Giampiero Neri

La solitudine di Schenk

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LETTI SULLA LUNA (2)

 

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Propongo qui la seconda segnalazione di questa rubrica.

Mano a mano proporrò altri libri che ho scelto tra quelli che ho ricevuto e che ho letto.

La rubrica non avrà cadenza regolare ma sarà un piacere per me indicare ogni volta che posso uno spunto, un’occasione di lettura e di dialogo con gli autori.  

Sempre seguendo l’impostazione indicata in questo piccolo vademecum che confermo qui sotto.

L’intento è quello di incuriosire, e magari anche di spingere a compiere il passo ulteriore, piccolo ma significativo: approfondire, leggere altre cose, dire “sì mi piace”, oppure dire “Mugnaini non capisce niente, ha gusti da troglodita”.
Va bene tutto. Purché si metta in moto il meccanismo.
Proporrò alcuni testi e qualche nota, nel senso musicale del termine, qualche breve accordo che possa dare un’impressione, un’atmosfera.
Se poi qualcuno, qualche essere semi-mitologico, volesse compiere anche il passo da gigante (quello alla Polifemo, o alla Armstrong sulla Luna, vera o presunta che sia) di acquistare una copia di uno dei suddetti libri… beh… allora il trionfo sarebbe assoluto e partirebbe la Marcia dell’Aida.

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Il volume stavolta è di dimensioni ridotte. Fa parte della collana di libri “Officina di Poesia” di Michelangelo Coviello, curati con arte e con passione antica, artigianale. Coviello ha già ospitato nella sua Officina autrici ed autori di sicura competenza tecnica, tra cui Biagio Cepollaro, Mariella De Santis, Umberto Fiori, Alberto Mari, Meeten Nasr, Giampiero Neri, ed altre ed altri, tutti abili con gli occhi, con le mani, con l’arte del fare e del sentire, il poiein, quello che davvero produce la civiltà dei gesti concreti che si fanno parola. Coviello li definisce libretti.  Sembreremmo in grado di leggerli in un soffio, in una manciata di minuti. Non è così.

Non è stato così anche per il libro di Paolo Rabissi, La solitudine di Schenk (1).

Ogni parola è legata alle altre in una concatenazione necessaria, come una cordata che sale lungo il versante più arduo di una montagna, quello mai percorso fino in fondo; forse la verità, o magari la giustizia, o semplicemente il tempo, mistero roccioso e tagliente. Una cordata alpinistica o semplicemente una fila di uomini e donne che seguono un itinerario disegnato da altre mani, da altre menti, tra un Nord e un Sud, posti come chiodi alle estremità di un’asse geografico a cui sono conficcati i piedi, le mani, i destini, “lungo la pianura fino all’orizzonte,/ tutto appare deserto, è non conosciuto.”

La solitudine forse è nel cuore del non conoscere che si rispecchia in un non conoscersi; riflessione che acceca in un crescendo annichilente.

Rabissi nel suo libro racconta una storia, forse la Storia. Ma senza pretendere neppure un istante di possedere una chiave, e neppure l’istantanea giusta, l’inquadratura ideale, quella che separa buio e luce, giusto e sbagliato, buoni e cattivi. L’impronta dei versi è profonda ma senza mai scordare che ci si sta muovendo nella sabbia, nella neve e nel fango e che ad ogni passo si rischia di calpestare cadaveri di donne e uomini, oppure la loro carne ancora viva. “Al cambio di turno nei pressi del cancello minore/ la solitudine di Schenk si staglia ogni giorno,/ non è tanto la sua notevole altezza, la magrezza/ ma l’impronta dello sconfitto dalla vita./ -Tu studi la Storia, non ne caverai niente.”.

La descrizione è attenta ma non indulge al patetico. Indica, perché guardare insieme è già un atto di condivisione, un nutrirsi dello stesso sole e della stessa solitudine. Un paradosso vitale, la scommessa più ardua e necessaria. Scoprire che la Storia è sempre altra, sempre altrove, lontana dai discorsi ben calibrati delle tavole rotonde con i fiori freschi e le bottiglie di bibite multicolori. Renderci conto che il conto è sbagliato. Anche nel senso numerico del termine. Che il resto non è stato dato, che niente rientra nei confini della logica aritmetica, di ciò che si può osservare senza dovere inventarsi acrobazie di menzogne e algoritmi da ciarlatani. Accorgerci che, in tal modo, lo sconfitto della vita è chiunque, anche chi ogni giorno può scegliere il gusto dell’acqua  minerale che più gli aggrada.

