recensioni

Tutte le cose che chiudono gli occhi

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Facendo un’operazione di sintesi estrema, leggendo il materiale che ho ricevuto da Annalisa Ciampalini mi soffermerei su alcune parole, tratte dalla nota personale dell’autrice e dalla recensione di Giancarlo Sissa. L’autrice, parlando del suo libro, osserva: “sentivo che un succedersi troppo veloce e prevedibile degli eventi mi impediva di viverli pienamente, di riconoscerli, di ascoltarli, di averne cura”. Avere cura degli eventi è un’espressione che sfugge agli schemi. In genere ci si preoccupa di affrontarli, gli eventi, di ottimizzarli, di organizzarli e mille altre azioni pratiche e utilitaristiche. Annalisa Ciampalini si ripropone di ascoltarli e riconoscerli. Gli eventi come persone. Forse perché ogni accadimento, ogni attimo che viviamo, ogni passo che percorriamo e che ci percorre, è fatto del pensiero di persone, presenti o assenti, fragili ed effimere e allo stesso tempo assolutamente indelebili.
C’è in questo libro della Ciampalini una sincerità che traspare. Non c’è sfoggio né volontà di stupire. C’è una necessità vera di avere cura per potere ricevere cura. Dagli altri, ma anche dai fatti della vita, dal bene e dal male, dagli occhi dolci e da quelli feroci, dalle cose, dai passi sull’erba ma anche sul fango, sulle rocce, sui rovi.
Alle parole della Ciampalini fa eco adeguata la nota critica di Sissa, anch’essa da leggere nella sua totalità, nella sua struttura completa, organica. Tenendo fede alla promessa della sintesi, propongo, tra i tanti passaggi interessanti della recensione, questo estratto:
 “La stanza condivisa, secondo la definizione di Annalisa: «il luogo dove più luoghi coincidono, stanza di comunità, stanze d’aspetto di reparti difficili, ospizi, talora anche un’aula di scuola », ipotesi insomma comunitaria, ipotesi d’amore e di pietas partecipata, esposta e raccolta al tempo stesso, restituita al mondo e ai suoi soggetti secondo una grammatica anche spirituale ma inedita, da scoprire, da imparare, da far propria con la dovuta attenzione («Ci vollero giorni per capire i compiti che ci erano stati assegnati.») perché l’attenzione all’altro – e a se stessi – esclude ogni infingimento e impone regole severe, atte a testimoniare:
Nessuno di noi
può sostare nei pressi della parete più esposta.
Oltre quel muro
risiedono i malati veri
coloro che per le continue febbri
disertano le lezioni mattutine.
Le menti illuminate
che fissano un punto fuori campo
e colgono nel segno.
In questo brano, seguito da alcuni versi di Annalisa, Sissa individua “ipotesi d’amore e di pietas partecipata”. L’utilizzo della parola “ipotesi” ci conduce su un terreno simile a quello precedentemente accennato. Non ci sono certezze, non c’è un sentiero asfaltato su cui avanzare baldanzosi. L’amore è una scommessa. Non di rado persa. Così come altrettanto di sovente gli eventi di cui cerchiamo di avere cura ci strangolano senza neppure concederci una parola ulteriore. Eppure, ed è qui il percorso che combacia con la meta, esiste quella pietas, quell’atteggiamento difficile da definire e da inquadrare in termini logici, razionali. Forse, la direzione da seguire è quella dello sguardo dei malati veri, dei fragili, dei non integrati né integrabili. Gli occhi che fissano un punto fuori campo e colgono nel segno.
Potrebbe non essere casuale, allora, il titolo del libro, Tutte le cose che chiudono gli occhi. Non è escluso che per avere cura, per ricevere cura, per giungere alla pietas autentica, davvero condivisa, gli occhi si debbano chiudere invece che spalancare. Oppure, ma un’ipotesi non esclude l’altra, che si debba essere fragili, al punto di farsi buio, cecità quasi letale, per potere cogliere il riflesso autentico della luce, quello che, a tratti, risana anche il corpo.

