poemetto
Viaggio in Irlanda
È quasi un ossimoro il titolo del libro di Claudia Zironi: Il tempo dell’esistenza. Un contrasto, un dissidio di termini in lotta, in contrapposizione. Un ossimoro atipico, improprio, ma pur sempre fertile di suggestioni, di inviti, di sfide. Il tempo è, o riflette, come uno specchio troppo nitido, la ragione, la logica, la caducità, la coscienza della ineluttabilità dei numeri, delle stagioni, del ciclo terreno delle rincorse e delle cadute. L’esistenza è ciò che deforma il vetro lucidato e spietato; lo sporca, lo appanna di passione, lo infrange, lo riforgia. Tra questi due estremi si muove la poesia di Claudia Zironi: tra un’attenta consapevolezza della fragilità e una forza eversiva, nel senso più nobile del termine. Quella forza del gesto, dell’abbraccio sconfinato e incondizionato a corpi che tradiscono la miseria umana, la mostrano, la superano, la sublimano, con le armi incruente e vitali dell’arte e dell’amore. Sì, perché la rincorsa che più conta, quella che spinge a percorrere le vie e i campi dell’Irlanda, tra nuvole ed erba verde, tra pietra e sogno, è quella eternamente vana eppure imprenscindibile: quella orientata verso l’amore. Sia pure l’amore di un istante malinconico, forse ricordo, forse sogno, il brillare del sole in un lago che cambia, muta colore e aspetto migliaia di volte nell’arco di un giorno o di una vita. L’Irlanda, luogo concreto e immaginario, ideale per perdersi e per trovarsi, per trovarsi nell’attimo in cui si smarrisce la coscienza del sé e ci si abbandona al fascino dell’abbandono. Lo smarrimento malinconico e felice, la consapevolezza di essere un prato destinato a seccare, ad essere prosciugato, per dare vita però ad altri fili, altri muschi, altre parole spazzate dal vento eppure tenaci, aggrappate alla roccia e agli scogli.
“Le nuvole/ di domani profano /con presunzione”, scrive l’autrice nei versi posti quasi ad esergo del poemetto qui pubblicato. C’è un pudore, quasi una riverenza nei confronti della parola, della poesia, propria degli artisti consapevoli, in queste parole. Questa stessa attenzione, questa delicata intensità, si rileva con coerenza e costanza in tutte le poesie della Zironi. Versi brevi, concentrati, alieni agli eccessi vani e a roboanti metafore. L’autrice percorre lo spazio che unisce e separa le parole in punti di piedi, scalza. Per non fare rumore, per non stridere, non lacerare vanamente. Ma anche per essere pronta, nei punti in cui il senso, il sentimento, si manifesta e si offre a braccia spalancate, a infilarsi assieme a lui in un letto di passione. Lì, ad occhi chiusi, si può essere fertili, si può fare scorrere il fluido del dire e del percepire. “Spingiamoci oltre/ nella prossima cavalcata ché qui/ é ancora terra, in fondo”.
Allora tutto, anche la malinconia, trova misura, perfino il ritorno che appare eterno del dolore. Ma c’è l’ironia, arma di difesa legittima ed essenziale, e c’è l’osservazione del mondo, la costanza della ricerca, il bene della vista: “Solo mucche completamente nere/ che portano nuvole/ impigliate al mantello./ Qui padrone non é il castello/ sono i fiori gialli”. Nel contrasto di questi colori, nella capacità di renderli testimoni di malinconie e di pulsioni vitali e coinvolgenti, si dipana la poesia di Claudia Zironi. Nella passione dei fiori gialli che è capace di vedere e fare vedere, mostrandone l’incanto semplice e arcano, la forza e l’attrazione naturale. I.M.
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Viaggio in Irlanda
di Claudia Zironi. Tratto da “Il tempo dell’esistenza”, Marco Saya edizioni, 2012
I
e le nuvole
di domani profano
con presunzione
II
Il Biondo.
