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A TU PER TU – Annamaria Ferramosca

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La caratteristica di Annamaria Ferramosca che emerge, sia dalla lettura dei suoi libri sia dai dialoghi e dalle presentazioni, è la ricerca di un impegno non di maniera e la volontà di estendere il rapporto tra la parola e il mondo, generando fertili contaminazioni.
Il suo è uno sguardo aperto, non in modo retorico o formale. È caratterizzato da un aspetto tutt’altro che frequente, nel mondo letterario e non solo: un desiderio di condivisione fattivo. Il contrario dell’individualismo. Dettò così sembra poco e sembra scontato. In realtà coloro che davvero rinunciano a parte del proprio individualismo per andare oltre “i cerchi e i circoli” sono pochi. Annamaria Ferramosca ha un proprio universo espressivo. Ma ricerca anche, con sincera costanza,  i lavori di gruppo, corali, gli spartiti per duetti o per strumenti che cercano accordi e concerti.
L’impegno a cui si è accennato si abbina anch’esso, senza stridore e senza forzature, alla descrizione di sentimenti assolutamente intimi. L’autrice sa rendere metafora sia la sua emozione e lo stupore per la crescita di sua nipote, sia lo smarrimento e il dolore per le ingiustizie del mondo, per gli squilibri e le sopraffazioni di cui il nostro tempo si rende complice.
Avrei voluto esimervi ed esimermi dal “mantra” dell’invito alla lettura dell’intervista completa. Non mi è possibile. Perché solo le risposte nel loro contesto danno senso e misura a quanto qui accennato in modo succinto, per cenni.
Buona lettura, quindi, a tutti i “dedalonauti”, IM 

 

A TU PER TU
UNA RETE DI VOCI
L’obiettivo della rubrica A TU PER TU, rinnovata in un quest’epoca di contagi e di necessari riadattamenti di modi, tempi e relazioni, è, appunto, quella di costruire una rete, un insieme di nodi su cui fare leva, per attraversare la sensazione di vuoto impalpabile ritrovando punti di appoggio, sostegno, dialogo e scambio.
Rivolgerò ad alcune autrici ed alcuni autori, del mondo letterario e non solo, italiani e di altre nazioni, un numero limitato di domande, il più possibile dirette ed essenziali, in tutte le accezioni del termine.
Le domande permetteranno a ciascuna e a ciascuno di presentare se stessi e i cardini, gli snodi del proprio modo di essere e di fare arte: il proprio lavoro e ciò che lo nutre e lo ispira.
Saranno volta per volta le stesse domande.
Le risposte di artisti con background differenti e diversi stili e approcci, consentiranno, tramite analogie e contrasti, di avere un quadro il più possibile ampio e vario individuando i punti di appoggio di quella rete di voci, di volti e di espressioni a cui si è fatto cenno e a cui è ispirata questa rubrica.
IM
Andare per salti copertina

 

5 domande

a 

Annamaria Ferramosca

 

1 ) Il mio benvenuto, innanzitutto.

Puoi fornire un tuo breve “autoritratto” in forma di parole ai lettori di Dedalus?

Mi autoritraggo: ho profilo di donna, ma da sempre mi sono percepita come “persona”, essere che, al di là della propria esperienza di genere, sente di avere un potenziale cognitivo e creativo espressione dell’umano, nella sua interezza e varietà. Il risultato è quello che forse emerge dalla mia scrittura, di una sempre inquieta scrivente, che ha amato e continua ad amare questo prodigiomistero che è la vita e che si lascia attraversare dalle alterne vicende cercando un punto di equilibrio almeno sulla carta, con l’aiuto delle parole. E la mia modalità di ricerca, intravista fin da bambina, è quella del crescere nel confronto continuo delle esperienze, attraverso lo scambio reale con gli altri, quotidiano e del vigile sguardo sul mondo. Ma tutto questo lungo un’intera vita davvero non basta, non basta –l’ho compreso presto– perché l’incontro con altri vissuti e visioni deve essere il più largo possibile e può avvenire soltanto attraverso la lettura, incessante, sterminata, che sento necessaria come il pane. Da qui l’esigenza poi di restituire almeno tracce dell’immenso immaginario percorso e del pensiero via via elaborato. Così fin dall’adolescenza scrivo, in poesia. Con tremore, sempre, per tutto ciò che inesorabilmente in poesia sfugge, ma anche con la felicità di dar corpo a qualcosa di estremamente volatile ma evocatore di senso, che preme per essere comunicato, e poterlo fare maneggiando la parola, piegandola alla necessità di grazia e ritmo del verso.