Questo libro racconta la vita. Uno dei suoi angoli, gli sprazzi di sole, perfino, in mezzo al buio, alla solitudine. La misura breve del testo ha favorito qui una concentrazione che si estende per poi racchiudersi attorno a nuclei tematici che sono funzionali alla vicenda specifica ma in modo spontaneo si estendono a raggiera, come strade, sentieri. Ed è il cammino che conta.

“Sicuramente la memoria ha fissato da tempo/ la mappa dei luoghi, degli incontri./ Bastava solo ridarle occasione,/ questa storia, ma verrebbe da pensare ogni storia, / scritta era scritta da tempo,/ bastava trascrivere il tutto come sotto dettatura.”.

In fondo anche questo libro di Rabissi è una trascrizione, con il valore aggiunto di un testimoniare che non pretende di fornire panacee o di rischiarare tenebre, ma solo di mostrare la via della solitudine e una traiettoria che conduca altrove. IM

 

  1. La solitudine di Schenk fa parte del poemetto Inverno a Colonia dello stesso Rabissi (diviso in tre sezioni, di cui La solitudine di Schenk è la prima) insieme ad altri tre poemetti di prossima pubblicazione.

 

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Qui di seguito una nota sul testo dello stesso Rabissi, da cui si ricava il senso e il clima, non solo dello scritto ma anche del tempo, e dei tempi:

La solitudine di Schenk segna nella mia produzione un passaggio decisivo. Avevamo in animo di cambiare il mondo e mi sto chiedendo come sia successo, ma credo che sia anzitutto un topos della mia generazione nata durante o subito dopo la guerra. Tutto era nato con l’emigrazione. I miei compagni di strada nelle Puglie della mia infanzia e adolescenza salirono al Nord, molti si fermarono nelle fabbriche milanesi, altri andarono in Germania o oltreocano. C’era una richiesta di trasformazione molto prima del ’68. Io stesso sono stato un emigrante, in Germania tra pulizia dei pavimenti e patate da sbucciare cercavo di capire, oggi ne è nato Inverno a Colonia e l’inchiesta continua. Il verso si è fatto, a partire da lì, più lungo e narrativo, negli altri poemetti in corso di pubblicazione ha ormai raggiunto il doppio settenario (ma con accenti diversi). Il fatto è che gli emigranti sono di nuovo qui. Anche loro chiedono un cambiamento. Del ’68 la reazione è riuscita a farne un mostro senza cambiare niente. Oggi la reazione è ancora più mostruosa. Non so se il verso riuscirà a tenere il ritmo, nei miei progetti si sta facendo pressante l’idea di smettere di andare a capo e di continuare a scrivere fino alla fine del rigo e delle righe.   (Paolo Rabissi)

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La solitudine di Schenk 

Per fissare i rinvii della memoria

è utile il disegno di una mappa.

In quel territorio s’intrecciano tuttora

sentimenti e progetti. Più a Nord rispetto

ai due campi, è certo,

turchi, greci, spagnoli, italiani abitano

periferie chiassose dove le risse scoppiano

frequenti.

*

 

A Sud i due campi contigui sono separati

da una fitta rete di ferro.

Gli abitanti del campo a Nord,

per entrare in quello a Sud, devono possedere

un pass, il più delle volte non serve,

i volti infatti sono quasi sempre gli stessi.

Stagionali e avventizi sono rari

ma forse è la memoria che immobilizza

lo scenario.

*

 

Dieter sciancato, rifugiato dall’Est, parla inglese,

è convinto che la libertà assoluta non esiste

“…ma voglio essere libero di scegliere

le mie schiavitù, you see?”.

A est del campo, lasciando correre lo sguardo

lungo la pianura fino all’orizzonte,

tutto appare deserto, è non conosciuto.

*

 

Qualcuno potrebbe dire che qui

l’unica religione è il lavoro.

Sul permesso di lavoro, controfirmato da un

religioso, deve comparire la religione professata.

Con qualche insistenza si riesce infine  a ottenere,

evitando il balzello, la scritta keine religion.

*

 

Tra versi petrarcheschi e ragazze Carla

le indicazioni non abbondavano,

tra erbe e rami fioriti e tic tac di macchina da scrivere

si poteva imboccare un sentiero poco noto,

forse una scorciatoia oppure il contrario.

A Ovest  i bassi casamenti sono depositi

per ricambi di lenzuola, coperte

e qualche altro comfort. Non lesinano

nella distribuzione anzi invitano a una cadenza

settimanale, per non trascurare l’igiene.

