montale

Il bestiario delle bestiacce

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Il titolo del recente libro di Annalisa Macchia è attraente. Incuriosisce. Invita a scrutare all’interno per vedere cosa spunta, cosa compare. Magari ci troveremo di fronte un animale tra il mitico e il reale, tra verità e invenzione fantastica.
Coerentemente con lo stile di Annalisa, il libro è serio e giocoso allo stesso tempo. Ma in maniera sincera e profonda, non di maniera. Annalisa gioca sempre con grande attenzione al senso, soprattutto a quello ulteriore, a ciò che non si vede ma c’è, e magari ci fa pensare, mentre sorridiamo.
La leggerezza di questo libro è consistente. Calvino approverebbe. Le Cosmicomiche qui diventano Le Bestiacomiche. Ma l’impressione è che ciascun animale sia, a bene vedere, al di là della pelle e delle squame, al di là dei colori camaleontici e cangianti, un’immagine della bestia per eccellenza, l’animale selvatico e sospettoso, che siamo, a tratti, noi tutti.
C’è molto metodo nell’apparente lievità del libro, come direbbe Amleto. Si percepisce un’accurata preparazione “a monte”, si nota un’accurata suddivisione speculare delle varie sezioni, saltano all’occhio analogie e contrapposizioni per niente casuali. Vengono in mente Esopo, Alice, i suoi specchi e i suoi animali parlanti e pensanti, si rammentano Trilussa e Rodari, ma soprattutto si beneficia di un libro che si legge volentieri, che fa tornare bambini senza scordarci il gusto agrodolce, ma necessario, di guardare il nostro volto riflesso nello specchio di bestiacce che, non di rado, sono molto meno bestiacce di noi.
IM

Annalisa Macchia, Il bestiario delle bestiacce, Pagine, Roma 2020

A TU PER TU

UNA RETE DI VOCI

L’obiettivo della rubrica A TU PER TU, rinnovata in un quest’epoca di contagi e di necessari riadattamenti di modi, tempi e relazioni, è, appunto, quella di costruire una rete, un insieme di nodi su cui fare leva, per attraversare la sensazione di vuoto impalpabile ritrovando punti di appoggio, sostegno, dialogo e scambio.
Rivolgerò ad alcune autrici ed alcuni autori, del mondo letterario e non solo, italiani e di altre nazioni, un numero limitato di domande, il più possibile dirette ed essenziali, in tutte le accezioni del termine.Le domande permetteranno a ciascuna e a ciascuno di presentare se stessi e i cardini, gli snodi del proprio modo di essere e di fare arte: il proprio lavoro e ciò che lo nutre e lo ispira.Saranno volta per volta le stesse domande.Le risposte di artisti con background differenti e diversi stili e approcci, consentiranno, tramite analogie e contrasti, di avere un quadro il più possibile ampio e vario individuando i punti di appoggio di quella rete di voci, di volti e di espressioni a cui si è fatto cenno e a cui è ispirata questa rubrica.IM

5 domande

a

Annalisa Macchia

 
1 )Il mio benvenuto, innanzitutto.
Puoi fornire un tuo breve “autoritratto” in forma di parole ai lettori di Dedalus?
     Certamente e grazie per questo invito. Mi chiamo Annalisa Macchia, abito a Firenze, dove vivo da tanti anni, ma sono nata a Lucca; ho studiato a Pisa (Lingue e Letterature straniere) e frequento da sempre l’area livornese, luogo d’origine della mia famiglia. Dunque sono d’identità toscana, seppure variegata, dettaglio non trascurabile, perché credo che la mia scrittura sia rimasta “contaminata” da tutte quante queste frequentazioni. Sono un’autrice tardiva, se mi passate il termine. Dopo gli studi universitari e una prima pubblicazione (Pinocchio in Francia, edito dalla Fondazione Nazionale Carlo Collodi di Pescia), ho dedicato molti anni alla cura della mia numerosa e onerosa famiglia, scoprendo solo alla fine quanto avessero reso preziosa la mia formazione di persona, anche se mi avevano apparentemente allontanato dalla scrittura. Prepotente è però tornata la voglia insopprimibile di comunicare con la parola scritta. Sono nati così i primi lavori, storie in rima per l’infanzia (con l’assurda speranza che le parole scritte fossero più efficaci di quelle dette a voce…). Da allora, però, lettori o non lettori, non ho più smesso, cercando di conciliare i miei impegni familiari e di insegnante  – ho insegnato lingua e letteratura francese in vari istituti fiorentini – con la mia nuova attività. Sono seguite raccolte poetiche e narrative, frequentemente dedicate all’infanzia, all’avviamento della parola poetica anche tra i più piccoli (un mondo a me familiare, dal momento che ho avuto quattro figli ed ora ho quattro nipotini), ma anche qualche testimonianza critica e traduzione. Attualmente collaboro con qualche racconto e soprattutto con recensioni, con la rivista “Erba d’Arno” e sono redattrice della rivista Gradiva, ammirevole ponte di poesia e letteratura tra l’Italia e gli Stati Uniti. Ho anche diretto una collana di poesia per l’infanzia con la casa editrice Poiein, occupazione purtroppo di breve durata per la prematura scomparsa del suo direttore Gianmario Lucini, un carissimo amico, a cui devo molto e che ancora oggi rimpiango. Nella città in cui vivo, compatibilmente con il mio tempo libero, ho cercato di seguire i movimenti letterari che l’hanno animata in questi ultimi anni. Con presentazioni di autori e varie attività collaboro strettamente con l’Associazione Pianeta Poesia (www.pianetapoesia.it ), a cura di Franco Manescalchi. Un’attività che ha contribuito non poco alla mia formazione, aprendomi a mondi poetici altri, talvolta d’insospettabile interesse e bellezza.