E sono grata alla vita che mi ha permesso di seguire questa forma privilegiata di conoscenza – del mondo e di me stessa – che è la poesia. 

 

2 ) Ci puoi parlare del tuo ultimo libro (o di un tuo lavoro recente che ti sta a cuore), indicando cosa lo ha ispirato, gli intenti, le motivazioni, le aspettative, le sensazioni?

Cita, eventualmente, qualche brano di critica che ha colto l’essenza del tuo libro e del tuo lavoro più in generale.

Particolarmente gradita sarebbe, inoltre, una tua breve nota personale sul libro (o sull’iniziativa artistica).

Qualche riga in cui ci parli del tuo rapporto più intimo con questa tua opera recente.

 

Ogni mia raccolta poetica è il risultato di una mia esigenza –diciamo pure caratteriale– che è il mio voler mai fermarmi, cercare ogni giorno nuove scene, dimensioni, nuove voci e luoghi dove rinascere. Ogni testo nasce non da un progetto, ma da occasioni fortuite, inaspettate. Sono incontri dal quotidiano che s’intrecciano con scene dell’immaginario, o anche oniriche, con incursioni nel mio passato, nella storia, nel mito, fino a spingersi negli spazi inaccessibili dell’altrove. Solo alla fine di ogni periodo di scrittura, quando lo avverto compiuto, accade che il libro si organizzi quasi in automatico, ed è per me facile collegare i testi in sezioni secondo un contiguo respiro tematico.

           E nei titoli dei miei libri resta la traccia delle varie tappe di una esplorazione ancora in moto, come in: Il versante vero; Porte/Doors; Curve di livello; Ciclica; Altri Segni, Altri Cerchi; Andare per salti.

Ecco, mi soffermo su quest’ultimo, pubblicato nel 2017 da ArcipelagoItaca come Premio per una Raccolta Inedita. Il libro riflette in pieno questa mia spinta a trascrivere una persistente inquietudine, divenuta più pressante per il rifiuto, credo ormai sentito da molti, della deriva del mondo fattosi sempre più estraneo – i suoi cardini spostati ormai sul profitto e sulla ipertecnologia– un mondo indifferente, non solidale, miope verso il futuro, che lentamente ci sottrae umanità, l’incontro vero, oltre che gli spazi naturali di vivibilità. 

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Andare per salti

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Una mia nota di lettura sul libro Andare per salti di Annamaria Ferramosca.

La nota è già stata pubblicata in versione integrale, comprendente anche una selezione di testi scelti dalla stessa autrice, sul portale Viadellebelledonne, a questo link https://viadellebelledonne.wordpress.com/2017/05/05/andare-per-salti-di-annamaria-ferramosca/ .