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INCERTO CONFINE

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È uscita ieri su “Carteggi letterari”, portale di cui sono redattore assieme ad un gruppo affiatato di amici, una mia recensione al libro di Stefano Vitale illustrato da Albertina Bollati.
La ripropongo volentieri anche qui, nel mio sito e nel blog. Perché è un libro che si legge e si guarda volentieri. Perché parla del fatto che chi costruisce muri spesso si ritrova tra le mani (e tra i denti) un boomerang. Perché mi ha fatto pensare a Kant e all’Orchestra della RAI e mi ha fatto ripensare ad un mio anziano vicino che si arrabbiava perché a suo dire i passanti rubavano la musica del suo stereo. Perchè è un libro di impegno civile ma con il dono calviniano della leggerezza e della consistenza. IM

 

http://www.carteggiletterari.it/redazione/natalia-castaldi/contatti/

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Incerto Confine, Edizioni disegnodiverso, 2019
di Stefano Vitale, illustrazioni di Albertina Bollati
Viviamo un’epoca di incertezza. È sempre stato così. L’uomo è autolesionista per eccellenza, lassista verso se stesso e spietato nei confronti dei propri simili. “False–hearted judges dying in the webs that they spin / Only a matter of time ‘til night comes steppin‘ in”, canta Bob Dylan con un giro inesorabile di note. Sì, restiamo impigliati nelle ragnatele che noi stessi tessiamo. E la notte fa il suo ingresso, puntuale. Lo fa ora, lo ha sempre fatto, e lo farà. Oppure, meglio ancora, si può ricorrere alle parole di Einstein, alla sua osservazione oggettiva: “L’uomo ha inventato la bomba atomica, ma nessun topo al mondo costruirebbe una trappola per topi”. Di bombe per far saltare in aria la terra che ci nutre e la convivenza civile ne abbiamo ideate e realizzate numerose, nel corso dei secoli. Siamo stati genialmente creativi nell’inventare espedienti per distruggere e annientare, generando occasioni di conflitto. Una di queste mirabili trovate sono i confini geografici. Tra stato e stato, spesso tra regione e regione, a volte tra villaggio e villaggio. Delimitazioni puramente fittizie, politiche, ideologiche, non giustificate da nessuna ripartizione effettiva, geografica o antropologica. Dall’incontro tra i due termini sopra citati, l’incertezza e il conflitto, ha origine il titolo del libro e la vasta gamma di risvolti, fertilmente complessi, che ne deriva.
​All’incertezza si può rispondere in vari modi. Alcuni tentano di farlo proponendo certezze grevi, strumentali o di maniera. Alla fine hanno effetti ancora più deleteri. Abbozzi di chiavi rafforzano ancora di più le mura della galera, parafrasando un noto verso di Eliot. Altri si affidano invece all’atteggiamento opposto: una leggerezza ricca di sostanza, di tenacia, di fiducia (al di là di tutto) in quello sprazzo di luce e di colore che contrasta l’acciaio e il piombo. Questi sprazzi possono anche essere tangibili. È possibile aprirli, guardarli, sfogliarli. Sono di carta, ma, ce lo insegnano gli orientali, con la carta si possono costruire oggetti estremamente solidi, in grado di resistere all’acqua, al vento, al tempo.
​Parlando di Incerto confine, una delle parole chiave non può che essere “oggetto”. Un vocabolo nobile. Grazie agli oggetti ci nutriamo, ci spostiamo, attraversiamo colli e pianure e compiamo mille altre azioni che fanno parte di noi, costituiscono ciò che davvero siamo, al di là di mille maschere, antiche e contemporanee. Il libro nato dal connubio tra Stefano Vitale e Albertina Bollati, è, prima di ogni altra considerazione, un bell’oggetto. Questa potrebbe sembrare una considerazione secondaria, avulsa dalle caratteristiche e dalle valutazioni letterarie eartistiche. Io credo invece che non sia così. Nel caso specifico di questo volume (e non solo) ritengo invece che l’aspetto “esteriore” si intersechi al contenuto, lo integri, lo determini, o meglio dia luogo ad un’interazione costante di segni e di suggestionisu cui si innesta un ulteriore livello, quello della “ricezione”, la cooperazione del lettore che legge, vede, osserva, agisce, a livello estetico e semantico, razionalmente o in chiave onirica e immaginifica.