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A TU PER TU – Rebecca Lena

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“Amo la frammentarietà delle forme brevi, libere di cambiare direzione in qualsiasi momento, di saltare un po’ovunque nello spazio e nel tempo etereo, fuoriuscire in modo lento e magmatico, oppure esplodere viscosamente in blocchi, lapilli e ceneri”, scrive Rebecca Lena in una delle risposte all’intervista.
Il titolo del suo libro è Racconti della Controra, e nella definizione non c’è solo un’indicazione cronologica. C’è una presa di posizione, una collocazione spazio-temporale, un modo di osservare il mondo e se stessa in relazione ad esso. La questione non è solo essere “contro” (sarebbe troppo agevole e forse inutile).  Consiste piuttosto nell’andare verso il mondo esterno senza snaturarsi. È una maniera di dirsi, di raccontare quella parte di sé che altrimenti resterebbe muta. I racconti del libro nascono dal blog dell’autrice, molto curato, attento anche all’importanza della dimensione iconografica. L’espressione di Rebecca Lena è ampia, a tutto tondo, e soprattutto è frutto di un modo di essere alieno ai facili compromessi. L’intervista offre molti spunti. Uno di quelli che mi ha maggiormente colpito, anche perché ricorda un racconto che ho scritto anni fa, è quello descritto da queste parole dell’autrice: “La scrittura breve sparge i pensieri su piani multidirezionali, senza organicità, senza progetto, forse in modo meno comprensibile, ma fieramente disobbediente. Le lettere sono state realmente consegnate, soprattutto a persone che non conoscevo, talvolta inventate e “riconosciute” nella folla, altre incontrate un giorno e ritrovate volontariamente. Insomma le consegno, come in una performance metaletteraria, in cui io stessa sono fessura nella membrana della finzione”.
È la prova che la realtà e la fantasia sono due volti della stessa luna, ed è un ulteriore incentivo a scoprire di più, del libro e dell’autrice.
Buona lettura, IM

 

A TU PER TU
UNA RETE DI VOCI

 racconti della controra libro

 

5 domande

a

Rebecca Lena

 

1 ) Il mio benvenuto, innanzitutto.

Puoi fornire un tuo breve “autoritratto” in forma di parole ai lettori di Dedalus?

 

Nel mio autoritratto vedo un poliedro rotante con molte facce differenti. A primo impatto sono tantissime, l’una profondamente diversa dall’altra, nella testura, nell’area, nell’irregolarità.

L’osservatore che vuol contarle – prima di tutto me stessa nei miei slanci extracorporali – vi si approccia nel buio con un lumino, studia ogni faccia che, ruotando, gli si presenta davanti, ne conta 1, 2, 5, 16…ma a poco a poco comprende di essere caduto in inganno; un vizio di forma infatti scompone ogni spigolo del poliedro rimescolando la composizione al compimento di ogni rotazione (questo rimescolio avviene sempre nella zona d’ombra). Pertanto l’osservatore potrebbe rimanerne incatenato in un loop ossessivo, e il conteggio di ogni faccia, apparentemente vista di nuovo per la prima volta, non giunge mai a termine.

 

2 ) Ci puoi parlare del tuo ultimo libro (o di un tuo lavoro recente che ti sta a cuore), indicando cosa lo ha ispirato, gli intenti, le motivazioni, le aspettative, le sensazioni?

Cita, eventualmente, qualche brano di critica che ha colto l’essenza del tuo libro e del tuo lavoro più in generale.

Particolarmente gradita sarebbe, inoltre, una tua breve nota personale sul libro (o sull’iniziativa artistica). 

Qualche riga in cui ci parli del tuo rapporto più intimo con questa tua opera recente.

 

Racconti della Controra è il mio primo (e spero non ultimo) libro, una raccolta di storie e scritture brevi che risale al 2017, edito da Talos Edizioni. Nasce dall’attività del blog omonimo che questo mese ha compiuto esattamente 8 anni. Si tratta di un calderone di storie e ipnosi varie, alcune molto sperimentali, altre narrative e concatenate l’una all’altra. Il tempo e il dubbio sono due dei temi fondamentali. La Controra non è altro che il momento in cui il corpo giace paralizzato, per l’afa intorno e per il dubbio universale che sopraggiunge, il sole è allo zenith, ingoia le ombre dei vivi, così che possano temere di esser morti all’improvviso.

Attualmente l’attività “della Controra” continua attraverso il blog, ma si concentra su altre forme brevi di scrittura: le lettere (specialmente a sconosciuti che consegno realmente) e quello che mi viene da chiamare “mattoncini”, ovvero testi brevi, 1000-1700 caratteri circa, autoconclusivi, a volte narrativi, altre totalmente irrazionali, una sorta di zibaldone di sogni in cui ogni elemento subisce un cesellato lavoro di selezione linguistico-ritmica. Volgarmente li potrei considerare dei “post”, a cui spero di attribuire un qualche tipo di nobilitazione.