*

 

La memoria ha fissato un tempo duraturo,

un inverno inoltrato, un principio d’estate, un sole a tratti,

un verdeggiare fresco e sul piazzale delle passioni

al cambio di turno l’incontro regolare con Schenk

– Wunderschön, ah?

– Wunderbar…

Alla cava vicina lo spettacolo è assicurato, corpi

al sole, trasparenze.

*

 

Dieter passeggia conversevole trascinando il suo piede,

indica due caccia americani che sfrecciano nel cielo,

ricorda la sua fuga nel bagagliaio.

Forse è per questo che frequenta il vicino aerodromo

per alianti. Quando è in alto e il suo apparecchio si sgancia

dice che urla per la libertà e la bellezza.

A leggergli versi in italiano si lascia cullare,

non capisce, gli piace la musica che faccio.

*

 

Sicuramente la memoria ha fissato da tempo

la mappa dei luoghi, degli incontri.

Bastava solo ridarle occasione,

questa storia, ma verrebbe da pensare ogni storia,

scritta era scritta da tempo,

bastava trascrivere il tutto come sotto dettatura.

*

 

Al cambio di turno nei pressi del cancello minore

la solitudine di Schenk si staglia ogni giorno,

non è tanto la sua notevole altezza, la magrezza

ma l’impronta dello sconfitto.

-Tu studi la Storia, non ne caverai niente.

Da tremila anni è bloccata, è sempre la stessa.

Sarai solo anche tu. Ist es besser vergessen,

Ich habe alles vergessen.

Quando esce dal suo casamento nella rientranza

della sua finestra accomoda terra e acqua

nel piccolo vaso dove a volte fiorisce

un fiore rossastro.

*

 

L’entrata è dal Main Gate, situato a Est,

chiedono il pass solo la sera al rientro

da scorribande notturne nei quartieri a Nord,

veri e propri dormitori, attrezzati con qualche verde

e di presidi sanitari dove s’incontrano mogli

e madri turche, italiane, greche, spagnole

con i figlioli vocianti. L’intreccio delle lingue

le fa esplodere tutte in risate concilianti.

L’entrata nel campo è dal Main Gate dove

talvolta sostano due cani pastori tedeschi.

Si tratta solo di una coreografia di qualche

malizia, il conduttore dei cani chiede il saldo

di un debito dimenticato.

*

 

Schenk non commette errori, quando esce

punta diritto verso il sentiero in terra battuta

e lo segue. Non vigila su nulla e per l’habitat

non è possibile distrarsi per alcunché

– il verso è una misura d’uomo, non più in là

di tanto né meno, un equilibrio interiore.

Il suo passo sottile, come una lametta

incide il sentiero in silenzio

– a volte inseguo il pensiero e non trovo

la parola. Se qualcuno è vicino a te puoi

chiederla a lui, la prima che dice.

*

 

(I testi tratti dal libro sono quelli riportati sul bel blog di Gabriele Zani, http://gabrielez.blogspot.it/2011/10/paolo-rabissi-la-solitudine-di-schenk.html )

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Biografia

Nato a Trieste, scrittore di righe e versi, vive a Milano da più di cinquantanni, dopo aver insegnato nelle scuole superiori ha ripreso lavori di ricerca su poesia e operaismo. Ha messo in scena eventi nella libreria Calusca di Primo Moroni, in particolare, con la partecipazione di Joe Fallisi, un atto unico dedicato al rapporto tra Dino Campana e Sibilla Aleramo. Ha pubblicato in versi: nel 2001 “Città alta” per DIALOGOlibri, con nota di Giampiero Neri, nel 2005 “La ruggine, il sale” per Lietocolle, prefazione di Tiziano Rossi, nel 2009 la plaquette “Maschile plurale” per DIALOGOlibri, nel 2010 “I contorni delle cose”, edizioni Stampa, Varese, prefazione di Maurizio Cucchi. Cura il blog http://www.righeeversi.blogspot.it .

POESIARTE MILANO – Altro oro

Postato il

Quintocortile

Viale Bligny 42 – 20136 Milano – tel. 338. 800. 7617

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con la collaborazione di Milanocosa

IX RASSEGNA
POESIARTE MILANO

ALTRO ORO

Moneta e mondo – oro e terra. Termini e orizzonti entro i quali si colloca la necessità di definire il valore delle cose e delle persone. Possono i linguaggi delle arti restituire a queste smarrite identità un nuovo baricentro di senso e di valore?

