mondadori
Accademia del giallo e del noir

NASCE L’ACCADEMIA DEL GIALLO E DEL NOIR:
LA PRIMA SCUOLA PER GIALLISTI IN ITALIA ARRIVA A MILANO, DIRETTA DALLO SCRITTORE PAOLO ROVERSI
Tra i docenti i migliori scrittori e esperti di giallo: MasterClass, Weekend in giallo e Speciali d’autore per imparare a scrivere un romanzo, una sceneggiatura, una serie tv.
Nasce a novembre a Milano l’Accademia del Giallo e del Noir, la prima scuola di scrittura dedicata alla letteratura di genere con incursioni nella sceneggiatura per cinema e tv. La dirige lo scrittore Paolo Roversi, giallista affermato, direttore del festival internazionale NebbiaGialla e della rivista letteraria MilanoNera: “Negli ultimi anni il giallo e il noir stanno vivendo una stagione d’oro. Mai come adesso c’è stata una così grande attenzione del pubblico verso libri, film e serie TV crime. Da molti anni mi occupo di questo genere di romanzi – sia come scrittore, sia come direttore di NebbiaGialla e di MilanoNera – e l’ho visto crescere e prosperare al punto che, insieme ad un gruppo di scrittori affermati a livello nazionale e internazionale, ho avuto l’idea di creare una scuola di scrittura dedicata esclusivamente al giallo in tutte le sue sfumature: dal noir al thriller, dal giallo al mistery senza scordare il cinema e la sceneggiatura di genere. Da quell’idea è nata l’Accademia del giallo e del noir, la prima scuola di scrittura crime in Italia”.
Il corso principale durerà due mesi (una lezione serale a settimana) e sarà condotto da Franco Forte, scrittore, traduttore e curatore del Giallo Mondadori che guiderà gli aspiranti autori nel percorso creativo. Al lavoro sui testi degli iscritti si affiancheranno una serie di esercitazioni sui punti fondamentali della scrittura (da come si scrive un dialogo a come si imposta un personaggio, passando per il punto di vista fino alle principali tecniche di editing) per arrivare alla stesura definitiva di racconti che avranno la possibilità di essere valutati per la pubblicazione sul Giallo Mondadori. Si potranno poi frequentare Weekend in Giallo e Speciali d’autore, workshop intensivi su differenti temi: dai segreti per trovare un editore alle regole per scrivere un buon thriller, un noir o una sceneggiatura crime. Tra i docenti alcuni dei maggiori esperti italiani della scrittura gialla: gli scrittori Paolo Roversi, Piergiorgio Pulixi, Franco Forte, Gianluca Ferraris, Romano De Marco, Elisabetta Cametti, il giornalista Franco Vanni, il regista e sceneggiatore Max Croci. Previsti anche corsi in diretta online che permetteranno di seguire le lezioni da tutta Italia.
Ad affiancare Roversi in questa avventura saranno due soci: Fabio Biccari, esperto di marketing e ideatore della piattaforma di editoria digitale Meetale e Francesco Lamacchia, formatore e fondatore di Dot Academia. La sede ufficiale dell’Accademia sarà in Corso Garibaldi 71. Per informazioni: http:// accademiagiallonoir.com
La conferenza stampa di presentazione si terrà mercoledì 24 ottobre alle 18.00 presso Dot Academy (Viale Sarca 78, Milano – M5 Ca’ Granda), presenti tutti i docenti che illustreranno i loro corsi. Segue aperitivo con la stampa. Dalle 19.00 workshop gratuito aperto a tutti “Il Giallo, il Nero e gli altri colori – Come districarsi tra i meandri della galassia “crime” con lo scrittore Romano De Marco. A seguire rinfresco coi docenti per informazioni e iscrizioni.
Pubblico volentieri questa segnalazione
che mi è stata inviata da :
Ufficio Stampa Bookteller Eventi Letterari
Camilla Corsellini 3476606252 camillacorsellini@yahoo.com
Francesca Rosini 3923206909 francescarosini@gmail.com
ESSERE GLI ALTRI – la parola, il gesto, lo sguardo
Alessandra Corbetta, Essere gli altri, LietoColle edizioni, Faloppio, 2017
Potessi io/ essere il prato,/ non il tremore/ di questo filo d‘erba. È questa l’epigrafe che si incontra nel libro di Alessandra Corbetta. È giusto, e direi necessario, accogliere questa voce e questo sguardo, questo approccio che è anche un biglietto da visita, un modo per dire sono questo, sento questo adesso, e forse sempre e da sempre. Le parole scelte da Alessandra e poste all’ingresso del suo mondo sono di Umberto Fiori e sono tratte dal libro Voi. La prima riflessione, anzi la prima sensazione che nasce, è quasi una rilevazione, una tracciatura, un fare il punto delle coordinate visive e mentali: gli occhi sono rivolti verso gli altri, verso realtà esterne. Una rarità, nel panorama della scrittura e anche della vita. Ma non è così semplice, e la bellezza della generosa semplicità si arricchisce di risvolti che diventano di per sé densi di filosofia e psicologia. Si pensa agli altri e si parla degli altri, anche in questo libro, partendo dall’io e a esso ritornando, in un’ineluttabile ring composition. Si parte da quel potessi io che infrange il silenzio e risuona netto, possente, sussurrato e roboante. Per poter essere gli altri bisogna in primo luogo essere se stessi, sapere incontrarsi e confrontarsi con le proprie radici, le corse e gli inciampi, le verità dette e quelle taciute, il volo e la paura. Alessandra Corbetta compie il tragitto con intensa leggerezza. Osa essere lineare e sincera. Mette davanti ai suoi e ai nostri occhi il coraggio di stupirsi ancora, con uno sguardo maturo e bambino, il gioco e la ferita, la caduta e la tenacia del rialzarsi e del ricominciare. In tal modo, scevra da orpelli e schermi, può guardare ed essere vista senza che nessuno sia costretto a indossare una maschera ulteriore sulla maschera naturale di ciascuna persona (con l’etimologia ineluttabile di quest’ultima parola, maschera e poi individuo, che viene in qualche modo resa vivibile, se non sconfitta).
L’epigrafe di cui si è detto è preceduta solo dalla dedica A mia mamma, la primaforma di poesia che ho incontrato. Si ricollega al coraggio di dire le proprie emozioni, di renderle parole senza armatura, senza imbottitura protettiva di retorica. Alessandra mostra ciò che sente agli altri, come omaggio estremo, come invito impegnativo ad essere una cosa sola, a dare e a ricevere quell’emozione primigenia a cui l’evoluzione sociale, sofisticata e snaturante, ci ha disabituati. Ci viene chiesto di giocare a carte scoperte, come i bambini, come i matti, come chi non ha paura di dire sono un uomo, sono una donna, ho un cuore. In questo gioco in apparenza semplice è racchiusa la più grande delle sfide, non solo letteraria, non solo del linguaggio. Qui è situata la frontiera che non si sa oltrepassare se non si cammina con passo leggero e consistente, sapendo che ogni vocabolo davvero sincero lascia una traccia e scava dentro. Leggi il seguito di questo post »
Premio GRADIVA-NEW YORK 2016 – finalisti e vincitori
Sulle tracce di un siciliano europeo
“C’era una volta un principe…” colto, fiero, siciliano doc e al contempo cittadino del mondo. Difficile dire dove inizi il Principe di Lampedusa e dove finisca quello di Salina. Per tutti è il Gattopardo, il romanzo icona che continua ad affascinare generazioni e le cui orme sono impresse nel nostro DNA.
