brina maurer

Sito e blog Dedalus – rubrica A TU PER TU

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Nel 2020 le visualizzazioni sia del blog Dedalus che del mio sito sono molto cresciute.

(Almeno una cosa buona gliela devo riconoscere a quell’anno tanto “amato”)

Molto bene è andata anche la rubrica A TU PER TU. Ringrazio gli autori intervistati.

Se qualche altra autrice o qualche altro autore volesse parlare della sua attività o di un suo libro in particolare, mi contatti a questo indirizzo: ivanomugnaini@gmail.com

Screenshot_2021-01-04 Presentazione rubrica A TU PER TU - Ivano Mugnaini

A TU PER TU – Brina Maurer

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A TU PER TU

UNA RETE DI VOCI

A TU PER TU ospita oggi Claudia Manuela Turco alias Brina Maurer, poeta, romanziere e diarista, biografa e critico letterario.
Al di là delle qualifiche, sarà interessante, anche in questo caso, cogliere le peculiarità, le specifiche caratteristiche, le passioni, le lotte, le battaglie, le prese di posizioni, coraggiose, sincere, non solo in ambito letterario.
Quindi anche stavolta invito volentieri i “dedalonauti” alla lettura integrale dell’intervista da cui, in modo esplicito e tra le righe, emergono alcuni tratti intensamente rivelatori degli autori e delle loro opere, che poi sono un tutt’uno.
Buona lettura, IM

L’obiettivo della rubrica A TU PER TU, rinnovata in un quest’epoca di contagi e di necessari riadattamenti di modi, tempi e relazioni, è, appunto, quella di costruire una rete, un insieme di nodi su cui fare leva, per attraversare la sensazione di vuoto impalpabile ritrovando punti di appoggio, sostegno, dialogo e scambio. Rivolgerò ad alcune autrici ed alcuni autori, del mondo letterario e non solo, italiani e di altre nazioni, un numero limitato di domande, il più possibile dirette ed essenziali, in tutte le accezioni del termine. Le domande permetteranno a ciascuna e a ciascuno di presentare se stessi e i cardini, gli snodi del proprio modo di essere e di fare arte: il proprio lavoro e ciò che lo nutre e lo ispira. Saranno volta per volta le stesse domande. Le risposte di artisti con background differenti e diversi stili e approcci, consentiranno, tramite analogie e contrasti, di avere un quadro il più possibile ampio e vario individuando i punti di appoggio di quella rete di voci, di volti e di espressioni a cui si è fatto cenno e a cui è ispirata questa rubrica.

VOCABOLARI E ALTRI VOCABOLARI_COP

5 domande

a

Brina Maurer

 

1 ) Il mio benvenuto, innanzitutto.

Puoi fornire un tuo breve “autoritratto” in forma di parole ai lettori di Dedalus?

  • Ti ringrazio per l’invito e per l’ospitalità.

Mi chiamo Claudia Manuela Turco, ma da diversi anni ormai mi sono impossessata del nome di un personaggio da me inventato per un romanzo – Brina Maurer  -, dopo aver riflettuto a lungo su nomi di poeti, scrittori, attori, artisti e protagonisti di libri o film che mi piacevano. Adottando un nome d’arte, volevo prendere distacco dalla mia vita reale, o meglio, crearmi una seconda vita. C’erano pure problemi di omonimia, tra l’altro.

Il nome “Manuela” (senza la E iniziale) mi piaceva, ma non ero certa che fosse davvero mio. Infatti, da un certo momento in avanti sembrò che mio padre se ne fosse scordato al momento dell’iscrizione all’anagrafe. Il mio secondo nome ricomparve soltanto quando mi trasferii nel 2000 a Torino. “Claudia”, invece, non mi piaceva. Forse perché era stato scelto il nome “Claudio” nel caso fossi stata un maschio, e “Manuela”, se femmina. Alla fine, però, fu deciso che fossi “Manuela” ma soprattutto “Claudia”: nomen omen. Un nome importante nella nostra tradizione, penso alla gens Claudia, ma soprattutto alla parola “claudicante”. Scherzando, amo dire di essere “un autore Rizzoli”… essendo ortopedia una delle mie “passioni”!

La scelta del nome “Brina” è stata del tutto istintiva, soprattutto mi pareva sposarsi bene con

“Maurer”, un cognome abbastanza famigliare nella mia terra, il Friuli, e avendo sempre gradito come suona il cognome “Marler”, a un certo punto per me fu naturale ideare questo personaggio e, in un secondo momento, adottare questo pseudonimo. Inoltre, adoro la lettera erre (morde, mi ricorda il vetro che si infrange e taglia, è una lettera particolare, penso al rotacismo, alla sua importanza, per esempio, nella lingua latina… e un altro cerchio si chiude con Appio Claudio Cieco…) e “Brina Maurer” ne contiene ben tre.