11 e 12 giugno 2012

(h 17-20)

In questo nostro tempo il denaro è ormai un flusso disciolto nel sistema arterioso-venoso del corpo sociale, serpe inafferrabile, svincolato dalle cose, valore narcisisticamente collassante su sé stesso. Valore virtuale e pure tanto addentro nella minuta realtà delle cose e dei rapporti da esserne l’unica, non separabile ragione. Nemico mascherato da mondo.

Il segno acceso di ogni forma d’arte potrà forse restituire identità alle parti in gioco, quella misura e distanza fra oro e terra, segno e mondo dalla quale, entro la quale, scocchi un’alchimia che irrompa fortemente nel dominio chiuso in atto e apra a un altro valore, significato, senso.

Poesiarte Milano si svolgerà a Quintocortile nei giorni di lunedì 11 e martedì 12 giugno 2012 dalle ore 17,00 alle ore 20,00 con opere e interventi sul tema di oltre cinquanta fra poeti, artisti e musicisti.

Organizzazione a cura di: Mavi Ferrando, Donatella Airoldi (Associazione Quintocortile)

Con la collaborazione di: Adam Vaccaro, Claudia Azzola, Laura Cantelmo, Annamaria de Pietro e Giuliano Zosi (Associazione Milanocosa)

artisti:

Adalberto Borioli, Antonino Bove, Salvatore Carbone, Giulia Comenduni, Albino De Francesco, Giuseppe Denti, Fernanda Fedi, Jane Kennedy, Mavi Ferrando, Gino Gini, Maria Luisa Grimani, Nadia Magnabosco, Marilde Magni, Ruggero Maggi, Libera Mazzoleni, Gi Morandini, Antonella Prota Giurleo, Raffaele Romano, Ottavio Rossani, Evelina Schatz, Roberto Sommariva, Rosanna Veronesi.

poeti:

Ennio Abate, Claudia Azzola, Rinaldo Caddeo, Luigi Cannillo, Laura Cantelmo, Annamaria De Pietro, Mariella De Santis, Gilberto Finzi, Gabriella Galzio, Eugenio Grandinetti, Gilberto Isella, Gianmario Lucini, Meeten Nasr, Giampiero Neri, Guido Oldani, Maria Pia Quintavalla, Franco Romanò, Anthony Robbins, Ottavio Rossani, Tiziano Rossi, Tiziano Salari, Fausta Squatriti, Adam Vaccaro, Giuliano Zosi.

musicisti:

Adalberto Borioli e il duo Poemus, Barbara Gabotto e Giacomo Guidetti.

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Il denaro nasce e si istituisce come controvalore convenzionale delle cose.

Il potere del denaro – di coloro che lo detengono – si pone come luogo socialmente, politicamente individuato, altro rispetto alla massa di coloro che non lo detengono, che sono attraversati dalla convenzione-valore delle cose, essi stessi e i materiali modesti di cui dispongono, fino a diventare essi stessi moneta di scambio, strumenti, lavoro, fra il denaro e le cose.

Questo è avvenuto storicamente.

Ma ora viviamo qualcosa di diverso: il denaro, identificato coi suoi detentori, non è più blocco contro il quale sociologicamente, politicamente ci si possa opporre, ma è ormai un flusso disciolto nel sistema arterioso-venoso del corpo sociale, serpe inafferrabile, svincolato dalle cose, valore narcisisticamente collassante su sé stesso. E coinvolge in un cerchio malato chi lo detiene e chi non lo detiene. Valore virtuale, e pure tanto addentro nella minuta realtà delle cose e dei rapporti da esserne l’unica, non separabile ragione. Valore di sé stesso, nemico mascherato da mondo.

Re-istituire la misura di giusta distanza fra moneta e cosa, fra oro e terra, vuol dire re-istituire il valore. Che è sempre confronto, lotta, l’affondo sconcertante di un aguzzo baricentro.

Ars può tentare, di fianco, di ritrovare – in fuoco alchemico – il valore smarrito fra le cose e re-istituire il segno: moneta buona, altro oro.