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On the other side of the moon – Cronache di estinzioni

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Nel weekend lo spettacolo della Luna piena della Neve - Tiscali Ambiente

On the other side of the moon

Osservazioni e note di viaggio

su

Cronache di estinzioni

di Lucetta Frisa

Cronache di estinzioni. Si intitola così il libro che vi propongo oggi in questo spazio riservato alle segnalazioni di libri, spesso atipici (per loro merito e nostra fortuna) che ho letto con piacere. Questa rubrica di segnalazioni si chiama “Letti sulla luna”, e, nel caso specifico di questo libro, il luogo in cui idealmente sfogliamo le pagine appare quanto mai adeguato.

Ci siamo estinti, ci dice l’autrice, Lucetta Frisa. Più che una previsione per il futuro, la cronaca è un commento in fieri, se non addirittura un resoconto di eventi che già hanno avuto luogo. Ma immaginiamolo come il commento di una partita. Un match tra la bellezza del mondo e la stupidità umana. Anzi, potremmo sintetizzarla in questo modo: in diretta dallo stadio Azteca, il Peggio dell’Atletico Sapiens Sapiens contro il Resto del Bello del Mondo.

Questo non è tuttavia, è bene chiarirlo, solo un resoconto di eventi catastrofici, disastri ecologici e altre esiziali amenità. È un libro in cui l’autrice si chiede, e ci chiede, se abbia senso continuare ad essere come siamo e a vivere come viviamo.

Una domanda da un milione di dollari, o di talleri, a seconda delle epoche, in quanto è su questo interrogativo che si gioca da sempre il senso del fare poesia. Piera Mattei in una recensione al libro apparsa su “Perigeion” ha scritto: «Cronache di estinzioni è la raccolta poetica di Lucetta Frisa che più ho amato». Al di là delle classifiche, concordo anch’io sul fatto che questo libro abbia concesso a Lucetta di esprimere al meglio la gamma dei temi, dei modi e degli sguardi su sé stessa e sulla vita che le sono cari e consoni.

Ho incontrato Lucetta Frisa in varie occasioni. L’impressione dominante è una solarità assoluta e una grande capacità di dialogo, in grado di mettere a proprio agio perfino i timidi più ostinati. Eppure, nella sua tendenza alla giovialità c’è una parte della mente e del cuore che osserva e annota. Collocata on the other side of the moon, nella parte più silenziosa dei luoghi e dei tempi, la Lucetta cronista estrae il taccuino e scrive. Si appunta gesti, azioni, comportamenti e soprattutto il materiale di base, il combustibile che può accendere un falò nel buio ma anche generare tragicomici incendi: le parole.

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ESSERE GLI ALTRI – la parola, il gesto, lo sguardo

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Alessandra Corbetta, Essere gli altri, LietoColle edizioni, Faloppio, 2017

Potessi io/ essere il prato,/ non il tremore/ di questo filo derbaÈ questa l’epigrafe che si incontra nel libro di Alessandra Corbetta. È giusto, e direi necessario, accogliere questa voce e questo sguardo, questo approccio che è anche un biglietto da visita, un modo per dire sono questo, sento questo adesso, e forse sempre e da sempre. Le parole scelte da Alessandra e poste all’ingresso del suo mondo sono di Umberto Fiori e sono tratte dal libro Voi. La prima riflessione, anzi la prima sensazione che nasce, è quasi una rilevazione, una tracciatura, un fare il punto delle coordinate visive e mentali: gli occhi sono rivolti verso gli altri, verso realtà esterne. Una rarità, nel panorama della scrittura e anche della vita. Ma non è così semplice, e la bellezza della generosa semplicità si arricchisce di risvolti che diventano di per sé densi di filosofia e psicologia. Si pensa agli altri e si parla degli altri, anche in questo libro, partendo dall’io e a esso ritornando, in un’ineluttabile ring composition. Si parte da quel potessi io che infrange il silenzio e risuona netto, possente, sussurrato e roboante. Per poter essere gli altri bisogna in primo luogo essere se stessi, sapere incontrarsi e confrontarsi con le proprie radici, le corse e gli inciampi, le verità dette e quelle taciute, il volo e la paura. Alessandra Corbetta compie il tragitto con intensa leggerezza. Osa essere lineare e sincera. Mette davanti ai suoi e ai nostri occhi il coraggio di stupirsi ancora, con uno sguardo maturo e bambino, il gioco e la ferita, la caduta e la tenacia del rialzarsi e del ricominciare. In tal modo, scevra da orpelli e schermi, può guardare ed essere vista senza che nessuno sia costretto a indossare una maschera ulteriore sulla maschera naturale di ciascuna persona (con l’etimologia ineluttabile di quest’ultima parola, maschera e poi individuo, che viene in qualche modo resa vivibile, se non sconfitta).

