Flaminia Cruciani
A TU PER TU – Rossella Pretto
A TU PER TU
UNA RETE DI VOCI
L’ospite di oggi della rubrica è Rossella Pretto.
Poeta, traduttrice, redattrice di riviste letterarie e impegnata in altre attività che scoprirete attraverso le risposte all’intervista.
Già l’approccio, il tono, la scelta di espressioni forti, taglienti come lame, a tratti, lontane dagli schemi consolidati, dicono molto. La parola come fine e come meta, come senso e ricerca di senso, strumento per provare ad esprimere, evitando le scorciatoie, sia le fragilità che gli slanci. La ferita e il volo. La parola, letta e scritta, si fa metodo privilegiato di scavo dell’insondabile, pur senza la speranza di giungere mai ad un punto di arrivo. Anzi, forse proprio in virtù di questa crudele e salvifica impossibilità.
Buona lettura, IM
L’obiettivo della rubrica A TU PER TU, rinnovata in un quest’epoca di contagi e di necessari riadattamenti di modi, tempi e relazioni, è, appunto, quella di costruire una rete, un insieme di nodi su cui fare leva, per attraversare la sensazione di vuoto impalpabile ritrovando punti di appoggio, sostegno, dialogo e scambio. Rivolgerò ad alcune autrici ed alcuni autori, del mondo letterario e non solo, italiani e di altre nazioni, un numero limitato di domande, il più possibile dirette ed essenziali, in tutte le accezioni del termine. Le domande permetteranno a ciascuna e a ciascuno di presentare se stessi e i cardini, gli snodi del proprio modo di essere e di fare arte: il proprio lavoro e ciò che lo nutre e lo ispira. Saranno volta per volta le stesse domande. Le risposte di artisti con background differenti e diversi stili e approcci, consentiranno, tramite analogie e contrasti, di avere un quadro il più possibile ampio e vario individuando i punti di appoggio di quella rete di voci, di volti e di espressioni a cui si è fatto cenno e a cui è ispirata questa rubrica.
5 domande
a
Rossella Pretto
1 ) Il mio benvenuto, innanzitutto.
Puoi fornire un tuo breve “autoritratto” in forma di parole ai lettori di Dedalus?
Qualche anno fa feci un disegno con la mano sinistra, quella libera da automatismi e condizionamenti; ne venne fuori il ritratto di una donna che, al posto del braccio, aveva un ramo secco radicato nel cuore. Non è forse una buona maniera di presentarsi, lo so. Però sento di doverlo fare non tanto per descrivere me quanto per fornire un’immagine dei tempi nerissimi che stiamo attraversando. Quel bisogno di mani che non si toccano e non possono farlo, quell’asfissia che conduce all’aridità. Siamo così, impossibilitati ad avere sensi che però dobbiamo reiventare. Crearne di nuovi che sopperiscano a quelli perduti. Di me invece si potrebbero dare molte definizioni, scegliere dal mazzo delle possibilità: il mio volto è il ventaglio di chi sono stata e potrei essere. Basti dire che ora mi occupo di poesia, traduzione e critica.
Letti sulla luna (6): Senza il mio NOME
“vademecum” della rubrica Letti sulla luna:
L’intento è quello di incuriosire, e magari anche di spingere a compiere il passo ulteriore, piccolo ma significativo: approfondire, leggere altre cose, dire “sì mi piace”, oppure dire “Mugnaini non capisce niente, ha gusti da troglodita”.
Va bene tutto. Purché si metta in moto il meccanismo. Proporrò alcuni testi e qualche nota, nel senso musicale del termine, qualche breve accordo che possa dare un’impressione, un’atmosfera.
Se poi qualcuno, qualche essere semi-mitologico, volesse compiere anche il passo da gigante (quello alla Polifemo, o alla Armstrong sulla Luna, vera o presunta che sia) di acquistare una copia di uno dei suddetti libri… beh… allora il trionfo sarebbe assoluto e partirebbe la Marcia dell’Aida.
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Adriana Gloria Marigo, Senza il mio NOME,
Campanotto Editore, 2015
Potrebbe apparire fuori tempo, e perfino fuori luogo, oggi, nelle tragedie e nelle farse di quest’epoca aspra e disarmonica, una canto così classico, elaborato, fatto di vocaboli e suoni che aspirano ad una forma e ad una grazia drammatiche, pronte per essere recitate sul palcoscenico di un teatro greco. Potrebbe, se, per fortuna nostra e per merito dell’autrice, tale ricercatezza non apparisse come una scelta deliberata, un gesto, una presa di posizione. “E s’avvera l’azzurro teso, /la sua pagina infinita”, recita un distico, e, poco oltre, “dimentica la specie che sono/ la cucitura eccellente/ sulla veste di festa -/ vivere ti è consentito/ senza il mio nome”. La pagina è il cielo, lo spazio teso che ci sovrasta e al contempo è dentro di noi; la parola è specie, modo di essere e di esistere. Ed è opzione estrema, quasi alternativa posta a discrimine dell’essere o del morire, quella di vivere con o senza il nome di qualcuno, senza di ciò che ne costituisce l’essenza, la natura più intima e preziosa.
