Rainer Maria Rilke

Tempo innocente

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L’idea dell’innocenza abbinata al concetto di tempo è a dir poco inusuale. Nel corso dei secoli e nelle pagine di innumerevoli libri il tempo è stato descritto come tiranno, assassino, spietato divoratore di membra, padre feroce che si nutre dei propri figli. Rosa Salvia, in questo suo libro, giocato con estrema cura e consapevolezza sul discrimine sottile tra emozione e riflessione, ha voluto, al contrario, dichiararne l’innocenza.
Una mia recensione al libro. Buona lettura, IM
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Rosa Salvia, Tempo innocente

Lietocolle, Collana Erato, 2019.

 

recensione di Ivano Mugnaini

 
L’idea dell’innocenza abbinata al concetto di tempo è a dir poco inusuale. Nel corso dei secoli e nelle pagine di innumerevoli libri il tempo è stato descritto come tiranno, assassino, spietato divoratore di membra, padre feroce che si nutre dei propri figli. Rosa Salvia, in questo suo libro, giocato con estrema cura e consapevolezza sul discrimine sottile tra emozione e riflessione, ha voluto, al contrario, dichiararne l’innocenza. L’autrice è troppo scrupolosa e conscia per aver semplicemente voluto divertirsi a stupire con un titolo ad effetto. Il libro è un invito alla ricerca, al pensiero critico, ad una visione attenta, divergente, laddove è necessario. È una lunga e appassionata “caccia al tesoro” per giungere a scoprire un frammento di verità, sia essa pietra salda o fiato impalpabile di un’ipotesi condivisa. Più esattamente, è una specie di gioco dei mimi in cui si tratta di indovinare chi è il personaggio, cosa fa, quale azioni compie, e, soprattutto, cosa siamo noi in rapporto a lui. Forse, in ultima istanza, si tratta di scoprire se quel personaggio che cerchiamo di indovinare, quello che viene definito innocente ma ci atterrisce, quello che ci terrorizza ma in realtà non ha colpa, in fondo, siamo noi. L’immagine di noi, l’essenza di noi.
“Oggi il sole è uno splendore!” Il primissimo verso della raccolta è questo. Sembra una pura descrizione, un’esclamazione di gioia estatica, lineare, incondizionata. Invece, per fortuna dell’autrice e del lettore, in questo libro di semplice c’è poco o niente e di puro c’è solo il desiderio di scoprire ambivalenze, coesistenze di realtà e sensazioni, in poche parole “impurità”. Solo ciò che è spurio, in grado di leggere allo stesso tempo le righe e lo spazio misterioso che le separa e le unisce, ci avvicina di qualche passo, senza annichilirci, allo splendore di quel sole da cui siamo partiti. Non è un caso che un passo oltre, nei versi successivi della lirica d’esordio, faccia la sua comparsa un “immenso occhio curioso” che gioca “fra i ghirigori della tenda”.

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A TU PER TU – Chiara Zanetti

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Molti gli spunti di interesse che nascono dalle risposte di Chiara Zanetti alle cinque domande della rubrica A TU PER TU.
Di Chiara mi ha sempre colpito la capacità di abbinare la ricerca di leggerezza, divertimento e convivialità ad un’efficienza che verrebbe da definire di stampo “teutonico”. Ma non c’è bisogno di andare oltre confine. Diciamo un’efficienza che anche noi abitanti di questa strana Penisola a tratti sappiamo avere, quando ci svegliamo dal lato giusto.
Chiara non ha cercato scorciatoie: ha saputo ottenere risultati con dedizione e applicazione, mai ottusa o asettica, sempre all’insegna della gentilezza e del dialogo.
Anche nelle risposte all’intervista ha confermato queste caratteristiche: con grande sincerità e chiarezza ci parla di sé e dello “specchio in forma di parole” di un libro in cui, scrutando dentro se stessa e dentro un proprio “lutto”, finisce per parlare di tutti noi, di quello che fatalmente perdiamo, senza mai perderlo del tutto, forse, della fragilità e della persistenza, dell’interiorità, della paura (attuale, oggi e sempre) e della tenace volontà di guardarsi dentro trasformando la perdita e lo smarrimento in ricerca di espressione e di dialogo.
Anche in questo caso, se volete e potete, leggete le risposte nella loro interezza e nel contesto che ben delinea i chiaroscuri, il buio e la ricerca di spiragli di luce.
IM

A TU PER TU

UNA RETE DI VOCI

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5 domande

a

Chiara Zanetti

1 ) Il mio benvenuto, innanzitutto.

Puoi fornire un tuo breve autoritratto in forma di parole ai lettori di Dedalus?