Solo di recente ho scoperto che “Maurer” significa “muratore” in tedesco (proprio grazie a un tuo articolo, pubblicato sulla rivista “Il sarto di Ulm”). L’avevo sostituito al cognome “Turco” anche a causa del rapporto piuttosto conflittuale con mio padre. Ma alla fine mi sono ritrovata con un “cognome d’arte” che significa proprio quello che mio padre faceva per vivere!

Ho cercato a lungo di tenere separata la sfera creativa da quella privata e dal mio essere donna. Volevo scrivere opere che potessero far pensare a una voce maschile, come nel caso di Architetture Poesie Tridimensionali. E volevo una parola pura, pulita, che mi proteggesse dalla realtà. Per un certo periodo provai a destinare la poesia alla “bella parola” e la prosa allo squallore del mondo. Ma non funzionò a lungo.

Tra me e gli altri ho sempre avvertito la presenza di uno iato, come di una invisibile e sottile lastra di vetro. Per descrivermi brevemente, potrei usare parole di Luce d’Eramo: Io sono un’aliena.

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Il Centauro esiste

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Il Centauro esiste: la poesia di Claudia Manuela Turco, tra immaginario e reale

Le parole con cui veniamo accolti sulla soglia d’ingresso di questo libro sono un’indicazione spaziale, le coordinate di un luogo, “Nella Vallata dei Mughetti”, e una dedica in lingua inglese “A Mughy, Lily of the Valley, from glen to glen”. È un esordio adeguato, lo si capisce leggendo il libro ma anche pensando ad altri lavori di Claudia Manuela Turco, alias Brina Maurer. Dire (e dirsi) che, a dispetto di tutto, esiste ancora in qualche luogo del mondo e del tempo una simile Vallata, non vuol dire chiamarsi fuori dagli slings and arrows of outrageous fortune, per dirla in modo amleticamente sintetico, né cercare un’Arcadia tanto bella quanto improbabile. Piuttosto, come una tenace Alice, significa sapere guardare al di là di tutti gli specchi, i trucchi, gli enigmi, gli inganni, i conigli e i cappellai, per cercare ancora lo stupore di ciò che è semplice e naturale, la meraviglia, immensa, che a volte è racchiusa nelle piccole cose.

Il titolo del libro, Il Centauro malato, è, di per sé, un segnale che non solo indica una strada ma conferisce il sapore e la sostanza di ciò che troveremo lungo il cammino. Mitologia, fantasia, immaginazione, ma anche realtà, dolore, e, dall’interazione di tutti gli elementi, la tenacia di volere scrivere di sé, tramite una poesia che si estende nell’arco di una vita intera. Il sottotitolo del libro è secco e sintetico: “Poesie 1998-2010”. Una parola e due cifre. Scorrono via in un fiato o con uno sguardo. Ma se si scrutano bene, danno il senso di un rapporto ininterrotto con il proprio fare ed essere poesia. Ossia tra l’immedesimazione costante e schietta, senza infingimenti, tra il proprio mondo e il mondo esterno, visto, percepito e registrato tramite lo strumento della parola.

Si inizia con una silloge scritta lo scorso millennio, nel 1999, quando imperava non solo il terrore dei bug in grado di bloccare i computer ma anche di qualcosa che fermasse qualcosa di ben più ampio, l’esistenza stessa del genere umano. Una paura atavica, eppure presente. Si inizia, quindi, e forse non è un caso, con una fine. Una fine potenziale, una sorta di bacillo del pensiero, una paura globale, diffusa come un contagio, una malattia. Ma la danza degli ossimori è tempistica e altrettanto puntuale. Il titolo della prima Sezione (o silloge) è “Frecce di luce”. Una possente, vitalistica sinestesia. Linguistica e tematica. La vita, nonostante tutto, sfreccia oltre, supera i confini, anche dei millenni. E, poiché nulla sembra casuale in questo libro e nelle tessere che ne compongono il mosaico, le prime parole sono una sorta di chiave ulteriore, per il passaggio specifico e per il volume nel suo insieme: “La scienza può spiegare il meccanismo che regola la natura/ ma non il fascino che essa emana”. Poco oltre, al lato opposto della stessa pagina, versi che, nell’atto di negare l’assunto, in realtà lo confermano, o confermandolo lo negano, aggiungendo una nota umanissima, schietta e rivelatrice: “Sorprendimi cuore/ lascia che io erri./ Non temo i tuoi tetri misteri”. Leggi il seguito di questo post »