L’epigrafe di cui si è detto è preceduta solo dalla dedica A mia mamma, la primaforma di poesia che ho incontrato. Si ricollega al coraggio di dire le proprie emozioni, di renderle parole senza armatura, senza imbottitura protettiva di retorica. Alessandra mostra ciò che sente agli altri, come omaggio estremo, come invito impegnativo ad essere una cosa sola, a dare e a ricevere quell’emozione primigenia a cui l’evoluzione sociale, sofisticata e snaturante, ci ha disabituati. Ci viene chiesto di giocare a carte scoperte, come i bambini, come i matti, come chi non ha paura di dire sono un uomo, sono una donna, ho un cuore. In questo gioco in apparenza semplice è racchiusa la più grande delle sfide, non solo letteraria, non solo del linguaggio. Qui è situata la frontiera che non si sa oltrepassare se non si cammina con passo leggero e consistente, sapendo che ogni vocabolo davvero sincero lascia una traccia e scava dentro. Leggi il seguito di questo post »

Come la vita. Caso, fortuna, destino da Pirandello a Woody Allen

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Come la vita.

Caso, fortuna, destino da Pirandello a Woody Allen 

Basterebbe il titolo di questo libro per interessare, attrarre, incuriosire. Gli ingredienti di partenza sono ottimi, e sono stati messi insieme, plasmati, amalgamati con cura, passione, competenza. Ne deriva un libro (lasciando da parte la scia delle metafore gastronomiche ma conservando il gusto dell’assaggio e di una lenta e accurata degustazione) assolutamente gradevole dalla prima all’ultima pagina. Ricco di sostanza, documentato, con note accurate e precise ma mai pedante, ridondante o macchinoso.

Ciò non significa che il libro non abbia un approccio assolutamente rigoroso e “scientifico”. Tutt’altro. L’apparato di dati, citazioni, rimandi e riferimenti intertestuali letterari e cinematografici è vasto, accurato, nitido e ricco.

C’è semmai, in più, o accanto, o comunque legato da tutto questo materiale raccolto e catalogato, un elemento ulteriore, viene fatto di dire ancora una volta un ingrediente, un sapore inconfondibile: il gusto di chi lavora con passione su qualcosa e per qualcosa che ama e che gli è congeniale. Donatella Boni ha realizzato questo suo saggio come un romanziere elabora e dà corpo ad una storia che gli sta a cuore: con sudore sempre accompagnato dal sorriso, quello di un collezionista che ha tra le mani l’oggetto del suo desiderio e della sua attenzione. Sa che vi vorrà enorme pazienza e moltissimo tempo a collocare ogni tassello nella giusta posizione. Ma mentre lo fa ha un volto radioso e quel sorriso, quell’ammirazione per i pensieri registrati in ogni pagina, per le riflessioni riportate e messe a confronto, traspare, viene trasmesso come per osmosi anche a chi legge, a chi esplora i mondi possibili e le argomentazione che il libro propone.

Tutto è ben catalogato, ordinato in capitoli e paragrafi come si sistemano nei cassetti oggetti a noi cari, trovati, cercati, incontrati lungo il cammino e conservati con cura nella memoria.