Il titolo scelto da Geo Vasile per la prefazione che ha scritto per questo libro è “Trattato sulla beltà scandalosa della parola”. Di per sé contiene già un trattato, o, almeno, una fonte di spunti di riflessione e di ispirazione. Soprattutto per chi vorrà leggere il libro, che poi, l’ho già detto ma lo ripeto volentieri, alla fine è ciò che conta. La beltà, la bellezza, in primis. Così scandalosa, certo, in quanto rara, controcorrente, opposta alla marea lenta e non di rado stagnante dell’ordinario, dello scontato, del banale.
Vengono in mente vari riferimenti, prosa, poesia, aforismi. Si pensa al titolo di un racconto di Maupassant del 1890, La bellezza inutile (L’Inutile Beauté). Oppure riemerge alla mente la prosa poetica di Oscar Wilde: “Parole! Semplici parole! Quant’erano terribili! Quant’erano chiare, vivide, crudeli! Ad esse non si poteva sfuggire. E tuttavia quale sottile magia contenevano. Sembravano capaci di dare forma plastica a cose informi, sembravano possedere una musica loro propria, dolce come quella della viola o del flauto. Semplici parole! C’era qualcosa di altrettanto reale quanto le parole?”. Oppure, davvero non ultimo, Fernando Pessoa, “Perché è bella l’arte? Perché è inutile. Perché è brutta la vita? Perché è tutta fini e propositi e intenzioni”.
Le citazioni potrebbero essere decine, l’argomento, il tema, la ricerca e la meta della bellezza sono costanti, nell’arte e nella vita. Lo sono anche in questo libro. Ne sono prova le note scritte dall’autrice stessa, la recensione di Antonio Devicienti e le note critiche di Geo Vasile e di Flaminia Cruciani.
Soprattutto però ne sono prova le poesie tratte dal libro e qui riportate. Non di agevole assimilazione. Richiedono di entrare gradualmente nel loro tono, nell’atmosfera, ma soprattutto nell’approccio che evocano. L’immersione nel passato tuttavia non prescinde dal presente, dal reale, dalla ferita e dalla cura del vero. La compenetrazione è lenta, progressiva. È il tempo, ancora una volta, più che mai, il nodo, il cardine, il mostro, l’avversario. Il tentativo di arrivare a farlo distendere, anche in senso fisico, nei territori, negli spazi vissuti e pensati, vivibili e sognabili, tra realtà, memoria e sogno, equivale alla volontà-necessità di cantarlo, sempre con gli strumenti utili, consoni: simboli, metafore, leggende, storie, racconti e danze di parole al suono di una musica.
Cantare il tempo con strumenti che lui stesso ha creato. Questo appare il tentativo di Adriana Gloria Marigo. Cantare il tempo, sperando, magari, che ad un certo momento, sulla nota giusta, si metta a cantare anche lui, o interrompa per qualche istante il suo grido muto e insondabile. IM
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Nota dell’Autrice
La poesia contenuta in Senza il mio NOME si connota con un forte substrato di pensiero, poiché il problema ontologico è una costante fin dalla prima pubblicazione. Il tema della parola come tramite tra il pensiero e l’azione si perfeziona in questa silloge in quanto si accoglie che il fine della poesia sia di condurre alla conoscenza attraverso il manifestarsi della Bellezza. Se le movenze del verso nascono dal vissuto personale, dalla finezza del sentire e dell’ascoltare, dal turbamento che il reale suscita e dunque implicando il sentimento, la scrittura di una poesia riguarda anche la ragione, o meglio, il “pensiero poetante” di cui parla Antonio Prete.
La raccolta presenta anche le inferenze della psicologia del profondo e il linguaggio diventa simbolico e rimanda agli archetipi da cui non possiamo prescindere in quanto l’uomo è esso stesso simbolo. Il paesaggio, ad esempio, è un elemento che vive in quanto paesaggio, con i connotati delle stagioni, ma al tempo stesso è il corrispettivo del paesaggio archetipico in cui avvengono le trasformazioni alchemiche e il riconoscimento dell’Essere. Senza il mio NOME dovrebbe rappresentare la conferma di questo canone in cui il tema dell’Essere incontra il Tempo come dimensione in cui è possibile declinare l’identità senza l’imposizione di essa su nessun altro vivente.