Rame e cioccolato

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Una mia lettura del romanzo Rame e cioccolato – Alzheimer e memorie del cuore di Brina Maurer.  La recensione è stata pubblicata da Literary.it, a questo link:

http://www.literary.it/dati/literary/M/mugnaini/rame_e_cioccolato.html

IM

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Un prudente racconto di fatti estranei al proprio mondo o protetti da robusti filtri è tutto sommato agevole. Diverso è il discorso quando si sente di volere o dovere raccontare qualcosa che davvero scava nel profondo. Ci si avventura in terreni pericolosi, in tal caso. Il rischio è scivolare nel patetico, o, peggio ancora, in cliché abusati, corrosi dal tempo e dall’uso. Brina Maurer è conscia di questo rischio ma si inoltra da sempre in quei terreni, restando immune, evitando l’insidia, rimanendo se stessa, coerente con il proprio modo di essere, di sentire e di raccontare.

La protegge l’autenticità, la necessità sincera che sente e trasmette di parlare delle condizioni più fragili, più bistrattate, più scomode, quelle di fronte a cui spesso si chiudono gli occhi per evitare di dover aprire il cuore. Parlare di dolore, di emarginazione sociale e mentale, per alcuni è uno svago, uno sport, un modo per farsi belli con le pene altrui. La Maurer, senza strafare, senza effetti speciali da sceneggiata alla Mario Merola, senza colpi di scena eclatanti e mirabolanti intrecci, parla del lato in ombra delle vita, delle zone in cui si osserva, si percepisce, si respira “il male di vivere”.

L’utilizzo della prima persona è un primo passo verso l’immediatezza. Non un resoconto astratto di scene viste ma un racconto di vite vissute. E il plurale non è casuale: in primo luogo perché è duplice già in partenza il rapporto tra l’esistenza reale e quella narrata, ma, in maniera non secondaria, per la volontà dell’autrice di far sì che una vicenda individuale possa anche farsi specchio di altre strade e altri destini. «Mi assaliva il terrore. Ancora una volta. Come quando ero bambina e poi ragazza. Non riuscivo più a vedere con chiarezza. Troppi erano i traumi, i tagli che l’anima aveva subito, le toppe che rammentavano i buchi nascosti, le nubi di amianto che opacizzavano il cielo, le combustioni degli organi interni, del cuore, del cervello. Ero Serena, la figlia unica di sempre, quella su cui ricadeva tutto, nel bene e nel male», osserva.

Il tempo passato, l’infanzia e l’adolescenza, in realtà non trascorrono mai, non sono mai distanti, collocati in un altrove innocuo, a tenuta stagna. Sono sempre presenti, sono dentro noi, sono noi. Il terrore rimane lo stesso, solo trasformato da escamotage, trucchi, cerone, abili finzioni. Ma i traumi restano, così come i nodi mai sciolti, quelli che lentamente ma inesorabilmente ci soffocano. Le due componenti che avvitandosi l’una all’altra formano il cappio sono citate nel brano del libro riportato qui sopra. Vengono poste una a fianco all’altra, parallele e contrapposte: il cuore e il cervello. Se funzionassero di pari passo, tutto filerebbe liscio, serenamente armonico. In realtà accade molto di rado.

Accade, a volte, quando si trova il coraggio di osare, di provare a essere davvero ciò che si è, a dispetto di tutto, perfino di noi, delle maschere che abbiamo messo sul volto, sperando in una protezione che invece si rivela corrosione, annichilimento progressivo. Assieme a questo, per rendere possibile questo piacere dell’onestà che comporta enorme sforzo e grande dolore, serve un colpo di vento, uno scarto del destino. Uno degli aspetti più interessanti e di maggior rilievo di questo romanzo è la sottolineatura, concreta, controcorrente, che a volte un evento di per sé negativo può portare con sé effetti inattesi, nuovi terreni di dialogo, di consapevolezza, potremmo dire di “agnizione”, facendo sì che finalmente due personaggi, anzi, due persone, si incontrino davvero, si riconoscano nella loro identità autentica.