Ma l’uomo, lo scrittore, il letterato e il viaggiatore possono essere riassunti nella sola figura del “Principe”?
Il punto interrogativo è d’obbligo quando si tratta di discernere tra l’uomo e il personaggio letterario e ancor più allorché si cerca di trovare una chiave di lettura di un autore celebre per un unico, grande romanzo.
Giuseppe Tomasi di Lampedusa è una figura a tutto tondo che non può essere letta solo alla luce del suo celeberrimo libro o per la sicilianità che incarna e descrive. Egli fu molto di più, e, attraverso l’esplorazione delle sue rotte storiche, geografiche e biografiche, si tenterà di tracciare un ritratto diverso dell’autore, lontano dalle cornici di maniera, barocche ma tarlate e inconsistenti. Ne risulteranno i tratti di uno scrittore e di un uomo ricco di sfaccettature.
Lampedusa, dunque. Non è forse casuale rilevare che quello che per lui fu il punto di partenza, oggi per molti è un punto di arrivo, il traguardo di una speranza. Lampedusa è una propaggine d’Europa nel cuore del Mediterraneo, terra di confine e di approdo nota per sbarchi, annegamenti e traffici di vite umane dalle coste della vicina Africa. La storia cambia ma restano, pur nelle differenze, delle costanti, le caratteristiche immutabili degli esseri umani, gli stati d’animo, le miserie e le grandezze, il bisogno di un suolo di certezze e sul fronte opposto il fluire del mutamento che sradica e sconvolge.
Per queste e per altre misteriose ragioni, per questo miscuglio di antico e moderno, poetico e razionale, antropologico e filosofico, Tomasi rimane a tutt’oggi un autore attuale, ancora in grado di far coesistere caratteristiche differenti generando punti di vista, influenze e dibattiti tra i lettori e i critici. Il suo Gattopardo è diventato con il passare degli anni molto di più di un romanzo di successo e di una popolarissima pellicola. Si è trasformato in un’icona, uno spunto infinito per citazioni. È diventato un modo di dire, il simbolo di un’epoca e di un modo di pensare, identificabile quasi con il marchio del copyright, come l’aspirina o la coca cola.
Come spesso accade però, nella letteratura, nella vita e lungo quel punto ventoso e oscillante che le unisce e le divide, tra le parole e la verità, tra l’uomo e l’opera, c’è un bel tratto di mare. Nel caso specifico di Tomasi, le onde in questione sono quelle tra Scilla e Cariddi, tra la Sicilia e il Continente, inteso anche e soprattutto come Europa.
Come accadde ad un altro siciliano dal carattere complesso e multiforme, Luigi Pirandello, anche Tomasi fa rotta verso il nord.
In cinque anni di intensi viaggi, Giuseppe Tomasi di Lampedusa ebbe modo di conoscere a fondo alcune delle principali capitali europee. Cercava lo spirito autentico dei luoghi e dei popoli, il volto vero da confrontare con quello del suo Mediterraneo. Scoprì la bellezza mite di Parigi e si trovò particolarmente a suo agio a Londra, città che trovò ricca di bonomia. Esplorò però anche il fascino più cupo e intrigante di Berlino. Visitò musei, ma anche le vie trafficate dal popolo e i tracciati già resi mitici da grandi libri del passato. Frequentò salotti alla moda ma anche locali di ricreazione e fu attratto da tutto, assimilando con vivida curiosità. Viaggiava con un repertorio di citazioni e scriveva lettere di rigogliosa fantasia in cui confermava la sua sete di conoscenza. Anche lui, seppure molto distante da un altro affabulatore immaginifico quale fu D’annunzio, ci teneva a dare di sé un’immagine spettacolare. Questa sua insaziabile verve ha trovato una sintesi efficace nel suo “Viaggio in Europa. Epistolario 1925-1930” .
Tomasi di Lampedusa, schivo, raffinato, studioso vorace di letterature comparate, dà l’impressione di viaggiare per scelta, per divertimento e per arricchimento interiore, per il bisogno di staccarsi da radici profonde che lo nutrono e lo bloccano allo stesso tempo. Viaggia per la volontà di rendere la sua cultura effettivamente europea. Per essere un uomo di mondo prima ancora di essere scrittore. Non per sfoggio o per aristocratico orgoglio, ma per un’esigenza sincera.
Duca di Palma di Montechiaro e principe di Lampedusa, Giuseppe Tomasi nasce a Palermo il 23 dicembre 1896. Frequenta il liceo classico a Roma dove si iscriverà anche alla facoltà di Giurisprudenza, senza però laurearsi perché chiamato alle armi. Partecipa alla disfatta di Caporetto e viene fatto prigioniero dagli austriaci. Conosce quindi l’orrore della guerra, la più cruda e spietata, quella che annulla il divario tra nobili, borghesi e uomini del popolo. Quella che rende crudelmente vera la fragilità della condizione umana, la ferocia del tempo e della Storia ma anche la forza di restare aggrappati ad una Bellezza che rappresenta la sola fonte di sopravvivenza.
Tomasi di Lampedusa fu spesso ospite del cugino, il poeta Lucio Piccolo. Grazie a lui ebbe occasione di frequentare ambienti letterari di alto livello, come nel 1954 in occasione di un convegno letterario a San Pellegrino Terme in cui conobbe, tra gli altri, Eugenio Montale e Maria Bellonci.
Al ritorno da quel viaggio, come un vulcano giunto al livello di pressione ideale, Tomasi inizia a scrivere Il Gattopardo, ill romanzo di una vita, di molte vite reali e possibili. Verrà terminato due anni dopo, nel 1956.
Il suo romanzo viene definito come un esempio di “poesia in forma di prosa”. Perché la forma poetica possiede la capacità di mettere in contatto e sintetizzare istanze e sensazioni contraddittorie tramite la coincidentia oppositorum. L’ancorarsi al passato era un gioco di specchi per parlare del presente e del futuro.