Caro Ivano, grazie per l’ospitalità. Sai, nella mia vita sono sempre stata dalla parte dell’intervistatrice, della giornalista e mai il contrario, salvo un paio di importanti eccezioni.

Un mio autoritratto… Forse un’isola, circondata da pareti di mare, ma in continua ricerca di scambi con la terraferma. È significativo, peraltro, il mio rapporto con le periferie e l’insularità come identità liminale, ma non è questo il momento di dilungarmi in merito…

Caso vuole che stessi parlando proprio ieri con un caro amico scrittore di come i dipinti che alcuni artisti hanno realizzato ispirandosi alla mia figura siano in realtà troppo semplici per cogliere la mia essenza profonda. Credo infatti di essere (come tutti o quasi, in realtà) una persona complessa, densa di sfumature, contraddizioni, iperboli, svalutazioni…. Ma anche accrescitivi, vezzeggiativi, diminutivi. Una sorta di grammatica della persona… E non scordiamoci del binomio con l’analisi! Mi piace molto tentare di capire il mondo, questo è tutto quello che so di me e che ha ispirato il percorso che mi accingo a cominciare a gennaio 2021, ovvero il Master triennale in Counseling presso Aspic.

2 ) Ci puoi parlare del tuo ultimo libro (o di un tuo lavoro recente che ti sta a cuore), indicando cosa lo ha ispirato, gli intenti, le motivazioni, le aspettative, le sensazioni?

Cita, eventualmente, qualche brano di critica che ha colto lessenza del tuo libro e del tuo lavoro più in generale.

Particolarmente gradita sarebbe, inoltre, una tua breve nota personale sul libro (o sulliniziativa artistica).

Qualche riga in cui ci parli del tuo rapporto più intimo con questa tua opera recente.

La mia unica opera edita – al momento – è Testamento blu, uscita lo scorso 20 novembre con Echos.

Eravamo nel pieno del primo lockdown quando iniziai a scriverla, e anche l’agenzia di reclutamento per cui lavoravo al tempo era chiusa. Ero a casa, del tutto non abituata a trovarmici costantemente… Io amo scrivere, da sempre, come adoro leggere. Inoltre, mi ero appena imbarcata in una nuova relazione sentimentale dopo il fallimento del rapporto più lungo e sostanzioso della mia vita, finito nell’ottobre del 2018. Quasi due anni, direte, che significa… Beh, per me, molto, visto e considerato che è stato il lasso di tempo necessario per elaborare questo e altri “lutti”. Mi sono guardata dentro e ho pensato, sull’onda anche di una vocazione alle relazioni d’aiuto, perché non scrivere un saggio introspettivo in cui parlare di questo enorme buco nero (come credo ce ne siano nella maggioranza delle storie umane) e dare un esempio a cui appellarsi a chi si trova in difficoltà su vari fronti? E poi il gioco era fatto, ormai, ho colto la palla al balzo e ho iniziato a buttare giù il primo capitolo… Ne sono seguiti altri e infine è avvenuto il sodalizio con un artista che stimo molto per bravura e profondità di vedute, Andrea Lelario, a cui ho proposto di realizzare le illustrazioni del mio libro.

Il titolo mi sembra abbastanza indicativo… Il blu era per Wassily Kandinsky la tonalità dell’approfondimento e, in quanto al sostantivo, esso rimanda a ciò che lascio in eredità ai lettori, che può essere poco o può essere tanto, ma sarà sempre qualcosa.

Nella sua prefazione al testo, Vittorio Raschetti scrive: “Occorre passare per molti solitudini per trovare sentieri non ancora tracciati che portano nei pressi del vero. Perché non arrivare a nulla è diverso da arrivare al nulla. Solo nei segni più labili e nelle tracce più evanescenti è possibile salvarsi, solamente nella fragilità e nella persistenza di ciò che sembra già condannato a scomparire”, e penso qualifichi molto questo manoscritto, che mi ha procurato gioie e pianti.

Aspettative non ne ho. Nessuna velleità letteraria, sogno di successo, speranza di lucro o desiderio di entrare nel novero dell’intellighenzia italiana. Nel mio libro dipingo la mia interiorità ed è tutto ciò che mi importa, se qualcuno vi si può rispecchiare. Per accennare al mio rapporto intimo con questo testo, sicuramente farei riferimento anche alla paura… Timore che possa non piacere o deludere qualcuno.

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Le distrazioni del viaggio

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Il 30 novembre nell’ambito degli incontri letterari organizzati dall’Associazione AstrolabioCultura presieduto da Valeria Serofilli ho avuto modo di dialogare con Annalisa Ciampalini riguardo al suo libro Le distrazioni del viaggio. Ne sono nate domande, curiosità e interrogativi a cui Annalisa ha risposto in modo sempre originale, mai scontato, abbinando lucidità di visione e passione espositiva. Riporto qui di seguito le mie domande (anche quelle da un milione di euro, interessi compresi) e le risposte dell’autrice, sempre all’altezza.