«Stavo male moralmente, mentalmente e fisicamente (l’ansia stava impossessandosi anche del mio corpo), eppure una vocina ogni tanto si insinuava chiedendomi: “E se tuo padre si fosse ripreso proprio perché ha rivisto te?”. Pensare al bene degli altri è necessario, ma tutti abbiamo dei limiti e non si può fare troppa violenza su se stessi. Potevo davvero resistere? Ero veramente diventata più forte, capace di farmi rispettare? Ma soprattutto avevo rispetto, a trentotto anni, finalmente per me stessa?». In queste frasi del libro (e non è un caso che siano espresse in forma di domanda) sono contenute le coordinate fondamentali, l’evoluzione, i mutamenti di orizzonte, le nuove sfide imposte dalla sorte. L’accadimento determinante è la malattia del padre. Correlato ad esso, il primo passo verso la nuova direzione: il rivedersi, che diventa vedersi davvero, fragili, quasi diafani. Il cambiamento impone la reazione; e qui, come spesso accade nella vita, il gioco è serissimo e aspro. L’affetto può essere una sfida, un peso, una violenza. Il più normale dei sentimenti, l’amore verso il padre, impone una ricollocazione del modo di essere e di sentire sedimentato dentro per anni. La domanda di fondo riguarda i limiti. Può un essere normale, privo del dono della santità, trasformarsi e riforgiare il proprio modo di essere? È possibile pensare al bene degli altri senza fare del male a noi stessi? Donare gesti e parole vivificanti senza uccidere i propri ricordi, il bene e il male accumulati nel tempo fino al punto in cui sono diventati carne e respiro? Non è facile. Non è possibile senza pagare uno scotto. Nelle pagine di questo romanzo si ragiona su questo, si riflette accuratamente, mentre la vita quotidiana scorre con i suoi piccoli e grandi eventi, se valga la pena pagare il prezzo di essere umani, a dispetto di tutto, perfino del dolore.

«Veniamo al mondo da soli e moriamo da soli, indipendentemente dal fatto che ci sia o non ci sia qualcuno fisicamente accanto a noi, a gioire o a piangere per la nostra venuta o per la nostra dipartita o sofferenza, nelle varie fasi altalenanti dell’esistere». Questa frase del libro ricorda, per assonanza, Joseph Conrad, il mistero del Cuore di tenebra. Ma, tra le righe, nelle pieghe delle parole, è nascosto un bagliore. Se non la soluzione, almeno un percorso, la possibilità di dirigersi altrove: piangere per la sofferenza altrui, nelle fasi altalenanti dell’esistere. Il mutamento si verifica, in modo emblematico, nel momento in cui, affermando l’assoluta solitudine dell’individuo, si riconosce che c’è la possibilità della com-passione, la sofferenza condivisa, e con essa la gioia, la tenacia, la volontà di dare, a dispetto di tutto.

«Il presente è la sola dimensione temporale che veramente ci appartiene. Si dice che l’uomo occidentale sprechi quasi tutta la sua vita a pensare al futuro, a quello che ancora non è riuscito a fare, non apprezzando le mete già raggiunte, i traguardi faticosamente conquistati e magari fino a poco prima ritenuti impossibili», annota la protagonista. Questo libro è, anche, un tentativo di smentire questa tendenza a vivere distanti dal presente, quindi dalla vita che davvero conta, dall’istante che fa di noi quello che davvero siamo. Ci viene raccontato, o meglio mostrato, pagina dopo pagina, che i gesti normali sono i più importanti: preparare e portare una colazione, chiedere come stai, accertarsi che la persona che si ha accanto abbia mangiato, che possa stare meglio possibile, nei limiti di quanto ci è concesso.

Anche l’ironia può essere utile, toglie peso al male, sdrammatizza, rende la pena meno solenne e ineluttabile. L’ironia, tra pensieri e riflessioni, slanci, arrabbiature, corse e rincorse, è una delle armi della protagonista, Serena (nome adeguato e ossimorico allo stesso tempo) e, tramite lei, dell’autrice.

«Inorridisco se penso che per quasi trent’anni non ho avuto una vita veramente mia! Cosa ne sarebbe stato di me, se non avessi avuto i cani e il talento artistico? Sono stati i miei fratelli e sorelle pelosi a educare il mio cuore, ad aprirmi gli occhi sulle meraviglie del creato, a dare un senso al mio cercarmi». Accanto all’ironia, adeguata a loro, appresa anche dal loro comportamento, uno dei Leitmotif più cari a Brina Maurer: l’amore assoluto per il mondo degli animali. Mai accessorio, mai posto a fianco a quello degli umani, ma, al contrario, parte integrante della volontà e possibilità non solo di comprendere il senso della vita ma anche di assaporarla appieno. Nella trama specifica di questo romanzo, l’amore condiviso per i cani sarà il fulcro, la leva che consente il recupero del rapporto tra padre e figlia. Attraverso lo sguardo e la presenza di un cane gli occhi tornano a guardarsi, uscendo da antichi egoismi, barriere e trincee erette a separare caratteri, difetti, vizi, manie, imperfezioni. Nello specchio degli occhi di un cane, l’autrice vede se stessa e suo padre. Guarda e finalmente si lascia guardare. «Anche se non mi sono mai considerata figlia unica, perché i cani sono sempre stati i miei fratelli, non posso fare a meno di domandarmi se, ai tempi di Villa Viola, almeno qualche volta mio padre abbia riconosciuto la sua unica figlia di umana stirpe».