Fu proprio questa sua strana ambivalenza tra moderno e antico che provocò il rifiuto del libro da parte di molte autorevoli case editrici a cui era stato presentato. Respinto prima dalla Mondadori e poi da Einaudi sempre ad opera di Vittorini che era il selezionatore delle opere, il romanzo fu scoperto e apprezzato da Bassani. Fu proposto alla Feltrinelli che lo pubblicò. E fu un successo strepitoso. Purtroppo Tomasi di Lampedusa era già morto nell’amarezza e nello sconforto di non aver potuto vedere pubblicata la sua opera. Un episodio questo che getta ombre non del tutto archiviabili ai tempi d’oggi.
Il Gattopardo è un caso più unico che raro. Tomasi di Lampedusa era un outsider per quanto riguarda il mondo letterario ufficiale, nel quale permaneva in vizio antico della chiusura al nuovo, non importa di quale provenienza.
Ma qui ed ora, dopo che la vicenda si è comunque conclusa con il successo del libro di cui l’autore non ha potuto beneficiare in vita, è possibile forse tentare di cogliere elementi dello scrittore e dell’opera di più ampio respiro.
Tomasi di Lampedusa è stato sì, per dirla con Montale, “l’autore di un solo libro”, ma in questo volume ha racchiuso una vita intera di esperienze di respiro europeo, assorbite senza preconcetti, con passione autentica. Il Gattopardo è la risultante di un lavoro di accumulazione di note e sensazioni durato anni, scritto con una forma espressiva capace di coniugare la sintesi metaforica della poesia e l’esattezza documentaria del romanzo storico. Il libro era allo stesso tempo imbevuto di stilemi classici e proiettato verso forme e prospettive nuove. Era in anticipo sui tempi, pur parlando di un’epoca già passata. Collocato in questa terra di confine, ebbe bisogno di una lenta assimilazione prima di essere percepito dai critici come opera di assoluto valore. Il resto è storia della letteratura e della cinematografia.
Il Gattopardo è il frutto di un innesto in gran parte inusitato: la cultura europea impiantata sui rami nodosi della Sicilia, il vento nordico sui silenzi e l’aria ferma di troppi secoli di inazione, come sottolineava in Principe di Salina in un celebre passaggio: “Il sonno, caro Chevalley, il sonno è ciò che i Siciliani vogliono, ed essi odieranno sempre chi li vorrà svegliare, sia pure per portar loro i più bei regali”.
Nel Gattopardo il romanzo trascende il romanzo. Il libro è così ricco di contenuti da prestarsi a molteplici e parallele chiavi di lettura: storica, filosofica, psicologica, sociale, geo-politica. Ma è anche un libro coraggioso, in cui lo sguardo sui retaggi culturali che hanno creato l’humus mafioso è assolutamente schietto.
Come nelle stratificazioni geologiche, questo libro va ben oltre l’affresco storico, oltre il racconto, oltre i personaggi, i luoghi, i costumi. In questo contesto si inserisce la citazione per eccellenza, lo stemma che campeggia sul romanzo e lo identifica in modo immediato:
“Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”.
Il Gattopardo racconta l’umanità, i dubbi e le speranze di uomini e donne del proprio tempo di fronte ad un mondo che cambia e ridefinisce valori, canoni e stili. Racconta come gli uomini si pongono di fronte al cambiamento e come le identità, le storie e la cultura si misurino col tempo.
Considerare Il Gattopardo un libro conservatore è un atteggiamento in gran parte miope: c’è, viva e presente, la consapevolezza dei mali storici della Sicilia. Vista non come microcosmo a sé stante ma come emblema di un modo di vivere e di pensare antico che si trova nella necessità di guardare con occhi diversi a tempi nuovi. C’è una forma di critica sociale forte e costante nel libro. L’amore per la propria terra non è cieco.
I personaggi del romanzo sublimemente avvolti di umanità, sono cesellati nella loro ambivalenza. Questa con ogni probabilità è la parola chiave: ambivalenza. Il romanzo si colloca ad un punto di snodo fondamentale della storia italiana e non solo. Quel momento in cui ci si rende conto che una certa società, un determinato sistema di vita e di pensiero è destinato ad essere superato dai tempi, dalla storia. Tomasi tuttavia non lo vive con un atteggiamento passivo e rassegnato. Non è un cantore acritico del passato, non esalta incondizionatamente les neiges d’antan. Il fulcro del suo pensiero è la volontà di portare nei nuovi tempi quanto di meglio c’è nella tradizione e nel legame autentico che deriva dalla terra d’origine. È anche grazie a Tomasi di Lampedusa se gli italiani hanno coscienza del loro grande dono e della loro condanna.
Lo sguardo distante, malinconico e nostalgico del Principe di Salina da un lato, lo stile narrativo dell’Autore-Principe, non devono trarre in inganno. Il libro urla verità senza tempo, svela le illusioni, le trappole e i miraggi dei cambiamenti repentini, i pericoli dei furbi e dei voltagabbana, denuncia l’immobilismo, insegna a guardare oltre l’apparenza, oltre il contingente, in un’ottica per dirla alla Leibniz, sub specie aeternitate.
Il Gattopardo è un’opera dall’altissimo valore educativo intergenerazionale, perché ogni epoca, così come ogni uomo, è sospeso tra due estremi, un presente che muta ad ogni istante e un passato che sfugge, scivola via, tendendo a diventare irriconoscibile. “Noi fummo i Gattopardi, i Leoni; quelli che ci sostituiranno saranno gli sciacalletti, le iene; e tutti quanti gattopardi, sciacalli e pecore, continueremo a crederci il sale della terra”. In questa dichiarazione, all’interno di questa presa di coscienza, si trova forse la chiave del successo e del fascino del romanzo e del suo autore: il senso della finitezza umana non esclude ma semmai rafforza e vivifica il tentativo di ritagliarsi uno spazio autonomo, individuale e riconoscibile all’interno del disegno imperscrutabile del tempo e del destino.
Ivano Mugnaini
bando aggiornato del PREMIO INTERNAZIONALE DI POESIA GRADIVA-NEW YORK – III edizione
STATE UNIVERSITY OF NEW YORK
PREMIO INTERNAZIONALE DI POESIA GRADIVA-NEW YORK – III edizione
La rivista GRADIVA bandisce la terza edizione del Premio Gradiva – New York. Al Premio si concorre con un libro di poesia in lingua italiana, pubblicato fra gennaio 2013 e dicembre 2014. I libri partecipanti al concorso non saranno restituiti. Non è prevista alcuna quota di partecipazione, ma i partecipanti sono gentilmente invitati a iscriversi, in forma di donazione, all’Associazione Gradiva International Poetry Society, Inc. i cui intenti sono quelli di promuovere e diffondere la poesia italiana nei Paesi anglofoni. *
Al vincitore sarà assegnato un premio di $1000 (mille dollari), il rimborso delle spese di viaggio aereo (economy class) e il pernottamento per due notti presso il prestigioso Danford Marina Hotel. Una selezione del libro sarà tradotta in inglese e pubblicata nella rivista “Gradiva”. Case Editrici e/o singoli autori devono spedire una copia del loro libro, in cartaceo, ENTRO IL 30 MARZO 2015, ai seguenti componenti della Giuria, con l’indicazione, su ogni copia, dell’indirizzo completo dell’Autore, telefono ed e-mail. Una copia va spedita in PDF all’indirizzo elettronico della Segreteria del Premio sotto indicato.