Come per la vita si adatta a vari tipi di lettori, ai neofiti e agli esperti. Non lascia per strada nessuno. Ciascuno, a seconda dei suoi gusti, delle letture, delle conoscenze, vi può trovare qualcosa di suo, confrontando la sua idea della sorte con la realtà che ha immaginato e vissuto, con la sorte individuale delle sue verità e dei suoi sogni.

Propongo qui di seguito il brano iniziale dell’Introduzione, alcuni brani e la scheda editoriale.

Sottolineando e confermando però che ogni pagina è interessante, contiene perle di citazioni su cui vale la pena riflettere mandandole a memoria. Possono servirci nelle varie circostanze del caso, della fortuna, del destino, tra rabbia e riso, disperazione e umorismo, nel dissidio ininterrotto tra il sognato e il cosiddetto “reale”.

Una cosa è certa: vale la pena cercare questo libro, leggerlo, tenerlo come utile e pregevole serbatoio di saggezze e insanie, materiale con cui erigere la sola certezza della vita, quella riguardante la linea di confine tra ragione e follia, caso e scelte esistenziali. Tanto esile, quella demarcazione, da apparire inconsistente se non del tutto inesistente. Saggiamente folle, come la vita. IM

* * * * * * *

La letteratura, come tutta l’arte, è la

confessione che la vita non basta.

(Fernando Pessoa)

Che fortuna, che sfortuna, era destino, il caso ha voluto, fatalità… chi di noi non ha esclamato queste parole, talora a sproposito? Fortuna, sfortuna, caso e destino in una attribuzione a volte immediata, a volte a posteriori, sono gli elementi che ordinano tutte le vite, quelle vere come quelle immaginarie.

È da qui che voglio iniziare: da come la mia idea di lavorare sulle costanti che compongono o scompongono qualunque avventura abbia sollecitato in amici e conoscenti il desiderio immediato e quasi compulsivo di dire la loro: “È un argomento interessante, pensa che proprio parlando di destino ti potrei raccontare quel che mi è capitato…”. Così ho compreso che non stavo solo scrivendo un saggio letterario, ma un regesto di possibilità diversamente concatenabili sull’esistenza, tratto non dalla vita, ma dalle opere di narrazione che la descrivono, alcune tanto avvincenti e ben costruite da essere, appunto, come la vita.

Personalmente ho sempre cercato nei libri risposte, spunti e suggestioni per meglio comprendere le esperienze della quotidianità. La narrativa è stata per me una specie di realtà virtuale, un luogo fantastico dove conoscere mondi diversi nel nostro stesso mondo, senza rischi se non quello di fare le ore piccole e di avere gli occhi rossi, immedesimandomi nell’uno o nell’altro personaggio. Ho spesso riflettuto sulla sottile alchimia tra caso, fortuna, destino e libera scelta nella vita delle persone, reali o inventate, argomento che da qualche tempo si è fatto più insistente nei miei pensieri e al quale dedico questo scritto.

Capitolo 1

VENTO, PIUME E CIOCCOLATINI:

DEFINIZIONI ED IMMAGINI

Ripugna allo spirito umano accettare la

propria esistenza dalle mani della sorte,

esser null’altro che il prodotto caduco di

circostanze alle quali nessun dio presieda,

soprattutto non egli stesso.

(Marguerite Yourcenar)

Ad elaborare una delle più celebri riflessioni sulle dinamiche tra fortuna e virtù fu senz’altro Niccolò Machiavelli. La questione è oggetto di diversi passi del Principe, trattato in cui si afferma che “Coloro e’ quali solamente per fortuna diventano di privati principi, con poca fatica diventano, ma con assai si mantengano” (Machiavelli, 1981: 32). Vale a dire che circostanze positive aiutano, ma la mutevole fortuna non garantisce il mantenimento dei risultati, fine per il quale è necessaria la virtù, definibile come energia, intelligenza, previdenza e capacità di volgere a proprio vantaggio gli eventi. Chi possiede queste doti non teme le avversità; gli ostacoli gli permettono anzi di mettere in luce e di utilizzare il proprio talento, come avvenne a Mosè, liberatore del suo popolo dalla schiavitù in Egitto: “Sanza quella occasione, la virtù dell’animo loro si sarebbe spenta, e sanza quella virtù la occasione sarebbe venuta invano” (Machiavelli, 1981: 29). Sembra tutto molto facile nel lucido disegno di Machiavelli, ma la sua parola non fu certo l’ultima e, dopo di lui, innumerevoli filosofi e scrittori si posero il medesimo problema.