Il recupero del rapporto tuttavia è presentato in modo maturo, onesto, lontano da soluzioni miracolistiche da fiaba della buona notte. Il mondo era imperfetto e tale rimane, l’alcol e il cemento continuano a contrastare il rame e il cioccolato. Gli echi letterari si intravedono in controluce, appena rilevabili, ma in grado di dare sostanza a una vicenda del tutto originale. Si sente l’eco della Lettera al padre di Kafka, de La coscienza di Zeno, di Con gli occhi chiusi di Federigo Tozzi. Qui tuttavia i gesti più semplici riescono a fare la differenza: «Serena dagli animali aveva imparato tanto e con umiltà. Gli angeli con la coda erano stati i soli responsabili della sua educazione sentimentale. Eppure, proprio a quel padre tanto odiato, ella doveva quanto aveva di più caro e prezioso: l’amore per i cani, senza il quale nemmeno la passione per lo studio e per l’arte avrebbe avuto alcun significato». La chiave, forse, è in queste parole: l’umiltà che è innata negli animali per gli uomini è cammino aspro, meta che conduce ad una nuova consapevolezza, ad un modo differente di relazionarsi con il mondo, con gli altri, con noi stessi. Il gesto finale del libro è a sorpresa, una maniera simbolica e concreta allo stesso tempo di legare il proprio affetto, tutto il bene e il male, il rapporto ritrovato con una figura chiave dell’esistenza, all’amore assoluto per i cani, nello specifico per un cane. In tal modo tutto, la vita e perfino la morte che della vita fa parte, assumono una dimensione. Il senso, se esiste, è nella cosciente incoscienza del vivere seguendo istinto e passione: «Fu allora che potei nascondere all’interno della sua giacca due sacchetti contenenti i resti di Amina (li avevo fatti riesumare per farli cremare pochi giorni prima, sapendo che mio padre si stava spegnendo). Così nessuna legge, né nessun dio, poté frapporsi tra loro, nemmeno nell’aldilà».

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 Claudia Manuela Turco (Brina Maurer), è nata a Codroipo il 15 dicembre 1970. Poeta, romanziere, biografa e critico letterario, vive nella campagna friulana.
Il 22 febbraio 1996 ha conseguito, a pieni voti, la laurea in Conservazione dei Beni Culturali presso l’Università di Udine. Da Margherita Azzi Visentini ha ereditato l’interesse per la Storia dei Giardini, da Guido Zucconi quello per l’Urbanistica e l’Architettura Contemporanea. Innamoratasi di Alfieri durante le lezioni di Clemente Mazzotta, attratta dalle eccezioni e dalle minoranze, scrive combattuta tra due fuochi: Vittorio dalle labbra verdi e Lord Byron.
Ha frequentato alcuni corsi di perfezionamento per insegnanti e di alta cultura presso l’Università di Udine e la Fondazione Giorgio Cini di Venezia ottenendo una borsa di studio, ha lavorato in un ufficio farmaceutico e in alcune gallerie d’arte. Il 22 marzo 2001 a Torino ha sposato il poeta Marco Baiotto.
CMT/BM ha collaborato con “Il Convivio” (ideando una traccia di manifesto letterario in forma di decalogo) e con molte altre riviste e siti Internet, scrivendo recensioni e approfondimenti critici (complessivamente circa 200 contributi, prevalentemente su autori italiani contemporanei ma anche su autori classici come Carducci e stranieri come Hŏ Kyun); in qualità di collaboratore redazionale del periodico “Literary” è diventata giornalista pubblicista ed è rimasta iscritta all’albo del Friuli Venezia Giulia per diversi anni.
Ella elabora progetti di ricerca letteraria volti a una originale provocazione della modernità. Costanti della sua poetica: il voler dar Voce a chi la cui Vita non gli appartiene, l’umanità degli animali (suo primo ed eterno amore, i cani), l’animalità dell’uomo, la dimensione di solitudine e malattia cui è condannato il diverso tra i diversi.
Il 25 giugno 2007 ha adottato Glenn, protagonista di un ciclo narrativo che supera le 1600 pagine, e il 1° agosto 2011 il cagnolino Mughetto, al quale ha dedicato un diario in forma di epistolario.
CMT/BM ha scritto più di 20 libri ed è presente nell’Atlante Letterario Italiano – Le biografie (Libraria Padovana Editrice) e nell’antologia on line Italian Poetry curata da Mondadori, Einaudi, Aragno e Biblioteca dei Leoni (www.italian-poetry.org: “Claudia Manuela Turco”).
Sue poesie sono state tradotte in inglese americano e greco moderno.

