborene)

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7) Quali affinità percepisci tra il popolo albanese e quello italiano e quali sono le radici condivise?

L’Albania e’ stata caratterizzata da una lunga storia fatta di continue invasioni: dai greci ai romani, dai goti ai bizantini, ai bulgari, ai serbi, ai normanni, ai veneziani, agli svevi, agli angioini, ai turchi e infine agli italiani. Una somma di successione di popoli che hanno contribuito a modificare il codice genetico più e più volte e quindi alterato il patrimonio storico culturale sociale religioso e politico nei secoli. Come l’Italia, ma per motivi differenti, neppure, o ancor meno, un paese come l’Albania aveva mai conosciuto una compattezza nazionale. I due paesi, data la loro vicinanza geografica, hanno sempre avuto continue relazioni economiche politiche e sociali che risalgono alla diaspora albanese guidata da Giorgio Castriota di Skenderberg che ebbe come conseguenza una massiccia emigrazione di albanesi in Calabria alla fine del 1400. Entrambi sono popoli mediterranei e quindi condividono i modi di vivere la vita, poi noi abbiamo avuto la dittatura di Hoxha per cui siamo stati molto condizionati per 50 anni circa.

8) Tu scrivi per varie testate articoli ben documentati, basati su fatti e osservazioni reali. Se dovessi però scrivere un pezzo di pura fantasia, una specie di proiezione immaginaria sul futuro dell’Europa, quale scenario descriveresti?

L’unione dei popoli d’Europa sarebbe il più bello dei temi.

9) Questa domanda, strettamente legata alla precedente, riguarda invece il tuo ruolo nel mondo dell’editoria. Come ti vedi tra qualche anno, come sarà a tuo parere il mondo dell’informazione e della cultura nel futuro, e, potendo realizzare i tuoi più belli auspici, come vorresti che fosse?

Penso che non ci sarà più l’editoria, piuttosto non ci saranno più i giornali per come li intendiamo. Credo che ognuno potrà essere l’editore di se stesso attraverso il proprio canale.

10) Ringraziandoti per questa tua intervista, ti chiediamo una tua dedica personale ai lettori di questo blog e a tutti gli appassionati di letteratura. Sul frontespizio del tuo libro personale cosa scriveresti?

A Ninì, la bimba dalla ferrea coscienza.

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Anita Likmeta

Anita Likmeta
Anita Likmeta
Dottoressa in Storia medievale, moderna e contemporanea laureata in Lettere e Filosofia all’Università di Roma “La Sapienza, Anita Likmeta è una storica, scrittrice e documentarista.
Nata a Durazzo in Albania si trasferisce in Italia con la famiglia all’età di 11 anni, dapprima nella cittadina di Pescara e in seguito a Roma dove ha frequentato l’Accademia di Recitazione “Corrado Pani”. Nel 2011 si trasferisce a Parigi dove maturerà il suo saggio storico nonché tesi di laurea, discussa con il professore Giancarlo Giordano, in merito alle relazioni tra l’Albania e l’Italia nel periodo che va dal 1922 al 1943. Sempre a Parigi conosce una realtà culturale che l’ha portata a co-dirigere un documentario insieme al regista francese del collettivo Kourtrajmé Mohamed Mazouz dove ha intervistato il candidato premio Nobel per la letteratura e conterraneo Ismail Kadaré, l’artista Kiki Picasso, l’artista italiano Tanino Liberatore e il politico francese Francois Asselineau. Il 13 ottobre del 2013 il giornale “Il Fatto Quotidiano” pubblica un suo articolo in cui racconta il viaggio che l’ha portata in Italia e la sua visione in merito alle politiche dell’immigrazione. Da gennaio 2014 scrive sull’Huffington Post diretto da Lucia Annunziata. Da aprile ad agosto 2015 ha collaborato per la pagina culturale IlGiornaleOff de Il Giornale diretto da Edoardo Sylos Labini.
Vive fra Londra, Roma e Milano.