Ognuno è accompagnato o “guidato” da un lavoro fotografico che ne espande l’interpretazione. Le foto non sono mai illustrazione, ma viaggiano sullo stesso binario del testo con un linguaggio e un intento diverso, spesso arrivando dove il testo non riesce.

Come ribadisco quotidianamente “amo la frammentarietà delle forme brevi, libere di cambiare direzione in qualsiasi momento, di saltare un po’ ovunque nello spazio e nel tempo etereo, fuoriuscire in modo lento e magmatico, oppure esplodere viscosamente in blocchi, lapilli e ceneri. La scrittura breve sparge i pensieri su piani multidirezionali, senza organicità, senza progetto, forse in modo meno comprensibile, ma fieramente disobbediente.” Leggi il seguito di questo post »

A TU PER TU – Annamaria Ferramosca

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La caratteristica di Annamaria Ferramosca che emerge, sia dalla lettura dei suoi libri sia dai dialoghi e dalle presentazioni, è la ricerca di un impegno non di maniera e la volontà di estendere il rapporto tra la parola e il mondo, generando fertili contaminazioni.
Il suo è uno sguardo aperto, non in modo retorico o formale. È caratterizzato da un aspetto tutt’altro che frequente, nel mondo letterario e non solo: un desiderio di condivisione fattivo. Il contrario dell’individualismo. Dettò così sembra poco e sembra scontato. In realtà coloro che davvero rinunciano a parte del proprio individualismo per andare oltre “i cerchi e i circoli” sono pochi. Annamaria Ferramosca ha un proprio universo espressivo. Ma ricerca anche, con sincera costanza,  i lavori di gruppo, corali, gli spartiti per duetti o per strumenti che cercano accordi e concerti.
L’impegno a cui si è accennato si abbina anch’esso, senza stridore e senza forzature, alla descrizione di sentimenti assolutamente intimi. L’autrice sa rendere metafora sia la sua emozione e lo stupore per la crescita di sua nipote, sia lo smarrimento e il dolore per le ingiustizie del mondo, per gli squilibri e le sopraffazioni di cui il nostro tempo si rende complice.
Avrei voluto esimervi ed esimermi dal “mantra” dell’invito alla lettura dell’intervista completa. Non mi è possibile. Perché solo le risposte nel loro contesto danno senso e misura a quanto qui accennato in modo succinto, per cenni.
Buona lettura, quindi, a tutti i “dedalonauti”, IM 

 

A TU PER TU
UNA RETE DI VOCI
L’obiettivo della rubrica A TU PER TU, rinnovata in un quest’epoca di contagi e di necessari riadattamenti di modi, tempi e relazioni, è, appunto, quella di costruire una rete, un insieme di nodi su cui fare leva, per attraversare la sensazione di vuoto impalpabile ritrovando punti di appoggio, sostegno, dialogo e scambio.
Rivolgerò ad alcune autrici ed alcuni autori, del mondo letterario e non solo, italiani e di altre nazioni, un numero limitato di domande, il più possibile dirette ed essenziali, in tutte le accezioni del termine.
Le domande permetteranno a ciascuna e a ciascuno di presentare se stessi e i cardini, gli snodi del proprio modo di essere e di fare arte: il proprio lavoro e ciò che lo nutre e lo ispira.
Saranno volta per volta le stesse domande.
Le risposte di artisti con background differenti e diversi stili e approcci, consentiranno, tramite analogie e contrasti, di avere un quadro il più possibile ampio e vario individuando i punti di appoggio di quella rete di voci, di volti e di espressioni a cui si è fatto cenno e a cui è ispirata questa rubrica.
IM
Andare per salti copertina

 

5 domande

a 

Annamaria Ferramosca

 

1 ) Il mio benvenuto, innanzitutto.

Puoi fornire un tuo breve “autoritratto” in forma di parole ai lettori di Dedalus?

Mi autoritraggo: ho profilo di donna, ma da sempre mi sono percepita come “persona”, essere che, al di là della propria esperienza di genere, sente di avere un potenziale cognitivo e creativo espressione dell’umano, nella sua interezza e varietà. Il risultato è quello che forse emerge dalla mia scrittura, di una sempre inquieta scrivente, che ha amato e continua ad amare questo prodigiomistero che è la vita e che si lascia attraversare dalle alterne vicende cercando un punto di equilibrio almeno sulla carta, con l’aiuto delle parole. E la mia modalità di ricerca, intravista fin da bambina, è quella del crescere nel confronto continuo delle esperienze, attraverso lo scambio reale con gli altri, quotidiano e del vigile sguardo sul mondo. Ma tutto questo lungo un’intera vita davvero non basta, non basta –l’ho compreso presto– perché l’incontro con altri vissuti e visioni deve essere il più largo possibile e può avvenire soltanto attraverso la lettura, incessante, sterminata, che sento necessaria come il pane. Da qui l’esigenza poi di restituire almeno tracce dell’immenso immaginario percorso e del pensiero via via elaborato. Così fin dall’adolescenza scrivo, in poesia. Con tremore, sempre, per tutto ciò che inesorabilmente in poesia sfugge, ma anche con la felicità di dar corpo a qualcosa di estremamente volatile ma evocatore di senso, che preme per essere comunicato, e poterlo fare maneggiando la parola, piegandola alla necessità di grazia e ritmo del verso.

E sono grata alla vita che mi ha permesso di seguire questa forma privilegiata di conoscenza – del mondo e di me stessa – che è la poesia. 