Poesie tratte da Senza il mio NOME,
Campanotto Editore, 2015
*
Corifere le stelle
e a loro di luce rituale
dedita la luna
dalle sinopie del tempo alzammo
numero suono vocale
il barbaro colore primario
genio o follia
scorgemmo la faglia d’altro destino.
*
DA LUINO A COLMEGNA
È l’aggregarsi di questa luce
soave e indifferente sugli oggetti
a portarmi indietro
al passo scolpito di collina
a tendini e nervi vivissimi
al mai perso talento ad essermi
esatta di misura visibile
peso e contropeso
sull’appiglio dell’ombra.
*
E S’AVVERA L’AZZURRO TESO
Stando in maestà la luna
di notte viene un vento raro
ad avvolgersi selvatico
sugli alberi spersi nella brughiera
a sconfinare stelle fino in terra.
E s’avvera l’azzurro teso,
la sua pagina infinita.
*
SU “LA MORTE DELLA PIZIA” DI F. DURRENMATT
Morì la Pizia per oracolare
inganno, doppiezza di parola
levata in vaticinio nel tempo
dismesso all’alloro
al fornice sacro ̶
rovinò la voce solforata
accartocciò il passo
disforme al pneuma allucinato.
*
Perdimi, lasciami
ove più non s’intessono
fronda e nido –
indietro, alla morgana
mangia i semi di Persefone
dimentica la specie che sono
la cucitura eccellente
sulla veste di festa –
vivere ti è consentito
senza il mio nome.
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Dalla recensione di Antonio Devicienti
[…] Ho l’impressione che la scrittura di Adriana Gloria Marigo, che già moveva da un’aspirazione alla luce e alla chiarezza, all’armonia e all’equilibrio sia d’arte che d’intelletto, approdi qui e in questo libro alla formulazione ancor più esplicita di un tale processo.
[…] per forza di stile s’impone un equilibrio espressivo poco comune, ma l’incandescenza che è ogni esistere umano non viene dimenticata, né rimossa – la poesia è, per l’Autrice, anche un modo per prendere la necessaria distanza dal magma psichico e dagli accadimenti, per dominarli, comprenderli e dar loro forma d’arte.
Per ritornare poi sul tema del mito, la composizione che fa esplicito riferimento alla Morte della Pizia di Friedrich Dürrenmatt conferma, a mio parere, come l’accenno frequente al mito da parte di Gloria nulla abbia a che vedere con un passatista e inutile neoclassicismo, ma, invece, sia consapevole scelta e prospettiva sia culturale che storico-antropologica (consideriamo il fatto che l’opera dürrenmattiana non sia tanto un ironizzare sul e uno “s-mitizzare” il mito, ma, invece, un riproporre e riaffermare l’enigma come centrale nella cultura greca antica e delfica in particolare) – per Marigo la morte della Pizia è anche un venir meno al senso più autentico della sapienzialità, cioè della capacità (tenendo conto della porzione di buio e d’enigma) di guardare nell’abisso dell’animo umano […]
Un dialogo: un ininterrotto dialogo è la terza sezione del libro che si conclude con un atto di radicale privazione, ponendo la poesia sulla faglia (per richiamare un termine importante per l’Autrice) tra il nominare e l’allontanarsi del nome (detto altrimenti: tra l’andare verso l’origine e il perdere l’origine, tra il cercare la fonte e lo smarrirla – leggasi, per esempio, Hölderlin), tra il dire e il silenzio totalizzante. Si ribadisce in via definitiva, così, proprio la tensione (si pensi alla tensione elettrica o a quella che si genera tra due forze che agiscono in direzioni opposte) tra forma espressiva elegante e sorvegliatissima e condizione esistenziale, per cui sotto la forma perfetta guizza l’inquietudine (viene in mente la pantera di Rilke), i nomi del mito famoso rivelano spalancandolo l’abisso della psiche umana.
dalla Prefazione di Geo Vasile
Senza il tuo nome attesta un rigoroso costruttore di improbabilità, che sa procedere per paragoni e analogie, e la cui intelligenza si rivela dans un ordre insensé, che sa improvvisare da trovatore senza smettere di pianificare o di pensare. Improbalità implicite od eventualità fornite da una memoria potenziale o funzionale proprio in opposizione alla memoria storica, legata cioè ai ricordi personali. Quel luziano «conoscere per ardore» è una scelta dei versi della Marigo tra la presenza estrema dell’istante e la presenza estrema del possibile, favorendo quest’ultimo affinché dia la sensazione di vivere di più.