Solo pochi integralisti affermano che tutto avvenga solo per caso o che, al contrario, tutto sia già scritto e non valga pertanto mai la pena di lottare. Si trova invece spesso chi, ispirandosi all’antico detto faber est suae quisque fortunae, sostiene il primato della volontà e dell’iniziativa personale, cadendo talvolta in inevitabili momenti di delusione e frustrazione nel vano tentativo di controllare, pianificare e schematizzare la vita. Tutti, in modo diverso, cercano una via per la felicità ed è tendenza comune quella di voler risalire ad una origine, ad una responsabilità per ciò che accade.

In sintesi mi pare suggestiva una riflessione di Jacopo Fo:

Cos’è la vita? Per quanto si possa studiare la realtà scientificamente è difficile che si giunga un giorno a svelare l’ultimo segreto: perché il mondo esiste? La risposta dovremo comunque cercarla altrove, nella nostra mente, nel nostro corpo o nel nostro cuore. Tutta la nostra vita è dominata da questo qualche cosa che fa crescere le maree e il ventre delle donne, combina incontri straordinari, salvataggi impossibili, tramonti e prodigi di ogni genere. Cosa fa riuscire le imprese impossibili? Cosa ispira gli artisti? Cosa fa nascere gli amori? Cosa rende possibile camminare sul fuoco, sopravvivere a una caduta dal sesto piano, mangiare un gelato? Chiamatelo Dio, Caso, Fortuna, Energia, Natura, Non Senso, Mistero. C’è comunque un’inspiegabile magia nell’universo. Capita, a volte di riuscire a sentirne la forza, la direzione. Intuire come si sta muovendo. Chiunque sia riuscito a realizzare un sogno sa che c’è un sottile legame tra il desiderio e la sua realizzazione.

1.3 Fortuna e sfortuna

Il termine serendipità indica “la capacità o fortuna di fare per caso inattese e felici scoperte (specialmente in campo scientifico) mentre si sta cercando altro”, tipicamente riassunta nella formula “si scava per piantare un albero e si trova un tesoro”. Senza alcun merito, quindi, si superano le proprie aspettative. Ha una connotazione generalmente positiva; è nota anche una definizione differente che si trova in un dialogo tra William Holden e Audrey Hepburn contenuto nel film Paris – When it Sizzles (Insieme a Parigi, 1964): “the ability to find pleasure, excitement and happiness in anything that occurs… No matter how unexpected”; in questa seconda definizione una parte di merito c’è, e riguarda l’atteggiamento personale di fronte agli eventi.

L’unione di caso e felicità si trova anche nella fortuna, mentre il corrispondente negativo è la sfortuna. Iniziamo ora a parlarne prendendo spunto da una affermazione dello psicologo Paolo Legrenzi, che ritengo esprima bene, pur non essendo particolarmente innovativa, un concetto fondamentale: Tendiamo a sottostimare il contributo del caso nella vita perché l’idea che molti eventi sfuggano al nostro controllo ci mette a disagio. Preferiamo cercare schemi e nessi causali, anche se inesistenti. E vogliamo un “colpevole”, perché ci aiuta a farcene una ragione. Così finiamo per prendercela con una fantomatica entità chiamata sfortuna su cui scaricare la responsabilità di disastri o sconfitte (Legrenzi, cit. in Cipolloni, 2015: 40).

Presso i latini il termine Fortuna, oltre ad indicare una dea bendata (quindi cieca) e a corrispondere ad un’ampia iconografia, era anche “vox media”, ovvero utile per riferirsi sia al bene che al male. Nel tempo è invece prevalsa l’idea di identificare con il termine fortuna una forza positiva, con la parola sfortuna un influsso negativo. Di derivazione classica è la sua “incostanza” (Cicerone la descrive con l’immagine di una ruota), ovvero il fatto di essere mutevole e variabile. A differenza del caso, che è neutro, la fortuna e la sfortuna ai nostri giorni sono quindi ben connotate e continuano ad avere molte caratteristiche tipiche e rituali dedicati.