Nicola Crocetti, c/o “Poesia”, Via E. Falck 53, 20151 Milano, Italia.
Milo De Angelis, Via degli Imbriani 31, sc. F., 20158 Milano, Italia.
Alessandro Carrera, Modern & Classical Languages, Univ. of Houston, Texas 77204, USA.
Luigi Fontanella (Presidente), Dept. of European Languages and Literatures, Humanities Bldg, State University of New York, 100 Nicolls Rd., Stony Brook, New York 11790, USA.
Irene Marchegiani, 303 Mountain Ridge Drive, Mt. Sinai, New York 11766, USA.
Elio Pecora, Via Paolo Barison 14, 00142 Roma, Italia.
Segreteria del Premio, Sylvia Morandina (con diritto di voto): gradivasunysb@gmail.com
Presidente onorario (senza diritto di voto): Alfredo de Palchi: 33 Union Square W., 6-R, New York, N.Y. 10003, USA.
La Giuria selezionerà gradualmente i libri finalisti. Una successiva consultazione determinerà la cinquina finalista, della quale un’ultima votazione determinerà il vincitore del Premio. La cerimonia di premiazione avrà luogo nell’autunno 2015 presso il Center for Italian Studies della State University of New York, con sede a Stony Brook, e sarà preventivamente comunicata al vincitore, che è tenuto a presenziare alla cerimonia. Non si ammettono deleghe. Per ulteriori informazioni: Tel. 001-631-6327448 (martedì e giovedì) o inviare email.
* Per l’associazione alla non-profit Gradiva International Poetry Society, Inc., che dà diritto a partecipare al Premio, effettuare donazione, con spese bancarie a carico dell’ordinante, tramite bonifico internazionale (bank transfer) di $65 sul conto di GRADIVA, Apple Bank di Setauket (N.Y.), gestito dalla Morgan Chase Bank, Routing n. 226070584, account 444-3030970, Swift: CHAS US 33; oppure tramite bonifico italiano di € 50, specificando che si tratta di donazione, con spese bancarie a carico dell’ordinante, presso Banca Popolare di Milano, Ag. 240, sul conto intestato a Luigi Fontanella, IBAN: IT50 I 05584 02800 000000010982, swift: BPM iit MM240. Spedire la ricevuta all’indirizzo della Segreteria del Premio, Sylvia Morandina: PO Box 831, Stony Brook, New York 11790, USA.
Vincitori delle precedenti edizioni:
2013, Sauro Albisani, La valle delle visioni (Passigli)
2014, Maurizio Cucchi, Malaspina (Mondadori)
Milo De Angelis all’Accademia di Brera
ACCADEMIA DI BELLE ARTI DI BRERA
DIPARTIMENTO ARTI VISIVE
SCUOLA DI GRAFICA D’ARTE
transizioni arte__poesia
Milo De Angelis
reading, immagini di Viviana Nicodemo
lunedì 21 maggio 2012 ore 16.30
Accademia di Brera, sala napoleonica
Il laboratorio transizioni arte__poesia ospita lunedì 21 maggio alle 16.30 un reading di Milo De Angelis, presentato dal poeta Italo Testa. Nell’occasione sarà presente l’artista Viviana Nicodemo, e saranno proiettate immagini dal suo libro fotografico Necessità dell’anatomia, e dal video Cantica, realizzati in collaborazione con l’autore.
Tra le voci più significative della poesia italiana contemporanea, Milo De Angelis vive a Milano. Ha pubblicato le raccolte Somiglianze (Guanda, 1976), Millimetri (Einaudi, 1983), Terra del viso (Mondadori, 1985), Distante un padre (Mondadori, 1989), L’océan autour de Milan et autres poèmes, traduit de l’italien par J.-B. PARA, M.E.E.T., Saint-Nazaire, 1993, edizione bilingue comprendente la prima versione del poemetto L’oceano intorno a Milano, inedita sia in francese che in italiano), Biografia sommaria (Mondadori, 1999), Tema dell’addio (Mondadori, 2005), Quell’andarsene nel buio dei cortili (Mondadori, 2010). Con
Tema dell’addio ha vinto il Premio Viareggio 2005. Le sue poesie sono raccolte nelle antologie Non solo creato (Crocetti, 1990), Dove eravamo già stati. Poesie 1970-1999 (Donzelli, 2001), Poesie (Oscar Mondadori, 2008, introduzione di Eraldo Affinati). Sue poesie sono state tradotte in volume in lingua inglese e francese. Scrittore di racconti e saggi, è stato anche traduttore dal francese di Racine, Baudelaire, Maeterlinck, Blanchot, Drieu La Rochelle, e dal greco e dal latino di Eschilo, Virgilio, Lucrezio, dell’Antologia Palatina e di Claudiano. Ha scritto il romanzo La corsa dei mantelli (Guanda, 1979). è autore del saggio Poesia e destino (Cappelli, 1982), dell’Introduzione a Gli epistolari (Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, Roma 1995), e Introduzione e scelta di Ogni parola ha un suono che inventa mondi: poesie e racconti (Arpanet, 2002). Ha diretto la rivista di poesia “Niebo” e la collana omonima delle edizioni La Vita Felice, per la quale ha presentato numerosi poeti contemporanei, fra cui Marco Molinari, Angelo Lumelli, Dario Capello, Michelangelo Coviello, Maria Attanasio, Andrea Leone, ed altri. Suoi interventi e saggi si trovano anche in riviste, fra cui Altri Termini, Vel, Nuova Corrente, Schema, Poesia, I Quaderni del battello ebbro, Nuovi Argomenti, Gradiva.
Alcuni artisti, fra cui Giovanna Caimmi e Paolo Cervi Kervischer, hanno dedicato loro opere alle sue poesie. Nel 2010 Viviana Nicodemo ha esposto presso la Galleria Civica di Palazzo Ducale a Pavullo nel Frignano (Modena)
Via dell’inizio, mostra di opere fotografiche e video in dialogo con 27 liriche inedite dell’autore (successivamente
pubblicate in Quell’andarsene nel buio dei cortili).
transizioni arte__poesia
a cura del poeta Italo Testa e dei docenti Paolo Di Vita, Chiara Giorgetti,
Rosanna Guida, Margherita Labbe, e Anna Mariani
Ingresso libero
info:
daverso.brera@gmail.com
La generazione entrante
Dal blog “UniversoPoesia” riporto qui di seguito la recensione di Elisa Vignali al libro “La generazione entrante” a cura di Matteo Fantuzzi. La recensione, già apparsa sul numero 65 della rivista Atelier, pone in evidenza alcuni aspetti interessanti di questo libro. Non si tratta solo di un’antologia o di una selezione di testi. È anche e forse soprattutto un modo per ragionare sulla nuova poesia italiana, e sulla poesia in generale. Per confermare ai tenaci e agli ottusi detrattori che la poesia non è mero e vano esercizio di stile per cacciatori di farfalle e di vispe terese, ma necessità, urgenza di mutamento, percepibile, genuinamente concreto. Le voci degli autori presenti nel libro dimostrano un impegno reale, non di facciata, non artefatto, non giovanilisticamente impalpabile ed utopico. I loro versi dimostrano a chi ritiene di poter basare il potere su silenzi e parole innocue che non è così, non sarà così, non potranno avere sempre vita facile. La speranza, l’auspicio è che, assieme alle nuove generazioni, entrino anche, senza bussare, tempi nuovi. I.M.