Esiti del Premio Nazionale di Poesia “Astrolabio” 2014

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verbale Astrolabio 2014

PREMIO NAZIONALE DI POESIA

“ASTROLABIO 2014”

In memoria di Renata Giambene

6° edizione del Terzo Millennio

Presieduto e diretto da Valeria Serofilli

Verbale di Giuria

PRIMA SEZIONE: VOLUME EDITO DI POESIA (34 partecipanti)

In Giuria, presieduta da Valeria Serofilli, Presidente del premio,

Ivano Mugnaini, Andrea Salvini, Antonio Spagnuolo

1° Classificato

Dieter Schlesak e Vivetta Valacca, La luce dell’anima, Edizioni ETS, Pisa 2011

2° Classificato

Grazia Di Lisio, Un asciugar di tempo, Edizioni Noubs, Chieti 2014

3° Classificato

Paolo Pistoletti, Legni, Giuliano Ladolfi Editore, Borgomanero (No) 2014

Sezione specifica a tema

Omaggio a Mario Luzi

Cristiana Vettori, Agenda 2014 – Arte e Pensiero, Edizioni Helicon, Fano (PU) 2013

Premio Speciale per l’originalità del testo

Evaristo Seghetta Andreoli, I semi del poeta, Edizioni Polistampa, Firenze 2013

Premio Speciale

Per la forza espressiva del volume

Brina Maurer (pseudonimo di Claudia Manuela Turco), Architectures (three-dimensional poems), Gradiva Publications, Stony Brook, New York 2013

Premio Speciale del Presidente della Giuria

 Lella De Marchi, Stati d’amnesia, LietoColle Edizioni, Faloppio (Co), 2013

Premio della Giuria

Luana Fabiano, Respiri violati, puntoacapo Editrice, Pasturana (AL) 2014

Finalisti in ordine di graduatoria

1° Evaristo Seghetta Andreoli, I semi del poeta, Edizioni Polistampa, Firenze 2013

2° Luigi Cannillo, Galleria del vento (poesie), La Vita Felice Editrice, Milano 2014

3° Sandro Pecchiari, Le svelte radici, Samuele Editore, Fanna (PN), 2013

4° Carla Spinella, Il canto dell’assenza, Leonida Edizioni, Rende (CS), 2013

5° Anna Magnavacca, Oltre la siepe di sambuco e altre poesie, Guerra Edizioni, 2012

Menzione Speciale in ordine di graduatoria

1° Giancarlo Remorini, Il canto dei cigni, Editorial Nazari, 2014

2° Matteo Casale, Studi Op. 3, Campanotto Editore, Pasian di Prato (Udine) 2014

3° Giuliana Piroso, Trasparenze, Libroitaliano, Ragusa 2007

4° Emidio Montini, Non un grido fra le palme, L’Arcolaio Editore, Segrate (Mi) 2013

5° Veronica Manghesi, Il mio mare all’improvviso, MdS Editore, Gorgonzola (MI) 2014

SECONDA SEZIONE: SILLOGE INEDITA

In Giuria, presieduta da Valeria Serofilli, Mauro Ferrari, Ivano Mugnaini, Andrea Salvini