rubrica A TU PER TU – Un mecenate moderno, Alessandro Dall’Oglio

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Il tema con cui inauguro la rubrica A TU PER TU è il mecenatismo moderno. Spero che l’intervista ad Alessandro Dall’Oglio, giovane mecenate romano, possa incuriosire e generare un dibattito, dei commenti e delle ulteriori riflessioni. Di sicuro può apparire strano o almeno in controtendenza che qualcuno, oggi, in un mondo in cui tutto sembra finalizzato esclusivamente al profitto individuale e alla valorizzazione del proprio mondo e della propria immagine, dedichi tempo e denaro per promuovere il lavoro altrui. Le domande sono legittime ma dall’intervista è emerso un entusiasmo sincero. L’esperienza è circoscritta, sebbene affondi le radici in un ambito metropolitano esteso come quello della capitale. Sarebbe molto interessante poter confrontare l’attività, i punti di vista e i progetti di Dall’Oglio con quelli di altre persone, italiane e non, che si dedicano fattivamente alla promozione dell’arte e della cultura. Scoprire che esistono anche queste realtà ci dà qualche motivo di speranza. Certo non è possibile sperare in immediate panacee ma anche questi segnali possono fare intravedere una controtendenza, le basi per un cambiamento di prospettiva, auspicabile e necessario.

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UN MECENATE MODERNO

INTERVISTA AD ALESSANDRO DALL’OGLIO

1 : Potresti riassumere il tuo percorso personale e le tappe che ti hanno condotto a prendere la decisione di diventare un mecenate?

La mia formazione iniziale è stata prevalentemente economica, ma si trattava di un percorso troppo tracciato e delineato su binari retti e paralleli che lasciavano poco spazio alla mia vera creatività. Anche il master in risorse umane mi diversificava ma non mi dava la possibilità di esprimere bene il potenziale, soprattutto nella mia direzione, ovvero quella che sentivo forte dentro. Di letteratura mi ero sempre interessato e fu così che i primi percorsi artistici coincisero con l’esercizio dell’attività di scrittore e poeta, da cui nacquero i cinque libri pubblicati finora. Ma il mio interesse e la mia curiosità per tutte le forme di arte andavano ben oltre e la coincidenza del conseguimento di un premio letterario fu per me il trampolino ideale per approfondire ulteriori arti in cui la mia capacità stava proprio nella curiosità di scoprire e valorizzare gli altrui talenti anche nei campi artistici che mi erano meno vicini.

2 : Quali aspetti del mondo dell’arte e delle lettere ti hanno colpito, in modo positivo e negativo, e ti hanno spinto ad impegnarti in prima persona?

Mentre nella letteratura e poesia avevo ben chiaro cosa dire e come dirlo, nelle altre arti ho sempre avuto una predilizione per quelle visive, dove imparavo facendo da spettatore. Ma lo studio della storia dell’arte e la mia passione per le tante visite guidate a cui ho preso parte, furono cullate dalla maestra di arte, storia e lettere antiche che risponde al nome di Laura Angelelli. Proprio in quel periodo conobbi la figura di Carlo Pretto, che mi spinse verso la prime pubblicazioni in quanto fu il primissimo a vedere le mie poesie ancora embrionali. Raccolsi subito il suo incitamento in quanto riconobbi in lui quelle qualità di successo sia come scrittore che come maestro di vita, in ogni campo, non solo umanistico ma anche scientifico. Fu invece Achille Maria Lotto a leggere per la prima volta le mie opere in pubblico, da poco edite e a dargli quelle diverse intonazioni che ne ampliavano il raggio comunicativo. Imparai subito da quell’esperienza, evolvendo tutti i futuri componimenti in senso sinestetico, ma senza togliere nulla all’ermetismo di “olio essenziale dell’arte” che deve comunque avere la poesia.

3 : Che significato ha per te la parola mecenate e come concili la tradizione con il presente? Ossia quali caratteristiche deve avere un mecenate nel mondo di oggi e cosa unisce e divide la figura del mecenate moderno da quella dei secoli passati?

La parola mecenate ha per me un significato che mi riporta direttamente alla fonte, ovvero la associo proprio alla radice, nella storica figura di Caio Cilnio Mecenate. Con lui ho in comune origini materne e tanti aspetti del carattere. Tuttavia nel corso dei secoli il mecenatismo fu poi associato a grandi committenti, quali papi, re e principi di corte. Servivano infatti tanta fama ma anche fortune e capitali per poter attrarre e sviluppare i talenti del passato. Oggi invece, in un mondo più globalizzato e connesso, è più facile entrare in contatto con i nuovi artisti e poterli aiutare o valorizzare con un esborso economico necessariamente più moderato. Un mecenate oggi deve essere più  semplicemente connesso, centrato e pronto. Ma soprattutto con voglia di fare e approfondire anche le arti che non esprime in proprio, perché in effetti oggi il mecenate non può prescindere da essere lui stesso un artista per comprendere le infinite nuove manifestazioni dell’artificio umano.

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4 : Il tuo impegno è fortemente radicato nella tua città, Roma, e in particolare nel quartiere storico della Garbatella. Quali connotazioni ha questa tua scelta, anche considerando i personaggi e i simboli che contraddistinguono la tua zona di elezione?