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Recensione a La generazione entrante di Elisa Vignali da Atelier n. 65, Marzo 2012.
Ponendosi in sostanziale linea di continuità con l’iniziativa promossa da Giuliano Ladolfi nel 1999 con l’Opera comune. Antologia di poeti nati negli Anni Settanta, sempre per «Atelier», il volume La generazione entrante. Poeti nati negli anni Ottanta, a cura di Matteo Fantuzzi, a sua volta poeta ed editor, si propone di “mappare” le esperienze poetiche più sicure e riconoscibili tra gli autori che oggi abbiano vent’anni. Qualche dubbio è lecito muovere proprio sul ricorso al criterio anagrafico, osservato un po’ rigidamente, per la selezione degli autori, quando un allargamento del campo avrebbe magari attivato connessioni più proficue, consentendo di verificare l’effettiva presenza di certe linee vitali (per esempio, la vivacità della poesia neodialettale o la ricezione di determinate tradizioni, anche straniere). Senza contare che proprio in virtù di un simile approccio rimangono esclusi autori nati a cavallo tra i due decenni, ma afferenti per indole e temperamento forse più agli anni Ottanta che al decennio precedente.
Anche se motivato da criteri di gusto individuale e da ragioni editoriali, appare tuttavia un poco limitato anche il numero delle voci campionate, che registra qualche assenza o che nel complesso appare ristretto rispetto all’orizzonte di possibili altre inclusioni. Nondimeno il volume mantiene una sua validità di fondo nel documentare una realtà per molti versi sommersa, una produzione in versi sovente più affidata alla circolazione in rete che alla carta stampata, consentendo così di misurarsi con un pubblico di lettori che, se nel caso della poesia non può mai dirsi davvero largo e attento, tanto più necessità di un diretto confronto con la parola del testo, fosse anche precaria e in via di necessaria definizione come nel caso di questi giovani autori. Ma non è tanto ora sul criterio generazionale o anagrafico che si vuole qui soffermare la propria attenzione, oscurando la qualità, il quid specifico degli autori selezionati. Su almeno uno degli elementi rilevati da Fantuzzi nella sua introduzione si può, infatti, quasi generalmente concordare: «E proprio dalle opere dobbiamo ripartire se vogliamo risuscitare lo stato della poesia italiana contemporanea, l’unico antidoto […] sono i testi». E sono poi anche altri gli elementi evidenziati dal curatore tali da configurare quest’antologia, al di là di certi limiti in parte inevitabili, come uno strumento di qualche utilità per il lettore che volesse accostarsi ad alcuni dei poeti d’oggi più interessanti: un ritrovato «senso dell’urgenza» del dire, l’intenzione di una «poesia sociale (piuttosto che civile)» che appunto rinsaldi il rapporto un po’ sfilacciato tra letteratura e società (un’esigenza tra l’altro viva anche in altri campi, dalle riviste letterarie a certe piccole e medie case editrici), una differenziazione anzitutto geografica, specchio di una «frammentazione di percorsi che non indebolisce, piuttosto rende possibile una lettura condivisa delle pulsioni che rendono vivo il fare poetico», e infine la ricerca, tutt’altro che pacificata, di una propria identità, come a dire di un proprio stile, non ancora del tutto affinato ma dai tratti già riconoscibili e, nei casi migliori, persino maturi. E ancora, tra gli elementi non rilevati nell’introduzione: la configurazione del rapporto maschile/femminile in termini rinnovati e meno stereotipati, per la disponibilità della voce maschile ad assumere entro di sé quella femminile e viceversa, in accordo con un’identità fluida; e ancora l’allargamento di orizzonti geografici e interculturali, con significative aperture a tradizioni letterarie e lingue sovranazionali, tali da produrre interessanti stratificazioni anche a livello linguistico.
Circa la «necessità sempre più pressante di farsi comprendere, di utilizzare figure, immagini, espressioni, dialoghi vicini al linguaggio comune», procederei invece con maggiore cautela, perché se è vero che la qualità di una scrittura poetica consiste anzitutto, per usare una metafora del grande poeta irlandese Seamus Heaney, in un’operazione di scavo che tramite il pensiero consente di tradurre una percezione interiore in una trama di parole, un eccessivo scadimento del linguaggio a livello della comunicazione quotidiana rischia di abbassarne notevolmente il potenziale espressivo. Anche se poi, in verità, non sono pochi gli autori inseriti nell’antologia, ancorché all’inizio del loro percorso, a mostrare di avere recepito la lezione anche formale dei nostri maggiori poeti, maestri di stile prima ancora che abili costruttori di immagini, non limitandosi a riprodurne stancamente i modi, ma riassorbendone gli echi entro la propria officina verbale. Allo stesso modo, non sempre l’oltrepassamento di un novecento “sperimentale”, di cui si vorrebbe trovare conferma nel volume, si è prodotto o è bene si produca, almeno se s’intende il termine “sperimentale” in accezione più produttiva di quella che vorrebbe confinarlo negli angusti confini dello sperimentalismo, e non lo s’intenda invece, come forse si dovrebbe, come inesausta capacità di sprigionare sempre nuove risorse vitali dalla lingua poetica. Si pensi a un poeta come Porta, peraltro assunto a punto di riferimento da più d’uno di questi poeti nati negli anni Ottanta, capace di superare le secche del neoavanguardismo per riconquistarsi uno spazio di autenticità, verbale, oltre che esperienziale. Certo l’aggancio al reale, (con il suo portato anche traumatico) nelle sue varie declinazioni, il «rifiuto di una lirica concepita come intuizione e libera effusione della soggettività o come espressione poetica di un’individualità assoluta», sottolineati da Giuliano Ladolfi nella lucida e a un tempo appassionata postfazione che chiude il volume, sono il dato che più accomuna gli autori antologizzati, rendendo in fondo ragione di una loro appartenenza a una medesima sensibilità, se non comunità. Se è vero, poi, che a fronte di un futuro fattosi sempre più incerto, non più veicolo di speranza, ma «fonte di apprensione», la generazione dei anni Ottanta ha maturato un senso di smarrimento profondo, di cui è emblematica, in molti testi selezionati, la costante della figura paterna, spesso assente o problematica, è pur vero però che si assiste a un tentativo ininterrotto di dialogare con i padri della tradizione, entro un rapporto più mobile e dunque in parte più libero, senza pretese di autoinvestiture o l’assunzione posticcia di pose compiaciute.