1° Paolo Sangiovanni, Una voce ci chiama

2° Dante Goffetti, Unghie e altre storie di donne

3° Lorenzo Piccirillo, (Niente) Da ridere

Sezione specifica a tema

Maria Adelaide Petrillo, Sotto l’ombrello di foglie intrecciate

Premio Speciale del Presidente della Giuria

Franco Casadei, I luoghi dell’anima

Premio Speciale per l’originalità del tema

Giulio Maffii, Pater Fanghiglia

Premio Speciale della Giuria

Lella De Marchi, Bambina che conta

Finalisti in ordine di graduatoria

1° Donato Loscalzo, In ogni caso

2° Nicola Curzi, Scale anti-incendio

3°  Maristella Bonomo, Senso di blu

4° Fabia Ghenzovich, Totem

5° Serenella Menichetti, La geometria dei frattali

6° Michele Paoletti, Come se fosse giovedì

TERZA SEZIONE: POESIA SINGOLA

In Giuria, presieduta da Valeria Serofilli, Giulio Panzani

1°  Michele Paoletti, Accidentale lo sparo nella nebbia

2° Stefano Zangheri, Fuori contesto

3° Valentina Sanmartino, Sussurri

3° ex aequo Isabella Horn, Raggi e gironi

Premio Speciale per la forza espressiva

Maria Cristina Coppini, Varco

Premio Speciale per l’originalità del tema

Luciana Vasile, Non penso mai all’aldilà

Premio Speciale alla Memoria

Rosario Battaglia, Gela che ridi

Sezione Specifica a tema

Omaggio a Mario Luzi

Egizia Venturi, Torna, se puoi

 Omaggio a Pisa e alla posa della prima pietra della Cattedrale

1° Afra Marangoni, Omaggio alla Cattedrale

2 Sara Costanzo, L’attesa

Maria D’Ippolito, Primavera a Pisa

Premio Speciale per la Sezione specifica a tema Lorenza Corsini Cattedrale

QUARTA SEZIONE: FIABA INEDITA E STORIE PER RAGAZZI INEDITE

1° Achille Concerto, Sogno nel regno di Oz

2° Paolo Stefanini, Nerino e le cose vere

3° Giorgia Spurio, C’era una volta Sami

Sezione Specifica: Omaggio Galileiano

Pietro Rainero, La caduta dell’orso, del gatto e del topo

Premio Speciale per l’originalità del tema

Giampietro Filippi, La lunga, lunga storia di Carbo, Ossi e Geno

Premio Speciale per la forza espressiva

Maria Adelaide Petrillo, Sono nata in un castello

La Cerimonia di Premiazione si svolgerà il 17 gennaio 2015  presso la Sala del Palazzo del Consiglio dei Dodici in Piazza dei Cavalieri a Pisa.