 

2 ) Ci puoi parlare del tuo ultimo libro (o di un tuo lavoro recente che ti sta a cuore), indicando cosa lo ha ispirato, gli intenti, le motivazioni, le aspettative, le sensazioni?

Cita, eventualmente, qualche brano di critica che ha colto l’essenza del tuo libro e del tuo lavoro più in generale.

Particolarmente gradita sarebbe, inoltre, una tua breve nota personale sul libro (o sull’iniziativa artistica).

Qualche riga in cui ci parli del tuo rapporto più intimo con questa tua opera recente.

 

Ogni mia raccolta poetica è il risultato di una mia esigenza –diciamo pure caratteriale– che è il mio voler mai fermarmi, cercare ogni giorno nuove scene, dimensioni, nuove voci e luoghi dove rinascere. Ogni testo nasce non da un progetto, ma da occasioni fortuite, inaspettate. Sono incontri dal quotidiano che s’intrecciano con scene dell’immaginario, o anche oniriche, con incursioni nel mio passato, nella storia, nel mito, fino a spingersi negli spazi inaccessibili dell’altrove. Solo alla fine di ogni periodo di scrittura, quando lo avverto compiuto, accade che il libro si organizzi quasi in automatico, ed è per me facile collegare i testi in sezioni secondo un contiguo respiro tematico.

           E nei titoli dei miei libri resta la traccia delle varie tappe di una esplorazione ancora in moto, come in: Il versante vero; Porte/Doors; Curve di livello; Ciclica; Altri Segni, Altri Cerchi; Andare per salti.

Ecco, mi soffermo su quest’ultimo, pubblicato nel 2017 da ArcipelagoItaca come Premio per una Raccolta Inedita. Il libro riflette in pieno questa mia spinta a trascrivere una persistente inquietudine, divenuta più pressante per il rifiuto, credo ormai sentito da molti, della deriva del mondo fattosi sempre più estraneo – i suoi cardini spostati ormai sul profitto e sulla ipertecnologia– un mondo indifferente, non solidale, miope verso il futuro, che lentamente ci sottrae umanità, l’incontro vero, oltre che gli spazi naturali di vivibilità. 

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A TU PER TU – Alessandra Corbetta

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Risponde oggi alla domande di A TU PER TU Alessandra Corbetta, autrice giovane ma già in possesso di una personalità ben definita, capace di abbinare la passione e la creatività poetica ad un’accurata osservazione, quasi di impronta scientifica, della realtà, dei tempi, della società e degli individui che la compongono, la determinano e ne sono condizionati.
Anche in questo caso queste mie note fanno solo da “teaser” (giuro che non è una parolaccia), da stimolo ad una lettura accurata.
Sono molto interessanti gli spunti e i modi con cui Alessandra tratta argomenti complessi e di estrema attualità: la sexual objectification e le pratiche di body modification, l’esperienza del singolo, il frame sociologico e diversi altri temi.
Con grande sincerità e schiettezza ci parla anche del Covid, dei suoi effetti sul modo di vivere, di pensare e di scrivere.
Il consiglio è quello di sempre:
chi vuole e può, legga l’intervista nella sua interezza.
Io nell’ambito di questa rubrica sono solo un dispensatore di Spritz, di aperitivi.
IM

Corpo della gioventù - copertina

A TU PER TU
UNA RETE DI VOCI
L’obiettivo della rubrica A TU PER TU, rinnovata in un quest’epoca di contagi e di necessari riadattamenti di modi, tempi e relazioni, è, appunto, quella di costruire una rete, un insieme di nodi su cui fare leva, per attraversare la sensazione di vuoto impalpabile ritrovando punti di appoggio, sostegno, dialogo e scambio.
Rivolgerò ad alcune autrici ed alcuni autori, del mondo letterario e non solo, italiani e di altre nazioni, un numero limitato di domande, il più possibile dirette ed essenziali, in tutte le accezioni del termine.
Le domande permetteranno a ciascuna e a ciascuno di presentare se stessi e i cardini, gli snodi del proprio modo di essere e di fare arte: il proprio lavoro e ciò che lo nutre e lo ispira.
Saranno volta per volta le stesse domande.
Le risposte di artisti con background differenti e diversi stili e approcci, consentiranno, tramite analogie e contrasti, di avere un quadro il più possibile ampio e vario individuando i punti di appoggio di quella rete di voci, di volti e di espressioni a cui si è fatto cenno e a cui è ispirata questa rubrica.
IM
 

5 domande

a

Alessandra Corbetta

 

1) Il mio benvenuto, innanzitutto.

Puoi fornire un tuo breve “autoritratto” in forma di parole ai lettori di Dedalus?

 

Ho sempre detestato il momento delle presentazioni, anche quando ero bambina; con la crescita, ancora di più. Per i boriosi diventano un’occasione per lo sfoggio, spesso iperbolico, di sedicenti qualità e mansioni, per i timidi attimi di imbarazzo, per quelli, come me, che mal sopportano le etichette, qualcosa di inutile.

Allora dico solo che sono Alessandra Corbetta e riporto due versi di Umberto Fiori che sento molto vicini: «Potessi io / essere il prato, / non il tremore / di questo filo d’erba.»

 

2) Ci puoi parlare del tuo ultimo libro (o di un tuo lavoro recente che ti sta a cuore), indicando cosa lo ha ispirato, gli intenti, le motivazioni, le aspettative, le sensazioni?