Proviamo allora a predisporci all’ascolto di queste “nuove” voci del panorama poetico italiano, liberi per una volta da pregiudizi e dall’ingombro di categorie interpretative precostituite, lasciandoci guidare nel percorso dalle note di critici e studiosi che nel firmare l’introduzione a ogni singolo autore antologizzato contribuiscono in qualche misura a riannodare i fili con una storia più consapevole e matura. Si avrà allora anzitutto la sensazione, magari un po’ ingenua ma pur sempre stimolante, di trovarsi di fronte a una sorta di cantiere aperto, di laboratorio in atto, secondo un principio del fare poesia che segue non astratte regole esterne, ma una ritmica e una metrica anche interiori. Per ognuna di queste voci non sarebbe improprio ricorrere all’immagine sereniana assai efficace della poesia come «stella variabile»: la raccolta di Vittorio Sereni (una delle presenze sicuramente più certificabili nelle pagine di quest’antologia, insieme ad altri poeti della quarta generazione) usciva proprio nel 1981 e fin dal titolo intendeva riferirsi alla poesia e al suo rapporto col mondo, alla sua condizione, appunto, di stella non fissa, non più in grado di fornire certezze o dispensare verità assolute, e invocata senza che possa promettere nessuna salvezza, nessun risarcimento del vuoto personale e storico. Essere nell’oggi significa appartenere al male: «Oggi si è – e si è comunque male/ parte del male tu stesso tornino o no sole e prato coperti». Nei versi di Sereni, animati da un senso tragico dell’esistenza, eppure ancora resistente di fronte alla forze regressive operate dalla Storia, la violenza e i segni del massacro si nascondono in ogni gesto; la vita quotidiana e ripetitiva del lavoro non fa trasparire alcuna ipotesi di comunicazione umana, ma solo un logoramento che penetra nelle persone e nei luoghi, privandoli di forza vitale. Tra insicurezze e senso lacerante della precarietà, si sperimentano così limiti e insufficienze della condizione umana, mentre il passaggio del tempo rivela il suo fondo amaro nell’immagine di un «gran catino vuoto» che chiede ora di essere riempito con nuove figure di speranza.
Si parte con il compatto manipolo di testi di Dina Basso, che ha esordito appena ventenne con la promettente raccolta Uccalamma (Le Voci della Luna, 2010), in cui l’impasto neodialettale dell’idioma naturale, quello catanese, si piega alla narrazione, spesso in chiave autoironica e già dal piglio sicuro, di accadimenti quotidiani, di esperienze concrete, filtrate da una memoria capace di rimandare tanto a un preciso senso del luogo quanto a un ricco repertorio culturale. Ed è proprio questa naturalità del dire, legata a una concreta «lingua del fare» – come nota nella sua persuasiva introduzione Manuel Cohen –, a una trama di gesti e di parole, il tratto forse più preciso in cui si può far consistere il verso tutto materico di quest’autrice, fisico e mentale insieme.
A seguire, la voce di Marco Bini, nella cui raccolta d’esordio Conoscenza del vento (Ladolfi Editore, 2010), la costante tematica dello smarrimento generazionale è resa mediante un’equilibrata oscillazione di linguaggio colto e linguaggio quotidiano, tra intonazione lirica e cadenze del parlato, nel quadro di una dialettica io/ noi che finisce per intrecciare i fili della storia individuale con quelli della storia collettiva. Ed ecco tornare di nuovo, in uno dei versi selezionati, l’immagine astrologica di Sereni, anche se declinata in altra forma: «Solo che non si ferma là davanti/ come una supernova ciò che accade/ ma più simile a una cometa ostenta/ alle spalle una storia”, perché “il futuro certo non è lì che aspetta». Il senso della scrittura, per questo giovane autore, andrà dunque rintracciato nella ricerca inesausta di un orizzonte in cui consistere, di una misura capace di garantire una giusta prossemica, nel tentativo di mappare il reale, ridisegnandone i confini: «Averla questa forza di accorciare/ le distanze, indicare gli orizzonti/, nuovamente raccogliere le facce/ disparate in un’unica medaglia». E ciò varrà sia nella vita che negli spazi della poesia, dove stile e ritmo spesso sono tutto. Anche il percorso compiuto da Carlo Carabba nei suoi Canti dell’abbandono (Mondadori, 2011) è mosso da un’analoga volontà di ricerca, non necessariamente finalizzata al raggiungimento di una meta, se è vero, come si legge nell’introduzione firmata da Roberto Carnero, che «il miraggio della felicità non consiste nell’arrivare al traguardo ma nel non arrivare, “consumando” esperienze sempre nuove in luoghi, sensazioni, incontri, illuminazioni interiori», secondo una dinamica incessante di fughe e ritorni, partenze e abbandoni. Solo così forse è possibile ritrovare il rapporto perduto con la memoria dei nostri padri, metaforici o reali, rinnovandone lo sguardo nel presente: «Da qui sono partito/ qui dove non arrivo», recita un verso in tal senso emblematico tratto dalla raccolta Gli anni della pioggia (PeQuod, 2008).
E ancora troviamo la dimensione itinerante di un homo viator, il cui peregrinare assume la forma di un cercare senza sosta, nei versi di Giuseppe Carracchia il quale, nei passi estratti dalla silloge La virtù del chiodo (L’arca felice, 2011) esplora il reale con intento anzitutto conoscitivo, per misurarne distanze e traiettorie: «Il piede che calza la terra è centro/ profondo, e ovunque si sposta dentro/ universo tracciato a ogni passo/ baricentro del mondo e compasso».
La poesia di Tommaso Di Dio, autore della plaquette Favole (Transeuropa, 2009), propone seppure con accenti del tutto personali alcuni motivi comuni a molti di questi poeti: la dimensione del poeta viandante, da cui deriva un senso profondo di precarietà e di incertezza del futuro, tra paura e attesa per un avvenire dai contorni oscuri, la dialettica tra mente e materia, fra tradizione e apertura al nuovo, secondo una dinamica in questo caso mediata dall’esempio fondativo di Antonio Porta, rappresentante di una lirica «della memoria» e della «carne», come annota efficacemente Stefano Raimondi nella sua introduzione. Il progetto poetico di Tommaso Di Dio appare già delineato nei suoi tratti fondamentali ed è capace in molti casi si produrre buoni esiti, come nella sequenza poematica seguente, tra le più sicure dell’intera raccolta: «Ti voglio credere vera e impossibile/fuga sotto il ventre dell’ariete. La pietra che chiude./ La forza del gigante. Chiudi la fatica degli occhi e abbassa/ l’arma dello sguardo; lascia tu aperto il passaggio». Di Francesco Iannone, autore della plaquettePoesie della fame e della sete (Ladolfi, 2011)andrà rilevata, come annota intelligentemente Massimo Morasso, la «ricerca di uno spazio condiviso», che convive con la percezione di una «coscienza ferita». La poesia è capace di produrre senso anche tra i tagli e le slabbrature del reale, nel segno di un realismo riportato a ragioni quasi “elementari”, laddove tra i primari impulsi della fame e della sete si misura anche il potere di sopravvivenza della parola: «La resistenza al nulla è una lotta/ che lascia ferite e tagli/ è un labbro squarciato da un pugno/ è un figlio espulso da un utero contuso».