L’invito, ai dedalonauti interessati è quello di sempre: incuriosirsi, leggere, cercare il libro e altre belle cose. Le stesse che auspico per tutti voi. IM

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Andare per salti presuppone la volontà e la necessità di staccarsi dal suolo, seppure per un breve tratto. Implica un volo, uno spazio ed un tempo in cui si perde il contatto con il terreno. Annamaria Ferramosca ha percepito nei versi di questo volume un moto interno, una dinamica del sentire, ma, coerentemente con quanto ha scritto nei suoi libri precedenti e soprattutto in piena concordanza con il suo modo di percepire e di vedere, ha corretto il tiro, lo ha ampliato e modulato. Andare per salti è composto da tre sezioni: la prima, eponima, ricalca il titolo del libro, la seconda prosegue con “Per tumulti” e l’ultima va ”Per spazi inaccessibili”. Si ha l’impressione di una progressiva volontà di recuperare il legame con la superficie terrestre, imperfetta, pietrosa ma imprescindibile. Il tumulto richiama l’effetto di un sommovimento tellurico. Un terremoto, sia del suolo che del cuore. Gli spazi inaccessibili sono quelli intricati di una giungla, una boscaglia, non certo quelli sgombri ed eterei del cielo. La Ferramosca, anche in questo libro, percorre con coerenza i cerchi e le curve del percorso letterario ed esistenziale che le è proprio. Cammina in punta di piedi ma con forza e tenacia sul filo esile e vitale sospeso tra il corporeo e l’incorporeo, il carnale e l’etereo, tra la paura e la necessità di sporcarsi le mani con la sabbia e con il fango, con il sudore e con il sangue, con la feroce attrazione dell’imperfezione.
In quest’ottica, partendo da questa prospettiva, anche il linguaggio va adattato, ristrutturato e rimodellato, reso strumento duttile e duplice, atto a tracciare sottili linee azzurre nell’etere ma anche all’occorrenza lettere rosse, dense di sangue, piene della goffa e umanissima sostanza del dolore. “Questa sera ruota la vena/ dell’universo e io esco, come vedi,/ dalla mia pietra per parlarti ancora/ della vita, di me e di te, della tua vita/ che osservo dai grandi notturni”. Sono questi i versi, tratti da Incontri e agguati di Milo De Angelis, scelti dall’autrice, con una cura e un’attenzione che non è difficile immaginare, come epigrafe, come stanza d’ingresso per questo suo libro. Esco dalla mia pietra, recita uno dei versi. Da una pietra si esce come, in quale modo, con quale forza e quale strumento? Annamaria Ferramosca in questo libro sembra dirci che dalla pietra si può uscire vivi, senza essere diventati pietra noi stessi, almeno non del tutto. Si esce, forse, se si è capaci di comprendere che non c’è una sola vita da raccontare. C’è anche la vita altrui da dire, da rendere verso, parola. Dalla pietra di una tomba che è già realtà all’atto del nascere ci si salva parlando agli altri della propria vita e della loro, simultaneamente, cercando di andare oltre il confine, superandolo con il tumulto di un cuore che si spezza e rischia di spegnersi da un attimo all’altro ma che, nonostante questo, non smette di camminare e sorridere, a dispetto di tutto, esplorando e rendendo propri gli spazi inaccessibili del significato, di un significato possibile, giusto o sbagliato ma umano, il luogo dove il senso diventa sentimento. “Schizzo via dalla giunglamercato/ obliquando rallento prendo fiato/ rispondo alla domanda muta/ del venditore ambulante/ – è da un po’ che mi fissa perplesso -/ sai la fine mi tiene d’occhio e voglio/ andare senza direzione/ come un bambino fare splash nelle pozzanghere/ se vuoi se hai tempo appena/ il tiglio smette di gocciolare/ ti racconto una stupida vita/ come stupisce come istupidisce”. In questi versi della lirica d’esordio del libro l’autrice, con i mezzi, gli utensili a lei più cari, tesse un filo che unisce passato e presente, la sua produzione precedente e questo suo libro attuale, lo specchio del momento. Un collage tra parole che vengono agglutinate, come in “giunglamercato”, conservando ciascuna un proprio senso che tuttavia diventa nuovo nell’attimo dell’accostarsi, nel gusto mai spento della voluttà del dire. Stesso discorso per i vocaboli creati ex novo, come con i pezzi di un Lego colorato e dalle infinite possibilità, come nel caso di “obliquando”. Ma il gioco della Ferramosca è sempre serissimo, nella forma e nella sostanza. Viene fatto di immaginare un taglio dolce ma severo perfino nel sorriso che le si apre sulla bocca quando fa “splash nelle pozzanghere”. È una delle caratteristiche che rendono riconoscibile la poetica dell’autrice: la serietà nel gioco e la giocosità nella serietà. La commedia della vita che racconta con i suoi versi alterna, potremmo dire “obliqua”, attimi di levità in cui tuttavia non smette di percepire che il mondo è storto, sbilenco, fuori asse, e istanti di ragionamento che non vuole mai rendere del tutto agri. L’ironia, in questo libro, ha sempre un fondo di amarezza per la deriva umana, osservata, percepita, descritta.
Questo libro è, in parte, una sorta di canto notturno della Ferramosca, scritto con la percezione di una ferita, con la minaccia di un buio incombente. Ma l’autrice anche qui, perfino nella penombra del corpo e dei pensieri, riesce a non dimenticare le voci altrui, e la sua “bambina delle meraviglie” che dorme, serena. Comprende, e ci fa comprendere, che la bambina è altra da sé, vive una vita propria, indipendente da lei. Ha il suo luminoso tempo dell’infanzia, Nicole, e avrà un futuro anche quando non potrà e non potremo più guardarla, proteggerla con lo sguardo e con i pensieri. La bambina è altra da sé ma è anche lei, Annamaria Ferramosca, in grado di conservare uno spiraglio di stupore, e la forza di un salto, illogico e salvifico, perfino al di sopra del “terribile che infuria”, del “solito sgomento” che rende illusoria la speranza.
Il trucco è semplice, tutto sommato: dimenticare, volutamente, ricordarsi di scordare lo “zaino zavorra”. Sapendo che dentro quello zaino c’è tutto ciò che conta e che in realtà quello che c’è conta poco o niente. Non contano le “de-finizioni”, ciò che pone termine alle potenzialità infinite dell’essere e dell’esprimere. Non conta ciò che minaccia e chiama a sé, nel mistero dell’oltre. Non contano perché la bambina è ancora splendidamente “irrubata” dal mondo, è un luogo del tempo in cui il tempo stesso non può arrivare, non può irrompere e non può infrangere. Questo è il fuoco del libro, l’essenza, il succo spremuto da giorni di ascolto e visione, di paura e di attesa. Ed ha un sapore lieve al palato, nonostante la speranza che si fa sempre più esile, che parla come una Sibilla chiusa in un’ampolla. “Nessuno è reale piove sempre/ nella pioggia sbavano i segni/ ma le pagine accidenti quelle sono/ insperate di bellezza/ disperante bellezza irraggiungibile”, scrive. In questo gioco oscillante di ossimori, quasi danza su un filo sospeso, c’è il richiamo mai spento, determinante, imprescindibile: quello di Nicole, la bambina, alunna e maestra, la sua luminosa infanzia, intatta e intangibile, e ci siamo che, pensandola, amandola, salviamo lei in noi e noi in lei.