Cita, eventualmente, qualche brano di critica che ha colto l’essenza del tuo libro e del tuo lavoro più in generale.

Particolarmente gradita sarebbe, inoltre, una tua breve nota personale sul libro (o sull’iniziativa artistica).

Qualche riga in cui ci parli del tuo rapporto più intimo con questa tua opera recente.

 

La mia ultima pubblicazione in versi si intitola Corpo della Gioventù, ed è uscita il giugno dello scorso anno per Puntoacapo Editrice.

La raccolta parte da una riflessione di stampo sociologico, il mio ambito di afferenza accademica, sul corpo che, soprattutto negli ultimi anni, è diventato lo strumento attraverso il quale indagare e rappresentare molte questioni sociali. I discorsi sulla sexual objectification e le pratiche di body modification non sono che due delle dimostrazioni più evidenti di come la corporalità funga da capro espiatorio per dire di altro. Ad esempio, ed è quello su cui Corpo della gioventù prova a interrogarsi, la difficoltà, nella nostra società occidentale, di uscire dalla giovinezza per entrare nell’adultità; il corpo, nelle modificazioni che subisce e nella sua facile esposizione, diventa il paradigma della paura nell’affrontare questa transizione e suggella la tendenza del nostro tempo a procastinare oltre misura l’inizio dell’età adulta. L’opera, nelle sue cinque sezioni Fessure, Attraverso, Rintocchi, Battenti, Esplosione, interseca a questa cornice macro l’esperienza del singolo, e quindi la dimensione micro, nella quale l’elemento autobiografico compare solo in qualità di mezzo di congiunzione al frame sociologico. Il libro è introdotto da due note, una a cura di Tomaso Kemeny, l’altra di Lamberto Garzia che evidenziano il moto di resistenza posto in essere dall’io per non adattarsi a un diktat sociale che vorrebbe imporre una cronologia unificata al tempo personale del soggetto; la postfazione, invece, realizzata da Ivan Fedeli, si concentra sulla dimensione esistenziale del corpo; scrive, infatti, Fedeli: «Il corpo assume allora dimensione esistenziale: avvolta nei corpi di tutti / nessuno è barbaro / qualcuno resiste: avvolgente in sé, si copre di carne per nascondere, come una matrioska, le fratture interne, le smagliature di un essere che è solo in funzione di ciò che percepisce, abita. Pensare alla ricerca poetica della Corbetta è, quindi, condividere l’idea di una continua evoluzione, magmatica, dell’Io in funzione di una realtà sfuggente, che si dimostra talvolta insidiosa nella metafora di una casa vuota, di uno specchio che non riconosce, di posti che non attraversano, talvolta più rassicurante, nell’idea di un porto che accoglie in silenzio proprio mentre tutto tace e diventa possibile la quiete. In questa cornice accade la poesia: essa si addensa in una forza immaginativa mai scontata, in cui l’identità personale si consuma lasciando spazio alla matrice di un’esperienza comune di spaesamento, incredulità.»

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Il Centauro esiste

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Il Centauro esiste: la poesia di Claudia Manuela Turco, tra immaginario e reale

Le parole con cui veniamo accolti sulla soglia d’ingresso di questo libro sono un’indicazione spaziale, le coordinate di un luogo, “Nella Vallata dei Mughetti”, e una dedica in lingua inglese “A Mughy, Lily of the Valley, from glen to glen”. È un esordio adeguato, lo si capisce leggendo il libro ma anche pensando ad altri lavori di Claudia Manuela Turco, alias Brina Maurer. Dire (e dirsi) che, a dispetto di tutto, esiste ancora in qualche luogo del mondo e del tempo una simile Vallata, non vuol dire chiamarsi fuori dagli slings and arrows of outrageous fortune, per dirla in modo amleticamente sintetico, né cercare un’Arcadia tanto bella quanto improbabile. Piuttosto, come una tenace Alice, significa sapere guardare al di là di tutti gli specchi, i trucchi, gli enigmi, gli inganni, i conigli e i cappellai, per cercare ancora lo stupore di ciò che è semplice e naturale, la meraviglia, immensa, che a volte è racchiusa nelle piccole cose.

Il titolo del libro, Il Centauro malato, è, di per sé, un segnale che non solo indica una strada ma conferisce il sapore e la sostanza di ciò che troveremo lungo il cammino. Mitologia, fantasia, immaginazione, ma anche realtà, dolore, e, dall’interazione di tutti gli elementi, la tenacia di volere scrivere di sé, tramite una poesia che si estende nell’arco di una vita intera. Il sottotitolo del libro è secco e sintetico: “Poesie 1998-2010”. Una parola e due cifre. Scorrono via in un fiato o con uno sguardo. Ma se si scrutano bene, danno il senso di un rapporto ininterrotto con il proprio fare ed essere poesia. Ossia tra l’immedesimazione costante e schietta, senza infingimenti, tra il proprio mondo e il mondo esterno, visto, percepito e registrato tramite lo strumento della parola.