La Garbatella è innanzitutto il quartiere in cui ho scelto di vivere. Infatti dopo aver vissuto anche al Poggio della Montagnola, ho voluto risiedere ancora più vicino alla parte barocca e storica del quartiere, proprio perché ne ho avuto modo di apprezzare la rivalutazione post-industriale e culturale per la quale oggi possiamo trovare quotidianamente gruppi di turisti o di romani stessi, visitare, fotografare e apprendere con grande interesse la storia di questo quartiere e del rinascimento economico della capitale che iniziò poco dopo la prima guerra mondiale. Ma non solo, senza scomodare i grandi del passato che hanno risieduto o girato scene meravigliose in questo set naturale che ha da sempre fornito una coreografia d’eccezione a chi l’ha saputa scovare, oggi è divenuto anche sede di molte manifestazioni culturali tra cui il mio amato festival Diecilune, per la quinta edizione del quale ho voluto fortemente la sede istituzionale del “Millepiani coworking”.

5 : Con quali criteri scegli gli interventi mecenatici?

Nella scelta degli artisti da valorizzare, il primo criterio è sempre quello del talento. Dopodiché un mecenate deve introdurre spesso l’elemento terra nell’artista che ne è generalmente carente e quindi proprio per questo motivo il secondo criterio è quello dell’umiltà che dovrebbero avere tutte le persone, più o meno affermate che siano. Infine è molto importante entrare in risonanza o confluenza con gli artisti fino a riconoscere in loro un qualcosa che è anche in parte tuo, affinché sia motivante ad avvicinarmi come mecenate. Persone come Vittorio Beltrami e Andreas Romagnoli ad esempio, sono dei veri “top” nel valorizzare le persone e con essi condivido gli stessi valori nella galleria “Curva Pura” al gazometro. Da loro ho imparato ad esempio che comprare opere magari censurate come “Pene” di Maria Letizia Avato alias “Sambiagio” sarà senz’altro un buon investimento, oltre che valorizzante per l’artista stessa.

6 : Il tuo impegno per la valorizzazione del Cimitero Acattolico di Roma è stato ed è concreto e fattivo. Puoi parlarci delle tue recenti iniziative in tal senso? Puoi anche dirci se l’impegno a favore del Cimitero Acattolico è anche un modo, sia simbolico che concreto, per sottolineare l’importanza della libertà espressiva nell’arte e nella vita?

Penso che nella vita spesso andare controcorrente sia il modo migliore di percorrere i percorsi e passaggi. Soddisfare prima le esigenze di eterno o di trascendente per me viene prima di molte delle altre troppo dispersive e contingenti sfide. Così mi riallaccio alla domanda sul cimitero acattolico che per me rappresenta il museo all’aperto più importante e bello di Roma. La direttrice Amanda Thursfield mi ha dato l’opportunità di compiere opere di bellezza e verità tramite lo strumento del restauro, per cui sono io ad esserle debitore per quello che ho finanziato. Per questo donerò a lei e al cimitero anche una scultura commissionata a Gianfranco Malorgio, ovvero una rosa di marmo. Trattasi di un’opera ispirata da una mia recentissima poesia scritta proprio in questo luogo sacro e dal sapore metafisico. Inoltre in occasione dello storico 300-simo anniversario, a cui mancano solo pochi mesi mi sono offerto per essere tra i sub-sponsor della mostra commemorativa che si terrà presso la casa museo di Goethe a via del corso.

7 :  Quali sono i tuoi progetti futuri?

Tra i progetti futuri, oltre a quello appena sopra esplicitato,  c’è sicuramente l’impegno nel valorizzare il teatro. Il flusso d’energia universale mi ha fatto incontrare il maestro Marco Belocchi a cui vorrei affidare la regia della trasposizione in scena di un romanzo-capolavoro di un grande scrittore russo del novecento, sperando di poterlo far collaborare con quella schiera di artisti che più di tutti stimo in questo momento per le opere che stanno interpretando e realizzando su diversi palcoscenici romani. Mi riferisco in primis a Maurizio Canforini, l’artista più completo che abbia mai conosciuto, ma anche a Vanina Marini ed Erika Puddu già protagoniste nella compagnia teatrale dell’ultimo “Mercante di Venezia” e di molte altre opere, fino a giungere al coraggio dell’attrice e imprenditrice Laura Monaco, che in meno di un anno è passata dalla recitazione nel “Coroliano” all’ottimo avviamento del teatro “L’Aura”.