Volendo far emergere il clima generale del libro, ma anche i dettagli delle interferenze gravitazionali dei versi, c’è da notare sin dai primi testi un’aria quasi sovrumana, irrespirabile per il comune lettore, che mette a fuoco l’uomo e la sua attesa nel tempo, «innumeri enti dell’attesa» e soprattutto la “parola” che non appena «sciogliamo le ombre» dobbiamo farla sorgere «per numinoso nominare». Dell’eccelsa icastica fanno parte espressioni rarissime tipo D’Annunzio, Montale, Sanguineti Zanzotto: «sfrigolio sabbiale della clessidra, la pugna di Saturno, incline a smorirsi, abissi oceanidi, intuizione aligera, erba frugifera, corsa vessillifera, infeudarsi, materia trina ecc., antinomie: chiarore – cupezza erbosa, ecc.», sinestesie: «il suono o il grido della luce, il gioco costellato dell’ombra, magnete ultimo d’intima fibra, sfolgorii correnti di fiume, ecc. ».
Da sottolineare nella poesia della Marigo c’è anche la non comune potenza intuitiva che sappia vedere immagini sensibili come simboli. La sua ricerca poetica sembra sia destinata alla purificazione per mezzo dei misteri della bellezza pura della parola, dell’esistenza degli umani che affrontano il paradigma postmoderno della loro sorte: la fine.
Estratto dalla nota di Flaminia Cruciani
La natura, di sacralità pagana, è uno dei cardini di questa poetica, ma appare incorporea, trasfigurata, che non lascia incantata l’autrice ma rappresenta il porto da cui salpare per giungere al suo segreto, per mettere in evidenza il chiasma, l’intreccio fra orizzonte esterno e interno, il rapporto fra visibilità e invisibilità, verso cui la poetessa ha un atteggiamento da fenomenologo, come conferma la dedica: All’invisibile che schiude la parola. È così che si attua l’esperienza trascendente della natura e dei suoi fondamenti, in cui la tensione è superare la phýsis e saldarsi al suo mistero, alla sua meta-phýsis, al suo significato preesistente e originario.
E come procede l’autrice in questa rappresentazione? Attraverso il dire sibillino, la parola profetica e una poesia colta con un verso alto e luminoso di una trasparenza transitiva, che unge l’esperienza dall’alto come una benedizione implacabile, e con una visionarietà che la avvicina al giovane William Blake. Agisce “mettendo la forza in riserva nei segni” nella capacità evocativa d’immagini dell’abisso simbolico. Il verso di Gloria giunge come folgore a spalancare l’universo del pensiero mitico, di una logica non determinata, in cui si attuano uno sfondamento della natura e la sua lucida compenetrazione. Qui le aporie sono celebrate da una voce nitida che autorizza la coesistenza e l’affidabilità di soluzioni antitetiche e svela antinomie che non attendono di essere risolte, secondo un procedimento letterario che trova un parallelo musicale nella melodia infinita wagneriana. In questa logica di non contraddizione la poetessa ci orienta e ci disorienta in un tempo/spazio sincronico, in un’ontologia essenziale in eccesso di significato, che trova in se stessa l’abbattimento del limite e della distinzione fra l’altro e l’infinitamente altro.
Come in un prontuario oracolare, questa poesia ha la forza delle antiche sentenze sibilline, dei pronunciamenti profetici che vogliono risvegliare il lettore dal sonno del Logos e ridestarlo al Mythos. La consacrazione della sfera naturale, che viene sciolta dalla sua destinazione umana, avviene attraverso l’uso sapiente della parola che, come nelle antiche cosmogonie, qui ha potere creatore. Il nome è concepito come suono creatore, che dà origine alla vita, il suono primordiale, chiamato dagli egizi “risata” o “grido” del dio Toth, o come le sillabe mistiche, presenti nel Libro della Genesi che inizia con le parole «In principio era il verbo» o nell’Enuma Elish, la più antica cosmogonia conosciuta della Mesopotamia antica. Anche la tradizione vedica ci informa su un mondo creato che origina da un essere ancora immateriale che dalla quiete del non essere risuona.
Nota biografica
Adriana Gloria Marigo
Poetessa, critica, curatrice della collana di poesia Alabaster per Caosfera Edizioni, vive a Luino. Dopo gli studi universitari in pedagogia a indirizzo filosofico, ha insegnato nella scuola primaria. Nel 2015 ha curato insieme con il poeta filologo italianista romeno Geo Vasile l’antologia Elegie del poeta romeno Valeriu Andreanu e la prefazione della raccolta di poesie Profusioni – Fusibilia Editore – della poetessa Anna Bertini.
Ha pubblicato le sillogi Un biancore lontano – LietoColle, 2009; L’essenziale curvatura del cielo – La Vita Felice, 2012; Senza il mio NOME, Campanotto Editore, 2015; Impermanenza, plaquette per le edizioni Pulcino Elefante, 2015.