Si inizia con una silloge scritta lo scorso millennio, nel 1999, quando imperava non solo il terrore dei bug in grado di bloccare i computer ma anche di qualcosa che fermasse qualcosa di ben più ampio, l’esistenza stessa del genere umano. Una paura atavica, eppure presente. Si inizia, quindi, e forse non è un caso, con una fine. Una fine potenziale, una sorta di bacillo del pensiero, una paura globale, diffusa come un contagio, una malattia. Ma la danza degli ossimori è tempistica e altrettanto puntuale. Il titolo della prima Sezione (o silloge) è “Frecce di luce”. Una possente, vitalistica sinestesia. Linguistica e tematica. La vita, nonostante tutto, sfreccia oltre, supera i confini, anche dei millenni. E, poiché nulla sembra casuale in questo libro e nelle tessere che ne compongono il mosaico, le prime parole sono una sorta di chiave ulteriore, per il passaggio specifico e per il volume nel suo insieme: “La scienza può spiegare il meccanismo che regola la natura/ ma non il fascino che essa emana”. Poco oltre, al lato opposto della stessa pagina, versi che, nell’atto di negare l’assunto, in realtà lo confermano, o confermandolo lo negano, aggiungendo una nota umanissima, schietta e rivelatrice: “Sorprendimi cuore/ lascia che io erri./ Non temo i tuoi tetri misteri”. Leggi il seguito di questo post »

La mia più grande possibilità sono io – Intervista ad Anita Likmeta

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Ho conosciuto Anita Likmeta tramite LinkedIn. Ci siamo scambiati saluti formali e auspici reciproci per la scrittura. Da una ragazza giovane, bella e di successo, mi sarei aspettato la classica “puzza sotto il naso”, che, visto il contesto internazionale, equivale più o meno a meno a “to have the snobbish”, o qualcosa del genere, chi più ne ha più ne metta, anzi, chi più ne sa più ne metta. Invece ho notato e ricevuto molta cortesia, fin dall’inizio. Mi ha incuriosito.

Sono andato e leggere il suo blog, https://anita.tv/me/, e la sua biografia, il sunto della sua vicenda. Così uguale a quella di tanti altri “migranti” e così specifica, diversa. Mi è venuto in mente di chiederle un’intervista per la rubrica “A tu per tu” del mio blog. Mi ha risposto in modo del tutto originale, non riconducibile a schemi, rifuggendo da qualsiasi generalizzazione, predica edificante o proposta di panacea. Mi ha fatto capire che la sua vicenda vale solo per lei, per il suo destino individuale. Eppure, proprio per questo suo rifuggire le frasi fatte e i punti di vista facili e ben confezionati, le sue parole forse possono fungere da spunto e da stimolo, dicendoci d’accordo, oppure dissentendo, scuotendo la testa, dubbiosi o schiettamente contrari.

Le sue parole possono servirci, facendo proporzioni, proiezioni, ipotesi e confronti, a provare a riflettere sulla questione dell’immigrazione, suoi profughi, sull’accoglienza e sui muri, reali e metaforici, sull’integrazione possibile e/o utopica, e su un mare di altre questioni che abbiamo intorno, e dentro. IM

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rubrica “A TU PER TU”

Intervista a ANITA LIKMETA

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1) Benvenuta Anita.

Puoi raccontarci la tua vicenda personale, dalla tua infanzia in Albania fino ad oggi?

Intanto grazie per lo spazio concessomi. Ci vorrebbe molto tempo per spiegare questa domanda, ma cercherò di essere più ermetica possibile. Sono nata a Durazzo, in Albania, ma per questioni private i miei genitori mi hanno portata dai nonni, i quali mi hanno cresciuta per 11 anni e mezzo. Nel 1997 mia madre, la quale era già partita per l’Italia con la prima nave del 1991, fece per me il certificato di ricongiunzione familiare e questo mi permise di partire con lei. Partimmo la mattina del 2 giugno del 1997 per poi raggiungere le sponde di Bari la notte del 3 giugno. Successivamente ci stabilimmo vicino a Pescara. In Italia ho fatto le scuole medie, il liceo classico, poi a Roma l’Accademia d’Arte Drammatica “Corrado Pani” e infine l’Università degli studi di Roma “La Sapienza” dove mi sono laureata in Lettere e Filosofia con l’indirizzo in Scienze Storiche. Ho pubblicato per Il Fatto Quotidiano, IlGiornaleOff, The Huffington Post etc. Oggi ho un mio personal blog, http://www.anita.tv, dove racconto le mie storie e quelle degli altri, insomma l’editore sono io, e questo lo trovo straordinario.

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2) Tu sei un esempio di integrazione riuscita, ma i casi come il tuo non sono frequenti. Quali sono a tuo avviso gli ostacoli che impediscono a tutt’oggi un reale dialogo tra persone e popoli diversi?

Onestamente non saprei dirti se sono davvero un esempio di integrazione riuscita e non mi piace neanche rientrare in questa categoria, non mi piacciono le etichette di alcun genere. Sono un essere libero, sono nata in un Paese che ha avuto una storia difficile e di quella storia ne siamo pagando tutti le conseguenze. Per me è stato un percorso molto arduo inserirmi nel tessuto sociale italiano. Quando ero piccola pensavo soltanto a studiare perché vedevo in questa possibilità la mia realizzazione come individuo. Ad oggi, posso dire che non mi interessa più come gli altri mi percepiscono, tanto meno le varie forme di giudizio che quando ero più acerba mi facevano soffrire. La mia più grande possibilità sono io, la mia casa è il mio corpo, il mio cielo sono i miei occhi. La mia integrità è la mia più grande conquista.

