Italo Calvino
LOST (AND FOUND) IN TRANSLATION
LOST (AND FOUND) IN TRANSLATION
La scrittrice e poetessa serba Valentina Novković, che ringrazio, mi ha rivolto alcune empatiche ed interessanti domande. Ho accettato volentieri di rispondere. Il problema è che Valentina non parla italiano e io non parlo serbo. Abbiamo dialogato in inglese e Valentina ha poi inviato le domande alla rivista Pokazivač. Ringrazio anche la scrittrice Khosiyat Rustam per aver pubblicato l’intervista nella rivista uzbeca Kitob dunyosi.
Ho ritradotto domande e risposte in italiano.
Viva Babele, e buona estate a tutte e a tutti,
IM
Intervista di Valentina Novković
a Ivano Mugnaini
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Tra i classici della letteratura italiana ci sono Ludovico Ariosto, Italo Calvino, Umberto Eco, Alessandro Manzoni e molti altri. Quali scrittori italiani o mondiali hanno avuto la maggiore influenza su di te, ricordi il primo libro che hai letto?
Comincio dall’ultima parte, che è la più facile: qualche anno fa (meglio non contarli) un’anziana signora che abitava vicino a me mi regalò un pallone e un libro. Mi sono piaciuti entrambi i regali. Mi hanno dato un senso di libertà. Il libro era Il giro del mondo in ottanta giorni. Forse era solo un caso, o forse un segno.
Gli autori che hai elencato nella tua domanda hanno dimostrato che la letteratura può volare (e far volare i lettori) attraverso epoche e luoghi diversi, nel mondo e nella dimensione ancora inesplorata, selvaggia e meravigliosa che è la mente umana.
Mi piacciono gli scrittori che indagano, con ironia, la condizione umana. Potrei citarne diversi, Pirandello, Beckett, Jonesco e molti altri.
Tempo innocente
L’idea dell’innocenza abbinata al concetto di tempo è a dir poco inusuale. Nel corso dei secoli e nelle pagine di innumerevoli libri il tempo è stato descritto come tiranno, assassino, spietato divoratore di membra, padre feroce che si nutre dei propri figli. Rosa Salvia, in questo suo libro, giocato con estrema cura e consapevolezza sul discrimine sottile tra emozione e riflessione, ha voluto, al contrario, dichiararne l’innocenza.
Una mia recensione al libro. Buona lettura, IM
Rosa Salvia, Tempo innocente
Lietocolle, Collana Erato, 2019.
recensione di Ivano Mugnaini
L’idea dell’innocenza abbinata al concetto di tempo è a dir poco inusuale. Nel corso dei secoli e nelle pagine di innumerevoli libri il tempo è stato descritto come tiranno, assassino, spietato divoratore di membra, padre feroce che si nutre dei propri figli. Rosa Salvia, in questo suo libro, giocato con estrema cura e consapevolezza sul discrimine sottile tra emozione e riflessione, ha voluto, al contrario, dichiararne l’innocenza. L’autrice è troppo scrupolosa e conscia per aver semplicemente voluto divertirsi a stupire con un titolo ad effetto. Il libro è un invito alla ricerca, al pensiero critico, ad una visione attenta, divergente, laddove è necessario. È una lunga e appassionata “caccia al tesoro” per giungere a scoprire un frammento di verità, sia essa pietra salda o fiato impalpabile di un’ipotesi condivisa. Più esattamente, è una specie di gioco dei mimi in cui si tratta di indovinare chi è il personaggio, cosa fa, quale azioni compie, e, soprattutto, cosa siamo noi in rapporto a lui. Forse, in ultima istanza, si tratta di scoprire se quel personaggio che cerchiamo di indovinare, quello che viene definito innocente ma ci atterrisce, quello che ci terrorizza ma in realtà non ha colpa, in fondo, siamo noi. L’immagine di noi, l’essenza di noi.
“Oggi il sole è uno splendore!” Il primissimo verso della raccolta è questo. Sembra una pura descrizione, un’esclamazione di gioia estatica, lineare, incondizionata. Invece, per fortuna dell’autrice e del lettore, in questo libro di semplice c’è poco o niente e di puro c’è solo il desiderio di scoprire ambivalenze, coesistenze di realtà e sensazioni, in poche parole “impurità”. Solo ciò che è spurio, in grado di leggere allo stesso tempo le righe e lo spazio misterioso che le separa e le unisce, ci avvicina di qualche passo, senza annichilirci, allo splendore di quel sole da cui siamo partiti. Non è un caso che un passo oltre, nei versi successivi della lirica d’esordio, faccia la sua comparsa un “immenso occhio curioso” che gioca “fra i ghirigori della tenda”.
Luoghi d’autore. A spasso con Calvino
L’intento della rubrica Luoghi d’autore è descritto qui sotto: provare a vedere alcuni luoghi, borghi o città, reali o immaginari, con gli occhi di scrittori fondamentali del secolo scorso e non solo.
Le tappe fondamentali di questa “esplorazione” a metà strada tra documento e immaginazione, verranno ospitate dalla rivista L’Ottavo, a cura di Geraldine Meyer, che ringrazio per l’ospitalità.