Da qui, da questa fragile solidità acquisita con un moto d’affetto assoluto, può finire il salto e iniziare il tumulto. La seconda sezione del libro si apre con una danza, un movimento del corpo che si disegna nell’aria con il suo legame attraverso i passi, con la terra: “Tu non lo sai ma questa tua danzaturbine/ ha parole paradossali d’invito ‘nturcinate”. Il turbine sconvolge, scompagina, descrive e genera forme nuove: il coraggio di affidare al corpo la libertà di creare ancora, nonostante tutto, ancora una volta. Il paradosso è sempre fertile, per sua natura, per la capacità di mettere a contatto materie diverse, entità e respiri. Ne deriva un amplesso, corporeo e astratto, etereo e sanguigno, in grado di rendere le parole ‘nturcinate’, intrecciate, avviluppate fino a smarrire il discrimine, l’io e il tu, il presente e un tempo indefinito, la coscienza e il sogno. Da qui, la scena d’amore, nasce, erompe, come “le onde-salento che lampeggiano” e “il soffio greco del timo sullo scoglio”, con la consapevolezza di avere già i piedi nella corrente. La solidità si è fatta fluida, scorre, e ad ogni istante muta. Non è tuttavia morte per acqua alla Eliot. Semmai qui, nell’ebbrezza del tumulto, è vita per acqua, eros esistenziale, dialogo intimo di braccia, occhi, dita, parole.
Fortificati, consci e smarriti quanto basta, possiamo intraprendere l’esplorazione dei luoghi inaccessibili, ultima tappa del viaggio. Ma il tragitto è sempre circolare, ci si muove sempre in circoli, cerchi, Circles, circonferenze e sfere: la tappa finale è anche la prima. Ci si rivolge ad un destinatario ben identificato e al contempo indefinito. Si parla, in questa sezione, ma in fondo in ciascuna pagina di questo libro, della fine personificata che incombe: “Procedi per allusioni/ per sotterfugi sottili ti sottrai/ e intanto lievita/ questa bella estate di frutti e led/ ora so di aver vissuto solo per stanarti/ un’intera vita a decrittare invano/ i cartelli che pianti sulle svolte/ le scritte pallide le frasi/ lasciate qua e là smozzicate/ (per discrezione o forse/ per una più veloce eutanasia) ma/ sai bene quanto intollerabile sia/ conoscere i dettagli del viaggio”.
Un consuntivo, una sorta di giornale di viaggio, un diario di bordo scritto per se stessa e per chi lo leggerà, dopo, in un tempo ancora da venire e definire. Lo è nello specifico la sezione conclusiva del libro ma anche l’intero libro, nella sua sfaccettata unitarietà. Annamaria Ferramosca in questo suo Andare per salti ha scritto un sobrio, addolorato e gioioso inno alla vita, insieme ad un ascolto dell’effimero che siamo. La forza di questo libro è nella capacità di scrivere di sé senza egotismo, senza pretendere di essere il Nord magnetico e la stella polare. L’autrice parla di sé rispondendo al silenzio di un venditore ambulante con il racconto della sua vita. Parla di sé smarrendosi in una danza o nell’ebbrezza di frasi fulminee scambiate sullo schermo di un computer. Parla di sé osservando la bellezza di una fanciulla che prosegue da sola il suo cammino portando però con sé frasi, discorsi, pensieri e sogni che ha raccolto da lei in modo spontaneo, immediato, naturale come il ciclo delle stagioni.
Al lettore, alla fine, viene spontaneo dire che l’attività del decrittare cartelli sulle svolte e frasi smozzicate non è stata inutile. Non è stato invano, il salto, il tumulto, la ricerca costante, ininterrotta. Il fascino, del libro, e della poesia in termini più ampi, è quello di sapere cantare il viaggio, le luci e le ombre, le danze e gli inciampi, senza conoscerne i dettagli. Dando voce e canto al mistero che ci finisce e ci dà vita. Se troviamo, chissà dove, chissà come, la forza di non smettere di saltare con la forza visionaria e danzare con la forza umana, vitale. Anche nel buio.