3) Dare consigli non è mai facile, ma, visto che conosci bene sia l’esperienza di chi si trova ospite di una terra non sua sia quella di chi invece è cittadino integrato, cosa ti sentiresti di dire a chi chiede ospitalità e a chi si trova a dover interagire con chi bussa alla sua porta?

In Levitico 19:33-35 sta scritto che: “Quando uno straniero risiede con voi nel vostro Paese, non lo maltratterete. Lo straniero che risiede fra voi, lo tratterete come colui che è nato fra voi; tu l’amerai come te stesso, poiché anche voi foste stranieri nel Paese d’Egitto. Io sono l’Eterno, il vostro Dio. Non farete ingiusta nei giudizi con le misure di lunghezza, di peso e di capacità.”

Ecco, io non aggiungerei niente di più a questa domanda che non può avere nessun altra risposta.

4) Sei arrivata in Italia diversi anni fa. Come l’hai vista trasformarsi in questi anni? Come è cambiata questa nazione e come sono cambiati gli italiani dai tempi del tuo sbarco a Bari?

Gli italiani sono un popolo magnanimo, sempre disposti ad aiutare il prossimo. Amo l’Italia per questo suo modo di rispondere alla vita. Il cuore degli italiani risponde ad una coscienza più alta, divina e giusta. L’Italia è lo stivale che raccoglie tutti, va aiutata e non abbandonata come stanno facendo. Vivendo in Italia ho trovato molte similitudini con l’Albania, in qualche modo questi due popoli sono molto congrui. Forse il clima mediterraneo, forse i rapporti intercorsi da sempre fra questi Paesi ma se scendo in Calabria ho la netta sensazione di parlare con miei conterranei.

5) Ti trovi spesso per ragioni professionali a lavorare e soggiornare all’estero. Quale idea hanno gli stranieri dell’Italia? Corrisponde ai soliti cliché o è basata su conoscenze meno scontate, più accurate e più vicine alla realtà?

Beh, l’idea che gli stranieri hanno dell’Italia è la stessa che gli italiani hanno dell’Albania. Poi ci sono quelli che l’Italia la conoscono davvero, mi è capitato di vedere qui a Londra il documentario di Annalisa Piras e Bill Emmott “Girlfriend in a Coma”, il quale mi è sembrato un perfetto quadro di quello che io stessa ho vissuto negli anni in Italia. Tuttavia, personalmente non mi preoccuperei della visione che gli altri hanno di noi, piuttosto concentro le mie energie sul “fare”.

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6) In questo blog mi occupo principalmente di letteratura, ma anche di cinema, di musica e del mondo artistico. Quali sono stati i libri, i film, le canzoni e le espressioni artistiche che ti hanno maggiormente influenzato e hanno contribuito a formare e perfezionare la tua conoscenza della lingua e della cultura italiana?

Nel 1997, appena sbarcata in questo piccolo paesino, Villanova di Cepagatti, in provincia di Pescara, conobbi in prima media un parrocco, Don Cleto. Mi faceva tanto ridere. Io non portavo mai la merenda a scuola, ma lui ogni giorno si preoccupava se io mangiassi, se io sorridessi, se ero felice o se ero triste. Durante l’ora di religione, Don Cleto decise di portarmi via dalla classe nel suo studio che era sopra la scuola. Nella stanza c’erano una infinità di libri, quaderni pieni di appunti e tante Bibbie in varie lingue. Il parrocco mi chiese di sceglierne uno. Perquisii con attenzione e alla fine presi tra le mani un volume molto corposo. Sulla copertina c’era scritto “William Shakespeare – Le opere”, tradotte in italiano da Montale e Quasimodo.

Trascorsi l’inverno tra il 1997-98 a studiare Shakespeare e me ne innamorai. Poi, ovviamente Montale e Quasimodo, Verga, Pirandello, Ungaretti, Saba, Silone etc, ma devo essere onesta, gli autori che hanno inciso davvero nella mia formazione sono Dostoevskij, Cechov, Goethe, Joyce, Orwell, Dickinson, Wordsworth, Hannah Arendt, Levi, e poi Brecht, le cui poesie sono state per me un punto di riferimento.

Lo ammetto: io

non ho speranza.

Il cieco parla di una via di uscita. Io

ci vedo.

Quando tutti gli errori sono esauriti

l’ultimo compagno che ci sta di fronte

è il Nulla.”

(Der Nachgeborene)

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7) Quali affinità percepisci tra il popolo albanese e quello italiano e quali sono le radici condivise?

L’Albania e’ stata caratterizzata da una lunga storia fatta di continue invasioni: dai greci ai romani, dai goti ai bizantini, ai bulgari, ai serbi, ai normanni, ai veneziani, agli svevi, agli angioini, ai turchi e infine agli italiani. Una somma di successione di popoli che hanno contribuito a modificare il codice genetico più e più volte e quindi alterato il patrimonio storico culturale sociale religioso e politico nei secoli. Come l’Italia, ma per motivi differenti, neppure, o ancor meno, un paese come l’Albania aveva mai conosciuto una compattezza nazionale. I due paesi, data la loro vicinanza geografica, hanno sempre avuto continue relazioni economiche politiche e sociali che risalgono alla diaspora albanese guidata da Giorgio Castriota di Skenderberg che ebbe come conseguenza una massiccia emigrazione di albanesi in Calabria alla fine del 1400. Entrambi sono popoli mediterranei e quindi condividono i modi di vivere la vita, poi noi abbiamo avuto la dittatura di Hoxha per cui siamo stati molto condizionati per 50 anni circa.