Dal 2012 è tra i poeti invitati all’annuale rassegna FlussidiVersi sulla poesia mitteleuropea che la Regione Veneto promuove nella città di Caorle. Su invito dell’Associazione Scrittori Sloveni nell’aprile 2014 ha presentato a Lubiana L’essenziale curvatura del cielo e a Capodistria incontrato gli studenti della Facoltà di Studi Umanistici dell’Università del Litorale per un dialogo sulla poesia e sul significato di essere poeti.
Predilige la diffusione della poesia in una dimensione multidisciplinare e all’interno di altre espressioni artistiche, quali pittura e fotografia: a giugno 2014 ha presentato a Castelfranco Veneto il lavoro poetico Della natura nostra sulle fotografie di viaggio di Imaire De Poli nell’evento “Di Terra e Arte” del Centro di Ricerca Artistica Immaginario Sonoro.
Cura per Samgha la rubrica “Porto sepolto”. [a.g.m]
Contatti: adrianagloriamarigo@gmail.com
Lapidarium , di Flaminia Cruciani
LETTI SULLA LUNA (5)
Lapidarium di Flaminia Cruciani
“vademecum” della rubrica Letti sulla luna:
L’intento è quello di incuriosire, e magari anche di spingere a compiere il passo ulteriore, piccolo ma significativo: approfondire, leggere altre cose, dire “sì mi piace”, oppure dire “Mugnaini non capisce niente, ha gusti da troglodita”.
Va bene tutto. Purché si metta in moto il meccanismo.Proporrò alcuni testi e qualche nota, nel senso musicale del termine, qualche breve accordo che possa dare un’impressione, un’atmosfera.
Se poi qualcuno, qualche essere semi-mitologico, volesse compiere anche il passo da gigante (quello alla Polifemo, o alla Armstrong sulla Luna, vera o presunta che sia) di acquistare una copia di uno dei suddetti libri… beh… allora il trionfo sarebbe assoluto e partirebbe la Marcia dell’Aida.
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Lapidarium di Flaminia Cruciani
nota di IM
“A volte le parole suonano vuote come monete false”: è questa una delle pietre scagliate da Flaminia Cruciani dalle pagine di questo suo libro. E non c’è contraddizione, non c’è incoerenza: le parole qui sono sincere. Scomode non per il gusto di farsi vedere, ma per la necessità di essere davvero quello che si è. Il volume è fatto di frasi brevi, fulminee, folgoranti. Anche questo mio commento si adeguerà, sia perché lo richiede la tipologia delle segnalazioni proposte in questa rubrica, sia perché preferisco lasciare spazio e voce alle parole della Cruciani, la cui forza e originalità emergono in modo immediato e spontaneo, senza necessità di sottolineature o indicazioni specifiche.
L’autrice spazia dalla dimensione personale a quella sociale, o meglio, a quella in cui l’individuo è parte di un sistema più ampio, non di rado strangolante e disumanizzante. Allora, senza isterie, senza roboanti quanto vani proclami, la poetessa si china, ma non piegarsi o inginocchiarsi, per raccogliere, piuttosto, quello che la terra offre in abbondanza, le pietre. Materiale con cui costruire ma anche armi estreme di difesa. Le scaglia, senza foga, potremmo dire senza scomporsi, restando elegantemente infuriata, divertita e dissacrante, adirata ma tranquilla, come chiunque sa di non avere niente da perdere, se non se stessa, la propria vera natura. Quella che, comunque, niente e nessuno potrà mai rubarle.
Quindi ogni lancio è ben ponderato e calibrato, la balistica è perfetta; è quella di una ragione che non pretende di avere ragione, di una follia conscia e contenta del suo sussistere e resistere dall’altra parte della barricata.
La sola solidarietà quindi è “Con quelli che si sentono sbagliati” e il desiderio è di “stare, bere, mangiare con loro”. La condivisione dell’umanità profonda, naturale, prima di tutte le sovrastrutture assurdamente imposte.
Lapidarium è un libro profondo che esalta la semplicità.
Un libro semplice di rara complessità. Non una sola frase è banale o lascia indifferenti.
Si può essere d’accordo o meno, si può reagire in modo empatico oppure trovarlo estraneo ed eccentrico, magari. Ma è quasi impossibile che lasci indifferente. La genuinità espressiva si unisce ad un’accuratezza nello scavo, nell’indagine che risulta vagliata da un occhio libero e acuto, disposto al gioco più impegnativo e rischioso: quello di mettersi in gioco, di gettare sul tavolo sporco della vita il proprio autentico sé, quello che si è davvero, ciò che si vuole e non si vuole, si ama e si odia.
Flaminia Cruciani fa tutto ciò con naturalezza profonda in questo libro atipico che ha già ricevuto ottime recensioni e segnalazioni su vari organi di stampa, oltre che sul web.