Ivano Mugnaini

Andare per salti
Annamaria Ferramosca, Andare per Salti – Casa Editrice Arcipelago Itaca di Osimo (An), 2017
Introduzione di Caterina Davinio.
2a edizione Premio “Arcipelago itaca” per una Raccolta inedita di versi.
Pagg. 80, € 13,00 – ISBN 978-88-99429-16-4

Andare per Salti di Annamaria Ferramosca

 

dalla sezione PER SALTI

 

esterno con pioggia interno con acquario

 

è l’ora delle prove distratte di attraversamento

senza attenzione a strisce pedonali

zigzag sul bagnato senza ombrello

senza documenti né borsa né portafoglio

schizzo via dalla giunglamercato

obliquando rallento prendo fiato

rispondo alla domanda muta

del venditore ambulante

– è da un po’ che mi fissa perplesso –

sai la fine mi tiene d’occhio e voglio

andare senza direzione

come un bambino fare splash nelle pozzanghere

se vuoi se hai tempo appena

il tiglio smette di gocciolare

ti racconto una stupida vita

come stupisce come istupidisce

sai non si vede non si vede nessuno

nessuno è reale piove sempre

nella pioggia sbavano i segni

ma le pagine accidenti quelle sono

insperate di bellezza

disperante bellezza irraggiungibile

poi i lampi i lampi

dall’oltre indecifrabili martellano le tempie

e l’umano l’umano nausea fa barcollare

ma non mi arrendo

calpesto limiti recinti codici

e non mi perdono ché anch’io sono umana

così mi lascio vivere

un vivere piccolo semplice che almeno

un po’faccia coesione

un rimpicciolirmi come

di seme tra i semi

***

 

ora che mostro viso e braccia aperte

 

s’accendono i corpi le voci

più libero il pianto più intense le carezze

apro armadi nel petto e

vado per salti

dimentico zaino zavorra

virgole punti de-finizioni

tanto so che l’altrove

mi tiene d’occhio e

dorme la mia bambina delle meraviglie

ancora irrubata dal mondo

intatta nel suo pianeta

cosa devo farci io con questo spudorato pianeta

cosa devo farci con il terribile che infuria

con le solite frasi il solito sgomento

con quella spes ultima illusione

cosa devo farci pure con la poesia

tanto so che la nave

sta trascinando al largo

nel muto acquario dove ci ritroviamo

come all’origine nudi

finalmente originali miseramente

splendidi nel nulla

***

 

raccontarti

della distesa muta che circonda

nessuna vibrazione

trascorsi millenni dal diluvio

solo rovine

no messaggi no mails

a chiedermi perché sola e risparmiata

conservata per quale nuovo mondo

quale senso

poi dirti della vestizione

per il viaggio che smuove le pianure

oltre ogni confine

e il fiume largo il fiume

e del risveglio e del segno ancora

che mi scrive m’inarca

ancora linfa a corrermi nei fianchi

richiami che tornano a squillare

quaderno a registrare

***

 

a Nicole del mattino

 

bello vederti bere l’aria

mentre salti sul mondo

s’accendono le arance

ti svegliano ti svelano

una terra d’incanti di festa

senza ombre né memoria

ammutolisco sulle frasi che lanci

verso la mia disfatta geometria

mi indichi il segno del silenzio

io tua piccola alunna tu maestra

mi metti seduta spossessata di storia

sotto l’arco del tuo tempo abbagliante

vedo con le pupille lunari dei gatti

torcersi i meridiani unirsi i continenti

sotto i tuoi passi di conchiglia

brillano nel tuo mare

isole che non raggiungo

***

 

dalla sezione PER TUMULTI

dal monte al mare concordi le soluzioni della natura sull’amore

lungo i fianchi del monte il silenzio

scuote appena la notte

in alto prendono consistenza

i fili invisibili che tengono fisse le stelle

questa concavità di valico ristora

il mio respiro in corsa

l’erba mi attraversa smagliante

mi fa scivolare a valle con l’entusiasmo

potente di valanga

ti raggiungo

il tetto della tua casa ha canali d’aria

vi passano suoni del tempo trascorso nelle stanze

ma appena entro il rimpianto ammutolisce

sa che posso scaldarti già guardandoti

ti performo la scena d’amore

le onde-salento che lampeggiano

il soffio greco del timo sullo scoglio

la carezza del tufo ecco

abbiamo già i piedi nella corrente

***

bla bla bla è urgente

capovolgere i suoni

alba alba alba capite?