La parola tedesca Glück e quella francese bonheur significano sia fortuna che felicità. È quindi fortunata è la circostanza che “porta bene” (l’etimo di “fortuna” è legato alla radice del verbo latino ferre, che significa appunto “portare”), anche se gli effetti si vedono a distanza di tempo ad esempio una grossa vincita al gioco può avere alla lunga esiti nefasti, come dire che il “colpo di fortuna” va poi gestito nel giusto modo o può condurre a conseguenze imponderabili.

5.2 L’incontro

In Les stratégies fatales Jean Baudrillard scrive che “Pour qu’il y ait hasard […] il faut qu’il y ait coïncidence, que deux séries se croisent, que deux événements, deux individus, deux particules se rencontrent” (Baudrillard, 1983: 162).

La parola “incontro” porta con sé l’idea di un movimento frontale in direzione di altri, di un dinamismo nello spazio; in questo paragrafo mi occuperò solo della modalità involontaria di questo evento, designando come “appuntamento” l’evento prestabilito (se ne parlerà successivamente, nell’ambito del destino). L’incontro così inteso, evidentemente, è frutto del caso e motore di avventure quasi imprescindibile fin dai tempi del romanzo picaresco, spesso con il cronotopo della strada. Parallelamente un personaggio restato completamente solo (come Henry Bemis in “Time Enough at Last”) faticherebbe a riempire lo spazio di un romanzo o la trama di un film; per superare questa impasse solitamente si inseriscono come interlocutori degli oggetti inanimati – il pallone Wilson per il naufrago nel film Cast Away (2000) – o si ricorre all’espediente del sogno. Nel film Gravity (2013) una astronauta è l’unica superstite di una passeggiata spaziale; rifugiatasi in una navicella guasta e decisa a suicidarsi durante una allucinazione dialoga con un ex compagno morto (una delle vittime della missione) che le dà il giusto suggerimento per salvarsi e per riconsiderare l’intera sua esistenza. A parte l’inizio, la visione suddetta ed un fallito contatto radio, questo film è una felice eccezione: ha una trama che tiene nonostante la presenza di una sola protagonista, alla quale si nega ogni incontro fino alla fine (nell’ultima scena, dopo un rocambolesco atterraggio,

la vediamo rialzarsi e camminare da sola su una spiaggia).

L’incontro e il caso è il titolo di un già menzionato saggio di Romano Luperini, nel quale ho trovato particolarmente interessante l’analisi della novella “Die Vollendung der Liebe” (“Il compimento dell’amore”, 1911) di Robert Musil: un viaggio in treno ed una esperienza di adulterio offrono ad una donna, in apparenza stabile ed innamorata del marito l’occasione per ritrovare degli aspetti di sé sepolti nel passato, per scoprire di non essere mai uscita dal flusso delle possibilità, sempre in agguato per sviare in modo inatteso un percorso che si crede destinato a durare per sempre.

“Perché ci sia il caso bisogna che ci sia coincidenza, che due serie si intersechino, che due eventi, due individui, due particelle si incontrino” (Baudrillard, 1984: 131).