Associazione Milanocosa

Milano, 24 aprile 2012

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http://www.milanocosa.it/eventi-milanocosa/quintocortile-2012

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Dopo il moderno

Postato il

Qui di seguito alcune notizie riguardanti il libro “Giuseppe Pedota
Dopo il moderno
Saggi sulla poesia contemporanea

A cura di Giorgio Linguaglossa

Edizioni CFR, 2012, pagg. 120, € 13,00

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Ho qui raccolto gli appunti critici di Giuseppe Pedota, composti dal 2005 al 2010, che dovevano far parte del rilancio della seconda serie della rivista «Poiesis» (che poi non vide mai la luce). Questi scritti postumi ci guidano, come con una torcia tascabile, dentro le antinomie e le ambiguità delle poetiche del Dopo il Moderno, che costituisce la categoria centrale con la quale il critico inquadra la poesia contemporanea. Pur nella forma del «frammento», ritengo questi scritti di capitale importanza per l’intelligenza delle questioni oggi connesse alla poesia. Un brillante diagramma dell’«attualità dell’anacronismo»: una analisi della poesia di Gellu Naum, Kikuo Takano, Enis Batur, Vito Riviello, Leopoldo Attolico, Franco Marcoaldi, Giovanni Giudici, Franco Fortini, Carlo Betocchi, Angelo Maria Ripellino, Giovanni Giudici, Helle Busacca, Aldo Nove, Patrizia Valduga, Elio Pecora, Elio Pagliarani, Luciano Erba, Luigi Manzi, Cesare Viviani, Dante Maffìa, Giorgio Linguaglossa, Roberto Bertoldo. Introduce il fondamentale saggio «la scomparsa dell’interlocutore» sulla poetica di Osip Mandel’štam e Wystan Auden. Completa il libro il saggio «la vocabologia post-sacrale della poesia del Dopo il Moderno» sulla poesia di Giovanna Sicari, Maria Rosaria Madonna, Maria Marchesi, Laura Canciani, Chiara Moimas, Giorgia Stecher ed il saggio «c’è una crisi della Ragione poetica?» sulla poesia di Umberto Piersanti, Eugenio De Signoribus, Biancamaria Frabotta, Valerio Magrelli, Giampiero Neri, Antonio Riccardi, Maurizio Cucchi, Milo De Angelis.

Giorgio Linguaglossa

Giuseppe Pedota (Genzano di Lucania 1933-2010), esordisce negli anni Sessanta come pittore e scultore, frequenta Borges e Dino Buzzati. È un artista inquieto e anticonformista. Nel 1995 entra nella redazione del quadrimestrale di letteratura «Poiesis» che conta tra i suoi redattori Giorgio Linguaglossa, Lisa Stace, Maria Rosaria Madonna, Dante Maffìa e Laura Canciani con i quali redige e firma sul n. 7 della rivista nel 1995, il «Manifesto della Nuova Poesia Metafisica». Nel 1996 pubblica Equazione dell’infinito e, nel 1999, I vincoli dello spazio. Sul numero 22 di «Poiesis» appaiono gli inediti di Lucania lucis e, nel 2005, il numero speciale 32 di «Poiesis» raccoglie le sue poesie. È del 2007 il saggio La nuova poesia ontologica di Giorgio Linguaglossa.

Sommario

DOPO IL MODERNO? 5
a proposito del paradigma maggioritario 11
il problema della «rappresentazione poetica»
Gellu Naum, Kikuo Takano, Enis Batur 15
la scomparsa dell’interlocutore 20
Osip Mandel’stam, Wystan Auden
la vocabologia post-sacrale della poesia del Dopo il Moderno 25
Giovanna Sicari, Maria Rosaria Madonna, Maria Marchesi, Laura Canciani, Chiara Moimas, Giorgia Stecher
DOPO IL MODERNO 31
l’attualità dell’anacronismo 31
Vito Riviello, Leopoldo Attolico, Franco Marcoaldi, Giovanni Giudici, Franco Fortini, Carlo Betocchi, Angelo Maria Ripellino, Giovanni Giudici, Giorgia Stecher, Helle Busacca, Aldo Nove, Patrizia Valduga, Elio Pecora, Elio Pagliarani, Luciano Erba, Luigi Manzi, Cesare Viviani, Dante Maffìa, Giorgio Linguaglossa, Roberto Bertoldo
CRISI DEL MODELLO PROPOSIZIONALE DEL DISCORSO POETICO 76
quale linguaggio poetico? 76
Roberto Bertoldo, Maria Marchesi, Maria Rosaria Madonna, Laura Canciani
c’è una crisi della Ragione poetica? 90
Umberto Piersanti, Eugenio De Signoribus, Biancamaria Frabotta, Valerio Magrelli, Giampiero Neri, Antonio Riccardi, Maurizio Cucchi, Milo De Angelis
LA POESIA DI DANTE MAFFIA 99
Sulla poesia in dialetto di Dante Maffìa 112
Sommario 117