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L’albergo dei morti – libro di Fabio Dainotti – Manni, 2023

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Fabio Dainotti, L’albergo dei morti, Manni, 2023

Il titolo del libro di questo libro è ineludibile. Impone una riflessione e una risposta emotiva. Il riferimento alla morte, quel nitido memento mori, dovrebbe generare tristezza. Ma il vocabolo “albergo” ha assonanze differenti. Si vive con la morte accanto, in un luogo che non abbiamo scelto; ma si tratta pur sempre di una “vacanza”, seppure a tratti in una struttura che è a volte caserma, a volte ospedale, a volte istituto di pena. Ma è un albergo. Di morti vivi. Che sanno sognare. Che hanno conosciuto la poesia, la bellezza. Che hanno il privilegio di ore d’aria in cui possono creare e dialogare con poeti passati o moderni. I poeti vivono sempre nelle loro poesie. E ci sono modi di rendere migliore il soggiorno: donne giovani o piene di tempo, di primavere, di anni, ma anche di frutti succosi. “Sulle foglie del melo l’amarena / del tramonto: la vecchia signora / ce la offriva in giardino”.

Questa poesia, nitida e suasiva, è preceduta da una dedica, “A Gina”, ed è seguita da un luogo e da una data, “Brescia, 1965”. Questo breve e intenso componimento, possiede, come tutte le liriche di questo libro, la concretezza del vissuto, e, in modo spontaneo, l’offerta sincera di quel dono, oggetto concreto e simbolo, compendio di un tempo che, qui ed ora, rievoca se stesso con dolcezza aspra, autentica. Leggi il seguito di questo post »

“Il lume della follia”, domande e annotazioni

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Pubblico qui di seguito alcune domande a Prisco De Vivo riguardo alla sua attività letteraria ed artistica, con riferimento specifico al suo libro di recente pubblicazione “Il lume della follia”. IM

  1. Nella tua ultima raccolta di poesie, dal titolo “Il lume della follia”, in un verso reciti: “le cose del mondo che ti limitavi a tenere nascosto”. È la rappresentazione di un dolore vissuto?

Sì, rappresenta un doloroso vissuto di una persona a me cara, mio zio Gaetano, fratello di mia madre vissuto in manicomio; si è consumato nel silenzio e nell’ombra dell’indifferenza, di aspri egoismi e cattiverie.

  • Vorrei approfondire il tuo sguardo in materia di oscurità. Qual è la tua vertigine di solitudine?

La mia vertigine di solitudine, come tu la chiami, ha a che fare con il disincanto attraversando l’inciampo e la caduta, con lo stesso umore ho raggiunto quell’uscita dall’incombente oscurità. Tutto è dettato solo dall’amore verso gli altri e dalla chiarità delle proprie azioni.

  • Qual è il lato luminoso della follia?

Il lato luminoso della follia è rappresentato dalla genuinità di essere veraci, persone senza filtri fino al disgusto. La verità è nuda e ruvida, per niente estetica e per niente accattivante. Ebbene, questo è anche il perno principale di questa mia ultima raccolta di poesie dall’ossimorico titolo: “Il lume della follia”; testo viscerale e pulsante come un corpo nevralgico; un corpo scoperto coi suoi tendini, i suoi nervi e il suo sangue messo in luce.  

  • Riconosco che sei un uomo di fede, quanto è importante per te “la fede”?

In sintesi, “la fede” è davvero determinante. Dovrebbe essere fondamentale per ogni uomo. Ma, denoto che la questione religiosa, nel nostro attuale tempo, è del tutto secondaria. La mia esperienza di conversione al credo cristiano mi ha portato ad analizzare diversi aspetti della mia vita; a tendere, con vera autocoscienza, verso la redenzione ed a sopprimere l’inutilità di un vissuto speso verso la perdita e l’inconcludenza.

  • Può mai esserci una barriera alla banalità del male?

Credo che questa barriera non verrà abbattuta fin quando il seme dell’odio è fra gli uomini; ramifichi ed irrobustisca le sue radici verso il dissenso e la gratuità della violenza.

A tal proposito, Simon Weill diceva semplicemente: “Nessuno ha amore più grande di colui che sa rispettare la libertà dell’altro”. Eppure, tutto questo per l’uomo non dovrebbe essere così difficile e faticoso.

  • Secondo te, l’arte come la poesia è ricerca di perfezione e consapevolezza? Oppure, è solo una totale uscita dalle proprie insicurezze?

L’arte e la poesia migliorano profondamente l’essere umano. Ma, se vogliamo, la bellezza è custodita in ognuno di noi.

A tal proposito, vorrei citare George Bernard Shaw che quando si ritrovò ad osservare le opere di poesia di Michelangelo e le pitture della Cappella Sistina esclamò: “Si usano gli specchi per guardarsi il viso e si usa l’arte per guardarsi l’anima”.  

  • Quella sacralità del dolore che ritrovo nella tua ultima opera, sei sempre riuscito a riconoscerla?

Sì, sono riuscito a riconoscerla fin dall’adolescenza. In una mia vecchia lirica, dal titolo “Nel corpo della sofferenza”, parlai di un viaggio autobiografico nella profondità del proprio dolore; quel dolore che è visibile nella salvezza cristiana, quel “corpus doloris” che porta ad accettare il peso della croce ed a portarla con amore ed umiltà.

  • Ogni rumore ed ogni suono, in poesia, sono quasi solenni. Volevo capire, quando tu scrivi o dipingi hai bisogno della musica o del totale silenzio?

Sicuramente il suono ha una sua solennità. Se pensiamo, ad esempio, a “Barche amarrate”, dai “canti orfici” di Dino Campana in cui egli esprime fino in fondo la poesia farsi suono, quasi come se fosse uno spartito.

Per quanto riguarda la musica, sì, quando dipingo ascolto maggiormente da Bach a Bartok. Ma, devo anche confessarti una cosa che ci sono alcune canzoni che ascolto di rado, come: “L’oceano di silenzio” di Franco Battiato e “C’è tempo” di Ivano Fossati, oppure “Martha” di Tom Waits. Sono testi che scuotono il mio essere, mi lasciano naufrago in un dirupo di ricordi e di emozioni. Ma, penso che ciò accade a tutte le figure sensibili.

Ivano Mugnaini