Pubblico qui la prima “passeggiata” letteraria, quella con Italo Calvino. E vi invito a leggere l’articolo completo, assieme ad altri scritti in prosa e poesia, a questo link:
https://www.lottavo.it/2020/03/luoghi-dautore-oggi-a-spasso-con-calvino/?fbclid=IwAR21c5ka0Q4ORwJsA_FcHn-kIgGEN6vJkkSuPwx3afBEa_WBXszePAXe-E0
IM
Luoghi d’Autore contiene esplorazioni, esercizi di lettura e rilettura, brevi ma appassionate escursioni “informali” in abiti lievi e colori accesi su fondamentali sentieri panoramici. Indaga sul rapporto tra alcuni scrittori e poeti del Novecento e i loro luoghi di residenza ed elezione, le città e i borghi in cui hanno vissuto e lottato per il diritto di esistere e resistere, per la necessità, il fardello e il privilegio dell’espressione.
Rubrica a cura di Ivano Mugnaini
A spasso con Calvino: nei luoghi, oltre i luoghi fino dentro la realtà
Se una notte d’autunno un lettore….
Se una notte d’autunno un lettore si trovasse a pensare a Calvino, alla sua fama, alla sua controversa ma innegabile attualità, alle polemiche a tratti aspre e in altri casi leziose che ne fanno comunque oggetto di dibattito come se avesse pubblicato oggi stesso un nuovo libro… ebbene, il suddetto lettore si troverebbe, alla fine, a riflettere su delle nuove o vecchie cosmicomiche.
Italo Calvino (Foto da illibraio.it)
Calvino è stato un “pianista” della parola. Ha saputo adattarsi con elasticità alle esigenze, ai temi, alle corde e agli accordi del suo essere e a quelli del mondo. Ecco, probabilmente è questa una delle possibili parole chiave: mondo. In primis per l’internazionalità autentica, genetica, che gli era propria. Non solo per la nascita nella caraibica Cuba, ma soprattutto per la capacità di esplorare continenti, lingue e mentalità diverse e farle proprie. Estremamente ligure in questo, con un piede sulla terraferma e uno proteso verso il mare, calmo o in tempesta, limpido o denso e scuro. Ma Calvino è stato e ha scritto del mondo perché ha rifiutato di collocarsi nella proverbiale torre d’avorio. Ha percorso e abitato città reali, estremamente visibili, con quello sguardo attento e astuto da marinaio, tra sorriso ironico e amaro.
Di New York, Parigi, Roma e di mille altre luoghi visti e vissuti, ha colto il mito senza abdicare alla realtà, proponendo e rielaborando, mattone su mattone, una forma di verità che facesse pensare senza lacerare, conservando la capacità di spaziare tra presente e passato, tra la dimensione concreta e una giocosa, profondamente umana, filosoficamente infantile.
Di questi ossimori e questi paradossi si nutre la sua scrittura e l’attrazione che esercita. Talmente ampia da includere anche la sua controparte, le prese di posizione di alcuni detrattori che comunque fanno riferimento ai suoi testi, li analizzano e li dissezionano, dimostrando immancabilmente una conoscenza approfondita dei tessuti e delle arterie di quel corpo così multiforme. Calvino ha il dono e il castigo di generare giudizi divergenti. La mia esperienza personale non ha alcun rilievo sul piano statistico, chiaramente, ma può servire, almeno qui e ora, a confermare che i giudizi sullo scrittore molto di rado sono serenamente anodini. Un mio amico molto colto e preparato, formidabile bevitore poco santo e parecchio logorroico, non molte sere or sono mi ha bloccato al tavolo di una cena per oltre un paio d’ore per dirmi, tra le altre cose, che a suo avviso tutta la produzione di Calvino non vale niente (anche se lo ha detto in termini più coloriti, abbondanti di lettere zeta) e che si salva solamente “Se una notte d’inverno”, proprio in quanto testo atipico, quasi un non-romanzo, una specie di ibrido alla Frankenstein, oppure un divertissement, insomma una “roba strana”, fuori schema. Pochi giorni dopo, in virtù della logica dell’alternanza, una mia amica scrittrice e giornalista mi ribadiva con foga, al contrario, il suo amore, non per me ma per il suddetto Calvino. Più che di amore si trattava e si tratta di vera e propria fede, laica, d’accordo, ma del tutto assoluta, quasi integralista. La giornalista dalle grandi doti comunicative aveva creato addirittura un club, un Circolo Pickwick di giovani scrittori di belle speranze, i quali, ispirandosi allo stile e ai temi cari a Calvino, avevano scritto un’antologia di racconti dal titolo “La consistenza”, con un’eco lunga e appassionata che riportava alle Lezioni americane da lei idolatrate e recitate brano dopo brano come versetti biblici o coranici.
Tutto questo per ribadire che il viaggio di Calvino prosegue, con costanza, sempre di buona lena, e che la sua forza con ogni probabilità è in quella capacità di generare consistenza nell’inconsistenza e varietà nell’uniformità: giudizi contrapposti ma attenzione identica. Leggi il seguito di questo post »