Buona lettura, IM

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Risultati immagini per annalisa ciampalini le distrazioni del viaggio

Pisa 30 novembre 2018

Annalisa Ciampalini, Le distrazioni del viaggio, Samuele editore, 2018

1 ) La prima considerazione è di carattere fisico, spaziale, ma sappiamo che tutto nella scrittura ha un senso e risvolti tematici e simbolici.

Il tuo volume è condensato, l’impressione è che tu abbia voluto offrire il frutto di lunghe e accurate “decantazioni”.

È una tua caratteristica costante la scrittura sintetica, densa, deliberatamente racchiusa nell’arco di versi brevi, oppure è correlata alla genesi specifica di questo libro?

La scelta della concisione è legata anche ai tuoi studi, al tuo legame con la matematica o si tratta di percorsi paralleli senza punti di incontro?

I tuoi modelli letterari, infine, hanno influenzato questa tua caratteristica?

A: Sicuramente la mia formazione scientifica ha contribuito all’essenzialità del modo di esprimermi, a volte rintracciabile anche in prosa. I modelli letterari, ossia gli scrittori e i poeti che leggo con assiduità e che amo, credo influenzino soprattutto l’atmosfera dei miei componimenti piuttosto che la scelta del verso. Spesso di certi poeti mi affascinano il ritmo e la melodia che le parole formano e assieme a questo il sentimento di uno stato d’animo che pur non essendo mio, mi pare di sfiorare. È anche da simili stati emotivi che la mia poesia prende vita. In questa raccolta i componimenti sono più brevi rispetto ai precedenti, questo perché ho scelto di lasciare inespressa la connessione tra le esperienze terrene e quotidiane dell’individuo e la sua parte spirituale che in questo libro viene privilegiata.

 

2 ) L’esergo del libro, proprio di tutti i volumi della collana Scilla di Samuele editore, riporta versi di Paolo Ruffilli, con una sua personale variazione sul tema del “carpe diem”. Come ti collochi rispetto alla tradizione, sia quella classica che quella contemporanea? C’è un’influenza diretta o si tratta solo di spunti, di occasioni di riflessione?

 

A: L’editore Alessandro Canzian ha deciso di adottare i bei versi di Ruffilli come motto per la collana Scilla. Sono stati scelti con cognizione di causa, e io mi ci rispecchio in quanto credo che il concepimento di un verso sia un atto breve e raro, un attimo particolare in cui decidiamo di cogliere qualcosa che non ci appartiene del tutto e di farlo nostro. Ad ogni modo, nell’ultimo verso, Ruffilli riporta quasi per intero il paradigma del verbo carpere, e non possiamo non pensare ad Orazio. Sono affezionata alle Odi di Orazio che risuonano ancora dentro di me dopo averle lette al liceo rispettando la metrica latina. Orazio ci dona una riflessione esistenziale profonda, da cui deriva un’esortazione a vivere la gioia dell’attimo presente, senza che venga offuscata dall’incertezza e dalla preoccupazione per il futuro, in quanto niente possiamo sapere dei giorni a venire. Sono perfettamente d’accordo con questa visione della realtà. Non condivido invece l’idea di vivere solo per il presente, non ricordando il passato e non considerando i progetti per il futuro.

 

3 ) Ci sono riferimenti nel tuo libro ad ambiti di studio scientifico, a tratti psicanalitico, in particolare c’è uno scavo accurato del rapporto complesso tra l’io e il mondo esterno, gli altri, e l’indagine sulle “aree grigie dell’ignoto”. Ma ci sono, in modo indiretto ma percepibile, riferimenti anche ad altre arti: il rapporto tra luce e buio, tenebra e visione, ricordano, ad esempio, certi quadri di Caravaggio. Si tratta di semplici riferimenti casuali o sono fonti di ispirazione?

A: Caravaggio è un pittore che amo molto, che mi suggestiona profondamente e mi fa sognare. Non ho scritto nessuna poesia del libro pensando o guardando un’opera precisa di Caravaggio, ma sicuramente l’alternarsi del buio con la luce è un’immagine che mi ispira molto, mi dà il brivido necessario per scrivere. La luce della conoscenza, le aree grigie dell’ignoto, e il confine sempre mutevole tra queste due regioni che mai troveranno una netta separazione sono linfa vitale per i miei versi. E in Caravaggio la luce è piena e le tenebre profonde, troviamo passione e mistero che si lasciano guardare, che ci invitano a lanciare lo sguardo oltre i margini che delimitano l’opera. Leggi il seguito di questo post »