Io, parlandone qui ed ora, posso esprimere la mia personale empatia, il gusto di scoprire dietro ogni pietra un motivo per riflettere, per sorridere di questa imperfezione che è descritta senza pontificare, senza chiamarsi fuori; dicendo però, passo dopo passo, pagina dopo pagina, io sono qui e voi là. Vi ascolto ma non cambio, non mi lascio mutare dalla corrente imperante. Perché “Se ci mettiamo in ascolto l’invisibile ha molte cose da dirci.” “Come si può pensare di ingannare il fuoco puro?”.
Aggiungo solo, questo sì, che la lettura è consigliata. Lapidarium è un libro in cui ogni parola va schivata per poi lasciarsi colpire in pieno, in un dolore condiviso e nel riso di chi sopravvive, a dispetto di tutto, senza lasciarsi mutare. Condividendo lo stesso vento e la stessa materia, la libertà, la forza, il coraggio della schiettezza.
IM
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estratti da Lapidarium, puntoacapo editrice, 2015
La semplicità è difficile.
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Con quelli che si sentono sbagliati voglio stare,
bere, mangiare con loro.
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L’invisibile non va in vacanza.
*
I moralisti non sanno che il giudicare è il
pharmakon con cui curano la loro frustrazione.
*
Quelli che stanno male tutta la vita, tenendo in
scacco matto i congiunti, e non muoiono mai.
*
Procedo dritta alla vigna nel mio versetto di
fuoco.
*
Le parole curano, sono miracolose, creano.
*
L’amore e l’odio vivono dello stesso sguardo,
quando l’angelo custode si volge
precipita il demone.
*
Essere rapiti dai propri sogni.
*
Meglio un delirio d’onnipotenza che d’impotenza.
*
I rapporti di sangue sono un’aggravante.
*
Chi è capace di tutto pretende di convincere
con le stesse parole con le quali ha ingannato.
*
Amo il pensiero funambolico e spericolato.
*
Stanotte, fra un incubo e l’altro, ho sognato che
mangiavo un piatto che si chiamava avverbi di
mare…?!
*
Lasciami far parte delle disubbidienze, delle
cose fatte per voglia fuori dai cordami, delle
amate trasgressioni. Attesa, come una stella
cadente.
*
Dietro a una santa ostentazione si nasconde
sempre una donna del campo.
*
Le idee dentro di noi diventano marmo quando
la possibilità si posa.
*
Prendere una direzione significa guardare un
punto immaginario in cui non arrivare mai.
*
Fuori da chiese e da templi, lontano da dogmi e
da comandamenti ci sono cuori innamorati di
Dio.
*
Oggi esercizi d’invisibilità.
*
Contro la stupidità non ci sono né armi né
farmaci.
*
Brucio sospesa fra terra e cielo, la mia radice è
la cenere.
*
Non ho vuoti di memoria su chi ha provato a
pulirsi i piedi sulla mia vita.
*
Potremmo anche smetterla di fare i doppiatori
di noi stessi. Che ne dite?
*
La ragione è il baluardo di chi viaggia a poppa
della vita.
*
Se ci mettiamo in ascolto l’invisibile ha molte
cose da dirci.
*
Come si può pensare di ingannare il fuoco
puro?
*
L’enfasi è l’apparato di note a margine di un
testo inesistente.
*
Mi dice “ho sbagliato”: no, tu sei sbagliato!
*
Il tempo dell’attesa non è un tempo dignitoso.
*
Quando lo Shaykh di Tell Mardikh,
preoccupato che a trent’anni non fossi ancora
sposata, mi chiedeva “Flaminia, quando ti
sposi?”, rispondevo “la fretta viene dal
diavolo!”
*
Il destino è la scusa di chi vuole mettersi in
pantofole in poltrona.
*
La gentilezza è una sentenza di vita.
*
La volontà esteticamente fondata spalanca il
cielo.
*
Ogni potere deve essere legittimato.
L’ignoranza è il funerale dell’anima.
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recensione di Pierangela Rossi
<Amo il pensiero funambolico e spericolato>; <Contro la stupidità non ci sono né armi né farmaci>; <Brucio sospesa tra terra e cielo, la mia radice è la cenere>; <Se ci mettiamo in ascolto l’invisibile ha molte cose da dirci>.; <L’enfasi è l’apparato di note a margine di un testo inesistente>; <A volte le parole suonano vuote come monete false>; <E’ più facile cullare un drago che incontrare persone gentili>; <La realtà è un irrequieto susseguirsi di avvenimenti intermittenti>; <Ci sono fili che legano le ali dismesse>. <La poesia è una formula magica>;
<Anghelos è giunto / le ali ritagliano il profilo di Dio / porta una notizia / annunzia che il vento ha girato>; <Tuona di corallo il tuo sguardo>; <Oggi sono stata al mercato delle nuvole>; <La vita ricomincia da capo in ogni istante>; <Nello studio dove lavoro il mio capo è Dio>; <La voce è il numero civico dell’anima>.