se si sovvertono se le stanze

si mettono in subbuglio

dietro la porta può affacciarsi

la sempre sfuggente poesia

può rinascere

incurante del rumore intorno del brusio

crescere con la sua fame adolescenziale

di cose vere sia pure materia rarefatta

di parole vive dai corpi

lungo tutti i meridiani pure

da territori dubbi come atlantide

o aldebaran o l’isola di ogigia

insomma – accidenti – da spazi

inaccessibili

provare solo deliri di sfioramento

farsene una ragione

***

dalla sezione PER SPAZI INACCESSIBILI

posto di pietra

cerca – ad esempio – il profilo di un vecchio

seduto sulla pietra al sole siediti accanto

inizia con un’inezia parlagli di vigne o di mare

accogli la sua lingua spezzata che trasforma

la piazza in fantastico teatro

di strampalati racconti

fanne ricordi fermi per l’inverno

vento caldo di favole ai tuoi figli

ritorna a fargli visita

ogni volta prima di partire

il suo posto di pietra così simile

al tuo vecchio banco a scuola

erano voli di parole-rondini

a lasciarti sigilli sulla fronte

nel becco rami che rifondano paesi

dove i profili tutti si somigliano

a mezzogiorno passarvi il pane

e insieme tornare a casa

come stringendo al petto il mondo

prima della prossima tempesta

***

elogio del futuro senza tabù

dove cade l’ultima luce

là sulla terra della riservatezza

dove non oso accostarmi

avanza il suo profilo drammatico

ha occhi penetranti matematici

mentre continua la sua caccia

lucida già decisa

senza ombra di premeditazione

mi lancia nel tempo

i suoi eureka ritmati

come note di fisarmonica

quando improvvise scoppiano

durante i matrimoni

donna che hai accolto nutrito conservato

il seme la bella carne e ti sei liberata

ecco sei stata

ora ti sospingo stralunata

in questa tua chiara stanza del sonno

uomo da sempre dominus fiero

in perentorio avido pensiero

pugnale innestato a ordinare

vincere eliminare

ecco a te il buio che illumina

ogni vittoria presunzione errore

ai vivi resta in mano

incorrotto un ramo

aspirazioni e sogni da sfogliare

restano tracce di linguaggi

di manufatti di macchinari

con la loro usurata grammatica

a dire la speranza e pure l’irreparabile

(a volte il destino già occhieggia nei nomi)

***

Annamaria Ferramosca

nata a Tricase (Lecce), vive a Roma. Fa parte della redazione del poesia2punto0 portale, Dove e ideatrice e curatrice della rubrica Poesia Condivisa. Ha all’attivo collaborazioni E Contributi creativi e Critici con varie riviste e siti di Settore. Vincitrice del Premio Guido Gozzano e del Premio Astrolabio e recentemente del Premio Arcipelago Itaca, e finalista ai Premi Camaiore, LericiPea, Pascoli, Lorenzo Montano. Ha Pubblicato in poesia: Andare per salti, Arcipelago Itaca 2017, trittici – Poesie Il segno e la Parola, DotcomPress 2016, Ciclica, La Vita Felice 2014, Altri Segni, Altri Circles– Selected 1990-200 8, collana Poeti Italiani Contemporanei Tradotti , Chelsea Editions, NY 2009, Curve di Livello a le, Marsilio 2006, Pasodoble, Empiria 2006, la Poesia Anima Mundi, Puntoacapo 2011, Porte / Doors, Edizioni del Leone 2002 Il Versante Vero, Fermenti 1999. Ha curato la versione italiana del poetica libro del poeta rumeno Gheorghe Vidican 3D-Poesie 2003-2013, Edizioni CFR 2015 e’ voce ampiamente antologizzata e inclusa nell’Archivio della voce dei Poeti, Multimedia, Firenze. Testi Suoi sono stati Tradotti, Oltre Che in inglese, in francese, Tedesco, Greco, albanese, russo, rumeno. Suo sito Personale: http://www.annamariaferramosca.it