Nella sua partecipe introduzione Antonella Anedda coglie bene i tratti distintivi della poesia di Domenico Ingenito, poesia dalle tante e diverse “grammatiche” possibili: quella del corpo, anzitutto, per l’oscillazione costante di polo maschile e polo femminile, non rigidamente separati ma dialetticamente cooperanti nel processo conoscitivo; il dialogo con la tradizione, qui più che mai intesa anche come traduzione in atto di «linguaggi distanti», tra italiano, persiano e portoghese. E infine la grammatica, per così dire, dell’immaginazione, capace, come accade nell’ultima poesia riportata, di far parlare due autrici separate da due secoli e da quattromila kilometri. Come nel caso di altri poeti qui antologizzati, la poesia vale come strumento per accorciare le distanze, mantenendo aperto il dialogo tra entità lontane nello spazio e nel tempo. La poesia di Franca Mancinelli, che ha già al suo attivo una raccolta, Mala Kruna, uscita da Manni nel 2007, si connota per la capacità di tradurre il senso di precarietà comune, del resto, a un’intera generazione, in interrogazione universale sul senso dello stare al mondo, con ciò rinsaldando le ragioni dell’io con quelle del noi, mediante un linguaggio poetico che dietro la scorza lirica dei versi nasconde le ferite del reale, «in un codice di nervi e sangue, di corpo e mente interiore», per usare le parole del sottile prefatore Gualtiero De Santi. Come avviene in questi versi: «Ora l’infante potrà camminare/ con l’equilibrio che porta le braccia/ a sollevarsi inermi dalla terra./ È un giorno strabico, e le persone/ s’affacciano sul proprio sangue fermo/ chiedendo dove sbuca la corrente/ che spinge rossa e perfora gli occhi».
La poesia di Lorenzo Mari, presente con un campione da Minuta di silenzio (L’arcolaio, 2009), è pronta a cogliere scarti e zone liminari del reale, con affinata sensibilità percettiva e una sottesa intenzione ironica, offrendo altre emblematiche immagini del senso di sospensione e incertezza esistenziali. Ne è significativo esempio la figura «dell’uomo che cadeva» al centro di una delle sequenze più riuscite dell’intera raccolta: «Di tanti posti, in riva al mare/ è dove conta meno il minuto/ di silenzio, stretto tra onda/ e risacca, accanto alla figura/ fetale, a ossa rotte, dell’uomo/ che cadeva. Scrivere sulla sabbia/ è gesto romantico, meglio le glosse:/ tatuate dal sole con certezza,/ e più direttamente, sulla minuta/ di silenzio». Ed è tutta da condividere la nota iniziale di Andrea Gibellini che di questi versi coglie «lo stigma irrevocabile della parola poetica detta in sincerità prima della tecnica e di un sentimento stilistico». I versi di Davide Nota, tratti dalle tre raccolte finora pubblicate e preceduti da un’accurata postilla critica a firma di Giuliano Ladolfi, descrivono una condizione di orfanezza assunta a metafora quasi ossessiva di una condizione esistenziale comune, tra percezione lacerante della colpa e desiderio di rimozione. E anche il dettato poetico, “sporcato” da espressioni gergali e tic verbali, si fa specchio dell’onesta rinuncia a dire verità risolutive: «Così come orfani del mondo/ incatenati nella febbre a vita/ del giorno: è così, sì, va bene…», cui fanno eco i versi «Anch’io sono colpevole del male/ che regna vomitevole e banale».
Nell’introdurre i testi di Anna Ruotolo, Maria Grazia Calandrone ne sottolinea con efficacia la vocazione a innestare un produttivo dialogo tra dimensione celeste e dimensione umana, seguendo la rotta indicata dalle «stelle comuni, evidenze della bontà di ognuno» che «proprio a causa di questa loro presenza ubiqua» fanno segno al «rapporto tra uomo e uomo – e tra uomo e natura». Cifra specifica della scrittura di questa giovane autrice è la tendenza a iscriversi entro costellazioni dialettiche – tra interni ed esterni, solitudine e «tuttitudine», singolare e plurale –, secondo uno sguardo capace di farsi davvero plurale: «I singolari sono plurali/ dico casa e ne dico mille/ perché se guardo fuori da qui/ tante ce ne sono,/ pulsano da non finire […] ma chiama, chiama tutti/ con centomila nomi esatti/ si esce, così, infine, dalle dimore/ e camminiamo in stormi/ si prova a fare bene/ tutto e forte, tutto al plurale/ per una volta tra le altre volte».
Ancora una volta è l’emblema della figura paterna, in senso tanto metaforico quanto reale, a fare la sua comparsa nei versi di Giulia Rusconi, una delle voci sicuramente più originali del panorama poetico attuale per la capacità di combinare psicologia del profondo, «con punte di orrore quasi onirico», per usare le esatte parole di Anna Maria Carpi, con un ordito prosodico semplice, deprivato di orpelli stilistici. Ecco un passo estratto dalla serie L’altro padre: «Mio padre numero quindici/ corregge la mia postura./ Precaria mi aggrappo al suo braccio/ lo conosco a memoria./ Mio padre — l’altro — non lo tocco/ mai neanche per sbaglio./ «È questo che cerchi, il contatto?»/ Il contatto sì il pezzo mancante/ della “casa”, delle cose».
Elementi di originalità presenta anche il percorso poetico di Sarah Tardino, di cui vengono proposti alcuni testi dall’ultima raccolta I giorni della merla (Lietocolle, 2011), preceduti da una nota esegetica di Rosita Copioli che ne rileva i tratti distintivi: la «fascinazione arabizzante», una «passione per il racconto instancabile» e la «pronuncia androgina». Nel segno di un fiabesco quasi stregonesco e del meraviglioso si collocano, per esempio, i versi seguenti: «Sono la merla e i suoi giorni,/ la maga e l’ombra della rosa,/ l’aprile della vendetta sotto mentite spoglie,/ la vita che assalta con un segno,/ il baro salvato dall’ironica sorte,/ la ruota da cui nessuno ha scampo:/ sono la fedele assassina!».