Gli occhi del cane

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Gli occhi del cane

Ci sono romanzi che richiamano l’attenzione tramite generosi sfoggi di cinismo e violenza, sbraitando. Ce se sono altri che sfidano il lettore in modo opposto: con la consapevolezza della persistenza dell’umanità. Quella sensazione indefinita percepita in certi istanti di commozione, coesistenza di fragilità e forza. Quell’umanità che ci fa comodo scordare, preferendo perfezioni da spot pubblicitario o algidi menefreghismi cotonati che ci fanno anche da casco protettivo integrale nei confronti dei sentimenti, quelli veri, quelli ingombranti, imbarazzanti, non liquidabili con uno slogan o una battuta in romanesco stile Sordi riproposto da Bonolis. Il rischio di chi scrive di amore vero, profondo, per uomini o animali o per qualsiasi altro essere, pensiero, ideale, è quello di essere relegati nel settore mentale delle favolette o di essere archiviati con un sorriso di disprezzo, come a dire, ti rispetto, ma il libro Cuore è dell’800 e per quel poco che mi ricordo mi ha schifato. Viste tali premesse, si salva solamente, e ci salva, il cuore che sa mostrarsi nudo , vero da fare schifo, poi paura, poi riflessione, poi scoperta, poi sfida, gioco serissimo, a nascondino, con la speranza di perdere.
Questo libro di Claudia Manuela Turco alias Brina Maurer fa parte della categoria dei romanzi scritti in punta di penna, sussurrati con una dolcezza penetrante, come per farti il dono, ingombrante, di quell’umanità che si era certi di avere archiviato con cura. L’intento dell’autrice, ed è questo uno dei punti di forza del libro, non è quello di mostrare la sua bontà o quella del cane protagonista della vicenda narrata, non pretende di essere canonizzata o di osservare occhi spalancati e vedere inserite le gesta del cane nel Guinness dei Primati. Pretende solo di condividere l’emozione di una vicenda realmente vissuta, percorsa passo dopo passo, con tenacia, cercando di danzare con lievità sul filo che unisce e separa il dolore e la speranza, il pianto e il riso.
La trama del romanzo, ricca di dettagli e di riferimenti precisi, racconta, in estrema sintesi, l’incontro tra un essere umano e un cane. Narra il modo in cui ciascuno salva la vita all’altro. L’ambientazione iniziale viene riassunta in modo sintetico e possente: “Ci sono luoghi ove una bestemmia vale una preghiera e una preghiera equivale a una bestemmia”. Un luogo circoscritto ma in realtà ampio, esteso fuori e dentro i domini del tempo e dell’uomo. La scintilla iniziale, determinante, è l’incontro tra la protagonista e il cane. La condivisione profonda è fatta di malattia, ma anche di volontà di vita. Il testo si muove in modo fluido tra favola e realtà. Ma è la seconda che prevale, con la forza di inglobare e di rendere affine a sé tutto quell’insieme di esplorazioni di mondi possibili che l’autrice propone con verve. Si passa dal diario al romanzo di avventura, al reportage dettagliato di ambienti e momenti del nostro tempo, per poi tornare sempre a quella che, in fondo, è una storia d’amore tra due esseri “predestinati dalla notte dei tempi”. Si finisce per crederci davvero, ci si concede la pena e il lusso di crederci. Utile, in questo contesto, è il riferimento a dettagli concreti, la nuda verità, nuda e cruda come i resoconti medici e le cartelle cliniche della protagonista, proposte sovente come brani di prosa che assume la nitidezza tagliente e ritmata di una poesia verista, anzi vera: “osteotomia con callo, antiversione annullata, elettroterapia, deambulazione ancora incerta”.
Se il silenzio rende il mondo irreale, la parola ha il potere di rendere reale la speranza. La voce narrante propone un accurato romanzo di formazione, la famiglia, gli studi, le ferite fisiche e morali ma anche lo sguardo diretto oltre, verso un altrove, un altro luogo possibile. L’adozione del cane che genererà gradualmente la salvezza della protagonista ha toni dickensiani. Come David Copperfield o Oliver Twist si passa dalla sofferenza che appare priva di sbocco al recupero della serenità. La lingua di terra su cui si muove l’autrice è stretta, sottile: da un lato c’è l’abisso della retorica dall’altro il vuoto inconsistente di una storia priva di sostanza e di un valore che vada al di là della singola vicenda descritta. Brina Maurer riesce a procedere diritta e a passo costante, grazie alla sincerità dell’ispirazione. Non pretende facili consensi e non aspira ad applausi di maniera. Si percepisce che ciò che racconta le sta realmente a cuore e di conseguenza quando scrive che ogni organo del corpo del suo amato cane si era spento tranne il cuore, le si può credere, si può ricevere la sua emozione senza erigere barriere di distacco protettivo.
Il libro mostra, senza pretendere di dimostrare, che alcuni riescono a salvarsi la vita ripartendo dalle piccole cose. Il dolore fa precipitare al grado zero, all’annientamento di ogni prospettiva. Da quel momento, l’alternativa è tra un crollo definitivo e una risalita, lenta, graduale. Con un linguaggio nitido e ben ritmato, ricco anche di una forma tenace di ironia, l’autrice ci indica in modo concreto il valore di ogni gesto, il riso e il pianto, la rinascita a dispetto del destino.
Imparare dagli occhi e dai gesti di un animale, nello specifico di un cane, il valore di ogni oggetto, ogni sapore percepito, ogni istante vissuto, è il succo, il senso profondo di questo libro. L’argomento è stato trattato molte volte, in ambito letterario e cinematografico, vengono in mente tra gli altri i lavori di lavori di Kipling, Jack London, Virginia Woolf. Per riuscire a esprimersi in modo originale lasciando un’impronta autonoma era necessario assimilare questi modelli per poi metabolizzarli lasciando emergere l’esperienza personale, l’emozione individuale. La straordinarietà di una vicenda è resa credibile dal fondamentale ampio e accurato resoconto della normalità dei giorni, delle azioni. Una incontro che cambia una vita si concretizza nell’istante in cui la cognizione del dolore confluisce nell’alveo di un amore altrettanto costante e possente.
La sfida per il lettore è quella di venire a patti con una vicenda fatta di sentimenti che impongono un coinvolgimento non di maniera. Il beneficio è quello di poter accogliere in sé una storia non patetica, senza pesanti tirate moralistiche, senza la certezza della ragione, ma con il gusto del racconto, l’evoluzione di una vicenda biografica, il passaggio da uno stato di crisi ad una soluzione, o almeno, alla capacità di non smettere di cercare uno spiraglio, una via, una forma di resistenza e di esistenza degne di tale nome. Come indicano le parole conclusive del romanzo: “La pura luce era salva. La donnacane e il canedonna avevano trovato la loro dimensione”. Il dono, di non poco conto, consiste nella possibilità di non considerare fuori luogo l’aggettivo “pura”. Accoglierlo, magari per un istante, osservando la copertina del libro, gli occhi del cane e quella specie di sorriso che genera una domanda e un’ipotesi di risposta.

http://www.edizioniilciliegio.com/scheda-libro/claudia-manuela-turco/glenn-amatissimo-9788897783954-127553.html

Qui di seguito il link del Premio Letterario Lord Glenn:

http://concorsiletterari.it/concorso,3092,Premio%20Letterario%20Lord%20Glenn

L’acquisto di Glenn amatissimo dà diritto a partecipare gratuitamente al Premio Letterario “Lord Glenn” (in giuria anche Lucia Gaddo Zanovello (http://it.wikipedia.org/wiki/Lucia_Gaddo_Zanovello).