Sono solo alcuni dei numerosi fulminanti aforismi o sintesi di poesia di <Lapidarium> (con la prefazione di Tomaso Kemeny) agile ma prezioso libro <lapidario> che la giovane poetessa Flaminia Cruciani (romana, lunghi studi archeologici e iconografici complicatissimi alle spalle) ha incuneato tra la poesia orfica di <Sorso di notte potabile> (LietoColle, 2008) e l’imminente <Semiotica del male>, in uscita da Campanotto. Esponente del movimento mitomodernista, è tra le ideatrici del Grand Tour Poetico e della Freccia della Poesia. E quel che scrive, pratica: è persona gentilissima.
Ci dice Flaminia Cruciani: <Lapidarium nasce come una risposta alla banalizzazione del pensiero omologato, al torpore della nostra società anestetizzata dalla tecnologia e dalla televisione, in questo eccesso di delega alla tecnica che ha modificato anche la nostra possibilità dell’esperienza estetica. È una denuncia su un mondo che ha dimenticato l’uomo, dove l’uomo si colloca sullo sfondo. Dove i valori non negoziabili sono stati negoziati. la dignità umana è stata disgiunta dall’idea di valore, di legge universale. Si scaglia contro le scelte abusive e dissennate delle grandi potenze che hanno sostituito il fine dell’uomo e della sua dignità con il denaro e la logica economico-strumentale. In cui il denaro da mezzo è diventato fine, e l’uomo da fine è diventato mezzo>.
Tra poco, con l’uscita di <Semiotica del male>, affronterà i demoni del nostro tempo, anche in poesia: chiosa Kemeny nella prefazione: <Flaminia Cruciani respinge con ira ed eroismo il richiamo del tripudio eudemonico, pare chiaro come il soggetto metamorfico della scrittura preferisca morire piuttosto che vivere come un comune mortale>.
Speriamo che Flaminia, come del resto accade in molti punti di <Lapidarium>, conservi, nella sua complessa ricerca poetica, quell’ equilibrio che umanamente sembra evidente lei possegga, negli strati più alla luce e anche più profondi del suo sentire. Equilibrio, lei sottolinea, funambolico in un mondo malato.
Flaminia Cruciani
Lapidarium
Pagine 52. Euro 10
Puntoacapo editore
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recensione di Gianluca Conte
pubblicata su http://glucaconte.blogspot.it/2016/03/lapidarium-di-flaminia-cruciani.html
«La realtà è un’allucinazione condivisa» (p.7). Potrebbe bastare questo fulminante incipit, questa brevissima e temibile isagoge, per costruire un intero edificio filosofico-letterario su Lapidarium di Flaminia Cruciani, puntoacapo Editrice, 2015. Sospeso tra lo status dell’aforisma e quello della prosa poetica, il libello della Cruciani affonda stilettate di sana e corrosiva ironia nel ventre molle dell’uomo d’oggi, coadiuvato da un’attenta analisi/sintesi di questa nostra contingente condizione antropica, pregna di un fiacco, invertebrato individualismo sociale. Se per un pensatore imprescindibile come Schopenhauer il mondo non era nient’altro che una rappresentazione e il noumeno kantiano, la “cosa in sé”, diventava l’inconsapevole, eterna, unica e cieca volontà di vivere, avvolgendo di un pessimismo pressoché irriducibile l’umana stirpe in saecula saeculorum, l’“allucinazione condivisa” della Cruciani cerca di squarciare la grande illusione, l’infinito, sterminato velo di Maya rappresentato dal nostro sonno della ragione. Le parole-rasoi cruciane sembrano indicare un sentiero di liberazione dalle convenzioni, dai convincimenti comuni e allineati, infine dal non-pensiero post industriale e post boom economico, che ci vorrebbe omologati, seriali: «Con quelli che si sentono sbagliati voglio stare, bere, mangiare con loro» (p.9). Così, se le vie della salvezza schopenhaueriane erano l’arte, la morale e l’ascesi, l’autrice sembra suggerire una via forse più facile da individuare ma molto difficile da percorrere, quella del risveglio, soprattutto in senso intellettuale: «Lasciami far parte delle disubbidienze, delle cose fatte per voglia fuori dai cordami, delle amate trasgressioni. Attesa, come una stella cadente» (p.13). Ed è proprio in quelle “cose fatte per voglia fuori dai cordami” che ha sede, a nostro avviso, l’issue del frangente temporale odierno, in cui la stragrande maggioranza dei pensieri e delle azioni è eterodiretta o quantomeno condizionata. Già Marcuse, molti anni orsono, metteva in guardia dai bisogni indotti e ingannatori, creati a tavolino