8) Tu scrivi per varie testate articoli ben documentati, basati su fatti e osservazioni reali. Se dovessi però scrivere un pezzo di pura fantasia, una specie di proiezione immaginaria sul futuro dell’Europa, quale scenario descriveresti?

L’unione dei popoli d’Europa sarebbe il più bello dei temi.

9) Questa domanda, strettamente legata alla precedente, riguarda invece il tuo ruolo nel mondo dell’editoria. Come ti vedi tra qualche anno, come sarà a tuo parere il mondo dell’informazione e della cultura nel futuro, e, potendo realizzare i tuoi più belli auspici, come vorresti che fosse?

Penso che non ci sarà più l’editoria, piuttosto non ci saranno più i giornali per come li intendiamo. Credo che ognuno potrà essere l’editore di se stesso attraverso il proprio canale.

10) Ringraziandoti per questa tua intervista, ti chiediamo una tua dedica personale ai lettori di questo blog e a tutti gli appassionati di letteratura. Sul frontespizio del tuo libro personale cosa scriveresti?

A Ninì, la bimba dalla ferrea coscienza.

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Anita Likmeta

Anita Likmeta
Anita Likmeta
Dottoressa in Storia medievale, moderna e contemporanea laureata in Lettere e Filosofia all’Università di Roma “La Sapienza, Anita Likmeta è una storica, scrittrice e documentarista.
Nata a Durazzo in Albania si trasferisce in Italia con la famiglia all’età di 11 anni, dapprima nella cittadina di Pescara e in seguito a Roma dove ha frequentato l’Accademia di Recitazione “Corrado Pani”. Nel 2011 si trasferisce a Parigi dove maturerà il suo saggio storico nonché tesi di laurea, discussa con il professore Giancarlo Giordano, in merito alle relazioni tra l’Albania e l’Italia nel periodo che va dal 1922 al 1943. Sempre a Parigi conosce una realtà culturale che l’ha portata a co-dirigere un documentario insieme al regista francese del collettivo Kourtrajmé Mohamed Mazouz dove ha intervistato il candidato premio Nobel per la letteratura e conterraneo Ismail Kadaré, l’artista Kiki Picasso, l’artista italiano Tanino Liberatore e il politico francese Francois Asselineau. Il 13 ottobre del 2013 il giornale “Il Fatto Quotidiano” pubblica un suo articolo in cui racconta il viaggio che l’ha portata in Italia e la sua visione in merito alle politiche dell’immigrazione. Da gennaio 2014 scrive sull’Huffington Post diretto da Lucia Annunziata. Da aprile ad agosto 2015 ha collaborato per la pagina culturale IlGiornaleOff de Il Giornale diretto da Edoardo Sylos Labini.
Vive fra Londra, Roma e Milano.

incontri in libreria

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LIBRERIA POPOLARE , MILANO

Martedì 9 aprile, ore 21: presentazione del volume “Il pianto degli zingari”.
Ne parliamo con l’autore Paul Polansky, poeta e attivista per i diritti umani. Interviene Fabrizio Casavola, redazione di MAHALLA.

Giovedì 11 aprile, ore 21: “Discanto in San Francisco-Harmonizing in San Francisco”, “poetage a/r” sul tempio beat – il San Francisco International Poetry Festival – che ha ospitato Sandro Sardella.
Introduce Guido Duiella della Libreria Popolare di via Tadino; Oliviero Ponte Di Pino, scrittore, editor e giornalista, stimola i ricordi ed il percorso dell’artista del segno.

Sabato 13 aprile, ore 18.30: presentazione del romanzo “La misura del danno”.
Ne parliamo con l’autore Andrea Pomella. Introduce Gianni Montieri; letture di brani dell’opera a cura di Anna Toscano.

Domenica 14 aprile, ore 11.30: presentazione del volume “Provaci ancora Radetzky”.
Ne parliamo con l’autore Roberto Barbolini. Interviene Daniela Marcheschi, critico.

Vi ricordiamo inoltre che domenica 7 aprile, alle ore 11.30, all’interno del ciclo “Doppio sguardo. Domeniche con poeti e pittori in libreria”, la prof.ssa Rosanna De Ponti e il prof. Vincenzo Viola ci racconteranno “Montale e l’arte del ‘900”.

Vi segnaliamo infine che, diversamente da quanto precedentemente comunicato, il Seminario di lettura del testo poetico a cura del prof. Vincenzo Viola avrà inizio giovedì 11 aprile.
Inoltre, non c’è più un numero minimo e massimo di iscritti e la data ultima per iscriversi è ora stata spostata al 10 aprile.
Di seguito, ecco il calendario aggiornato.

Giovedì 11 aprile, ore 17.30-19
– Il suono: nelle parole e tra le parole
– Suoni e sensazioni
– Le parole nascoste

Giovedì 18 aprile, ore 17.30-19
– I versi
– Le strofe
– Senza versi e senza strofe?

Giovedì 9 maggio, ore 17.30-19
– Quale significato? Un cerchio che si espande
– Combinazioni di parole

Mercoledì 15 maggio, ore 17.30-19
– La metafora
– Il percorso analogico

Giovedì 23 maggio, ore 17.30-19
– L’allegoria e il simbolo
– Poesia nel tempo

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