Volerò con apprensione solita
l’incurante stupore della bimba
E vedrò dalla caduta un’isola
estirpata dal verde dell’Irlanda
L’Alba.
Altere nuvole nordiche
si formeranno purosangue
spumeranno dalle scogliere
in tuffo a scovare il fiume
Il Poeta.
Martedì piangeranno piano
sull’alberi le chiese, tetti neri.
Costretto il poeta nell’ombrello
riempirò i miei occhi di Dublino
III
furiose nubi
vendicano il sacro.
sorte serbata
IV
La Vecchia e la Morte.
L’aereo penetrò velocemente le nuvole
si pensò all’eiaculazione precoce
della morte
nella vecchia
(non c’é tempo per la psicanalisi)
Dev’essere così
bianca che accoglie
il sole i miei occhi ogni colore
cancella
Non c’é niente in queste nuvole.
Questa morte nordica, forse non troppo
a nord. Spingiamoci oltre
nella prossima cavalcata ché qui
é ancora terra, in fondo
E un poeta nella terra bagnata
é per i vermi come tutti
La campana!
Quanto tempo ci rimane non a Dublino?
V
nubi gotiche
non lasciano spiragli
a frivolezza
VI
Le ballate del Ring of Kerry.
Uccelli stagliano lo spartito
sul rigo elettrico contro l’indeciso
La vacca interpreta il ritmo
“What’s the story?”
(ballata per cornamusa)
Quattro figli son giusti
Beviti la Guinness!
Risata forte del sud
Davanti al tetto sfondato
della chiesa metodista
Agli spazi da riempire
di pioggia ogni due ore,
come una prescrizione
Qualcuno non parlava gaelico
o c’era una voce fuori dal coro
al pub, con capelli rosso brughiera
“Vita brevis ars longa”
(ballata per violino e flauto)
E le bionde di fieno
sono incartate, qui
in sacchi di cellophane
Sacchi da obitorio,
ruzzolano giù per il basalto
a fare il solletico all’oceano
in contesa di spiagge
Beviti la Guinness!
VII
Molly Malone
le nubi e le porte
tinge di rosso
VIII
Messa anglicana.
Avanza il corteo dal fondo
Purple e bastone d’argento
L’organo coperto dal coro
Dio da freddezza e riserbo
Campanari impiccati a quindici campane
rispondono a diciannove, in lotta impari
Li ricordano al secondo piano dell’ospedale
IX
si appoggia alla
collina, nube stanca
dell’indeciso
X
Glendalough.
Il purple distingue il lignaggio
delle montagne
Ché a vestirsi
di nebbia e di pecore
sono capaci anche le colline
Kilkenny.
Solo mucche completamente nere
che portano nuvole
impigliate al mantello.
Qui padrone non é il castello
sono i fiori gialli
XI
lascio l’isola
per il mare nebbioso.
di nuovo terra
XII
Waning waxing.
Ho visto il leprecano
sotto il fairy tree
togliersi la testa ridendo
L’ho coperto d’oro
perché la riponesse.
In cambio
non ho voluto trifoglio
ché nel giardino
dei ricordi
non cresce più nulla
Alle spalle una quercia
di fronte un tulipano
cambiasti l’alchimia
strega, non il tuo destino
XIII
s’acquieta pioggia,
di nuvola nordica
lacrima ultima
il lungo respiro del verso
giovedì 17 maggio 2012 21
Il lungo respiro del verso…
Quarta serata: Giancarlo Majorino e Stefano Raimondi
serata a cura di Milo De Angelis
Ciclo di quattro incontri sul poemetto italiano contemporaneo.
Introduzione di Milo De Angelis
Letture di Viviana Nicodemo
Testi della serata:
Giancarlo Majorino, La capitale del nord
Stefano Raimondi, La città dell’orto
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Palazzina Liberty, Largo marinai d’Italia 1 – ingresso libero