al solo scopo di schiavizzare l’uomo, di renderlo succube di quel superfluo che per Pasolini rendeva superflua la vita. Prima di loro Marx aveva individuato, sulla scia di Feuerbach, il processo di alienazione – l’estraniarsi della coscienza e dell’uomo da sé – e la dipendenza dell’individuo da quell’aura di misticismo che circondava gli oggetti, i prodotti (feticismo delle merci): cose che l’uomo pur producendo febbrilmente, in realtà non possedeva. Il medium cruciano, lo psicopompo che funge da soggetto/oggetto di una trasmigrazione dalla reificazione dell’umano alla Poesia, dal torpore al risveglio, è la parola, entità generante, donatrice di vita e, per certi versi, preziosa panacea: «Le parole curano, sono miracolose, creano» (p. 10). Ma in un mondo doppio, equivoco, dove lo spettro dell’apparenza è sempre in agguato, anche le parole possono rivelarsi bugiarde «A volte le parole suonano vuote come monete false» (p. 20). È questo il contrasto dell’ambivalenza insito in ogni essere, in ogni organismo, anche nella più elementare particella dell’universo. Tuttavia, nonostante la causticità e le bordate impietose indirizzate ai tanti buffoni di corte, l’autrice non declina il suo sentire nella mera invettiva ma, stigmatizzando l’unidimensionalità dell’individuo, sembra teorizzare una nuova Philía, riservata ai soggetti che si riconoscono nella differenza, nella lateralità: «Prendere una direzione significa guardare un punto immaginario in cui non arrivare mai» (p. 14); «Se ci mettiamo in ascolto l’invisibile ha molte cose da dirci» (p. 17) e ancora: «La vita ricomincia da capo in ogni istante» (p. 43). Le parole della Cruciani, dense di suggestioni psico-foniche, appaionoverba dai richiami rizomatici, che a tratti ci ricordano il tentativo di rovesciamento dell’espressione dicotomica universale dell’“Io-Altro” deleuziano, compongono uno zodiaco di segni topici, di parole solide: làpis è, ad un tempo, pietra e matrice del segno e, in quanto tale, dinamicamente dura. Lapidarium è un vortice poetico, una spirale di “stelle danzanti” che sembra opporsi a tutto ciò che Nietzsche apostrofava come décadent, come l’immobilismo e il fatalismo dell’uomo contemporaneo: «Le cose accadono se noi le strappiamo al destino» (p. 48).
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Flaminia Cruciani – note biografiche
Romana, si ė laureata in Archeologia e storia dell’arte del Vicino Oriente antico, presso Sapienza Università di Roma sotto la guida del Prof. Matthiae. Ha poi conseguito il titolo di Dottore di Ricerca in Archeologia Orientale nella stessa università per poi perfezionare i suoi studi con un Master di II livello in “Architettura per l’Archeologia – Archeologia per l’Architettura” per la valorizzazione del patrimonio culturale. Per lunghi anni ha partecipato alle annuali campagne di scavo in Siria, in qualità di membro della “Missione archeologica italiana a Ebla”. Ha poi conseguito una seconda laurea in “Storia dell’arte”. Ha tenuto annualmente corsi nella cattedra di “Assiriologia”, presso Sapienza Università di Roma, sul rapporto fra l’iconografia e i testi nella tradizione mesopotamica. Si è specializzata inoltre in Discipline Analogiche, attraverso lo studio dell’Ipnosi Dinamica, della Comunicazione Analogica non Verbale e della Filosofia Analogica, conseguendo il titolo di Analogista, pratica una professione di aiuto per la lettura e la decodifica delle dinamiche emozionali profonde. Ha inoltre inventato il “Noli me tangere®”, uno strumento fondato sul potere evocativo delle immagini in grado di favorire il processo di individuazione della persona. Nel 2008 ha pubblicato Sorso di Notte Potabile, ed. LietoColle. Del 2008 è Dentro, ed. Pulcinoelefante. Nel 2013 ha pubblicato Frammenti, ed. Pulcinoelefante e nel 2015 Lapidarium, ed. Puntoacapo, con la prefazione di Tomaso Kemeny. Semiotica del male è uscito nel 2016, ed. Campanotto. Suoi testi letterari sono presenti in numerose antologie italiane e straniere. Ricordiamo la recente 42 voci per la pace ed. Nomos.
Suoi testi poetici sono stati tradotti in inglese, coreano, rumeno e spagnolo. È stata selezionata fra i giovani poeti italiani contemporanei per il Bombardeo de Poemas sobre Milán, opera del collettivo cileno Casagrande. È tra i fondatori e gli ideatori del Grand Tour Poetico e della Freccia della Poesia.