Si può senz’altro concordare con Gian Ruggero Manzoni, secondo il quale la poesia di Francesco Terzago si connota per la dinamica ossimorica di una «presenza-assenza» volta alla messa in scena di figure recuperate a una memoria insieme individuale e storica, secondo una modalità anche teatrale: «Mia nonna mi chiamava tesoro, lipscén/ diceva e mi appoggiava una mano sulla testa/ e mi diceva che era stanca. Vedi lipscén le stelle/ che sono sopra di noi, il cielo, – l’universo che/ non ha confini pensa – a tutte le cose che ci sono/ dentro pensa agli anni che ci separano e pensa/ a quante persone, in questo preciso momento,/ ed è possibile che sia così».
Chiudono l’antologia alcuni testi selezionati da L’estraneo bilanciato (Stampa, 2009), l’ultima raccolta pubblicata di Matteo Zattoni (1980), tra gli autori senza dubbio più maturi della sua generazione, in virtù di uno stile ben calibrato e di una materia poetica mossa da intenti conoscitivi. Attraverso una ricezione attenta della lezione dei grandi poeti del secondo Novecento, la scrittura poetica è investita di una valenza etica, oltre che estetica, riconquistando così la sua originaria funzione sociale. Quella di Zattoni è poesia «in uno stato di attesa» – come scrive nella sua densa introduzione Alberto Casadei – , sospesa in precario equilibrio sul filo dell’esistente. Una situazione ben riflessa da alcuni versi di Trapezisti: «c’è sempre qualcuno che rinuncia a qualcosa/ di certo, alla tranquillità di una casa/ per inventarsi un equilibrio nuovo/ io guardo e non guardo, poi l’applauso/ sorrido; loro non cadono».
A chiusura di questa panoramica, ecco un invito finale: lasciamole sedimentare, allora, queste voci, concediamo loro il tempo – e gli spazi – per tornare a parlarci, prima di sottoporle a nuova e più onesta verifica.
Antonia Pozzi – settimana di studio
LA CASA DELLA POESIA
Milano
Perché la poesia ha questo compito sublime.
Ad Antonia Pozzi nel centenario della nascita
Settimana di studio
Milano, 3 – 8 maggio 2012
A cura di Matteo M. Vecchio
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PROGRAMMA
Giovedì 3 maggio
Casa della Poesia, Palazzina Liberty (parco Vittorio Formentano, largo Marinai d’Italia)
ore 17
Tavola rotonda. Antonia Pozzi e/a Milano
Marisa Bulgheroni, Marco Dotti, Tomaso Kemeny, Giancarlo Majorino, Alessandro Quasimodo,
Mariapia Quintavalla, Antonio Riccardi, Tiziano Rossi, Matteo M. Vecchio
ore 21
Processo ad Antonia Pozzi
A cura di Alessandro Quasimodo e Paola Ciccioli
Con la partecipazione di Giuseppe Amatulli, primo corno dell’Orchestra Sinfonica di Milano Giuseppe Verdi
(musiche di Benjamin Britten)
*
Sabato 5 maggio
a partire dal Liceo Ginnasio Manzoni (via Orazio, 3)
ore 10
Passeggiata d’Autore. Itinerari urbani letterari.
I luoghi e gli itinerari di Antonia Pozzi, Vittorio Sereni, Gian Antonio Manzi, Eugenio Colorni,
Antonio Banfi
a cura di Matteo M. Vecchio
– Liceo Manzoni, Aula Magna;
– via Carducci;
– corso Magenta, 50 → residenza di Antonio Banfi
– via Ruffini, 4/6 → Scuola Elementare Ruffini
– via Mascheroni, 23 → residenza di Antonia Pozzi
– via Pagano, 42 → residenza di Vittorio Sereni
– via Pagano, 65 → residenza di Gian Antonio Manzi
– via Guido d’Arezzo, 8 → residenza di Eugenio Colorni
Letture di Mariella Parravicini
*
Martedì 8 maggio
Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori (via Riccione 8)
«Cenni per un nostro clima». Antonia Pozzi, Milano, la «singolare generazione»
Convegno di studi
ore 9,45
Presiede Matteo M. Vecchio
Fabio Guidali
(Università degli Studi, Milano; Freie Universität, Berlin)
Antifascismo cum figuris. Arte e politica nella Milano di Antonia Pozzi
Marcello Gisondi
(Università degli Studi Federico II, Napoli; Ludwig-Maximilians-Universität, München)
Un giovane maestro: Antonio Banfi teoretico
Georgia Fioroni
(Université de Genève)
«E a noi | forse sovviene di un istante, quando | qualchecosa si perse»: Antonia Pozzi 1937
Leda Bellanova
(Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano)
Identità e relazione nella poesia di Antonia Pozzi: per una riflessione sul tema dell’«incontro» tra l’Io,
l’Altro, il Mondo
Ore 14
Presiede Georgia Fioroni
Matteo De Simone
(Associazione Italiana di Psicoanalisi, A.I.Psi; Coordinatore della Commissione Cultura dell’Associazione
Italiana di Psicoanalisi, Presidente della sezione romana dell’International Association for Art
and Psychology)
Sostare in riva alla vita. Note sulla poesia di Antonia Pozzi
Chiara Pasetti
(Université de Rouen; Università degli Studi Roma Tre, Roma)
Antonia Pozzi e le opere giovanili di Gustave Flaubert
Matteo M. Vecchio
(Università degli Studi, Firenze; Université Paris-Sorbonne, Paris IV)
Antonia Pozzi e l’officina ideologica di Flaubert negli anni della sua formazione letteraria
Ornella Spano
(Università degli Studi, Cagliari)
Per una lettura ecocritica di Antonia Pozzi traduttrice di Manfred Hausmann
Serena Cacchioli
(Scuola per Interpreti e Traduttori SSLMIT, Trieste; Università degli Studi di Pisa)
Antonia Pozzi e le voci femminili della poesia lusitana
Con il patrocinio scientifico di
Enciclopedia delle Donne
Milano
Fondazione Carlo e Marise Bo
per la Letteratura Europea Moderna e Contemporanea
Urbino
Fondazione di Studi Storici Filippo Turati
Firenze
Fondazione
Orchestra Sinfonica e Coro Sinfonico di Milano Giuseppe Verdi
Milano
Giuliano Ladolfi Editore
Borgomanero
Istituto Comprensivo Statale Giovanni Pascoli
Milano
Istituto di Studi Filosofici Antonio Banfi
Il Mauriziano – Reggio Emilia
«Italian Poetry Review»
Columbia University – Department of Italian
The Italian Academy for Advanced Studies in America
Fordham University – Department of Modern Languages and Literatures
University of Washington – Division of French and Italian Studies
New York
la Feltrinelli
Milano
Liceo Ginnasio Statale Alessandro Manzoni
Milano
Provincia di Milano
Assessorato alla Cultura
Milano
Satisfiction
Milano