Scheda editoriale

Ci sono tanti modi di raccontare: oralmente, per iscritto, nei film, nei serial televisivi, ma in tutte le narrazioni accade qualcosa, fatti che cambiano il corso degli avvenimenti: fortunati, sfortunati, casuali, predestinati. Questo saggio si concentra appunto su tali momenti che rappresentano le svolte, gli scambi, i crocevia del meccanismo narrativo e delle vicende dei personaggi. Come nella vita, alternative improvvise o meditate, conclamate o silenziose accendono e regolano le storie che più ci coinvolgono. “Quanti di noi in momenti di scelte che stavano ritenendo nodali non avrebbero voluto potersi almeno sdoppiare per vivere questa vita e quell’altra, usare quei (troppi o pochi) talenti di cui si sentivano dotati per fare questa o quella professione? Dividersi, segmentarsi per poi ritrovare l’altra parte di sé dopo trent’anni e sapere se è lei che ha fatto la scelta migliore o peggiore. Così dallo Spencer Brydon del jamesiano The Jolly Corner (1908) si può arrivare allo Ts’ui Pên del borgesiano El jardín de senderos que se bifurcan (1941), nel quale il dotto cinese scrive ossessivamente in un romanzo smisurato, labirintico, tutti i possibili sviluppi degli innumerevoli avvenimenti con cui l’eroe della sua narrazione è chiamato a confrontarsi. È forse questo, più che quello di Brydon alle prese con un suo singolo fantasma, il caso (o il destino?) dell’uomo del Novecento e più ancora di oggi, riflesso e smarrito nell’infinito caleidoscopio di consumi e avatar che Internet gli propone”. (dalla prefazione di Stefano Tani)

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Donatella Boni lavora all’Università di Verona. È autrice di Geografia del desiderio (Capri, La Conchiglia, 2003) e di Discorsi dell’altro mondo (Verona, Ombre Corte, 2009)

La barriera

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Una mia recensione al romanzo “La barriera”, uno scenario prossimo venturo che ci parla anche del nostro presente e delle gabbie da evitare.

Scritta  per il sito di Anita Likmeta e pubblicata in versione integrale a questo link: https://anita.tv/2017/07/31/la-barriera-il-romanzo-sull-inconsistenza-della-nostra-mente/

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“La barriera” il romanzo sull’inconsistenza della nostra mente.

Vins Gallico - Fabio Lucaferri, La barriera, Fandango, Roma, 2017

Il primo e decisivo passo compiuto da Vins Gallico e Fabio Lucaferri è l’umanizzazionefar capire che in questo libro non si parla di numeri, di statistiche, di esempi astratti e proiezioni su grafici teorici. Non si parla neppure di personaggi letterari. Si parla di uomini, esseri umani. In quest’ottica i dettagli, le minuzie, le caratteristiche in apparenza inconsistenti, le fragilità, i vizi, le manie, gli oroscopi, gli ascendenti, il gioco del calcio, i luoghi e le cose, contribuiscono a definire una persona, a fare da specchio, facendoci identificare per analogia o per contrasto, dando forma a un riflesso in cui possiamo e dobbiamo guardarci. Da queste infinite tessere differenti si delineano i contorni di un mosaico: il mondo così com’è. Sarebbe bello poter dire che è così solamente nella finzione, ma è proprio questo il nodo, la sfida e il senso di questa narrazione.

C’è una data precisa, il 2029. Indicata con chiarezza, su un’agenda ipotetica ma ineludibile. Una data che appare lontana, eppure conosciamo i ritmi e le cadenze del tempo: quel traguardo è a un passo. C’è la descrizione di un pianeta che è una polveriera, e un solo luogo ancora conserva una parvenza di ordine e vivibilità: il più ricco e potente d’Europa, la Germania. Si salva dal caos imperante, ma a quale prezzo? Cosa si è costretti a pagare in termini di libertà e dignità umana per avere protezione? Lo sfondo del romanzo è quello descritto in questo breve sunto, arricchito da intrecci ulteriori di vite e destini e dal vibrare di trame sotterranee, intrighi, astuzie e controastuzie, corruzione, scontri, fughe, ostacoli e macchinazioni di ogni genere. Mentre ci si muove rapidissimamente da un episodio all’altro, si assimila gradualmente, potremmo dire nel sudore della tensione e della rincorsa, il messaggio sottotraccia, la verità nascosta ad di là della barriera, anche narrativail futuro apocalittico descritto nel romanzo in gran parte lo stiamo già vivendo. Lo intravediamo, ci viene tatuato addosso una goccia alla volta, ogni volta che in televisione all’ora di cena assistiamo a quelle trasmissioni inesorabilmente mandate in onda ogni singolo giorno Ferragosto compreso. Quelle in cui ci dicono, scrivendolo a caratteri cubitali sullo schermo del piccolo-grande-fratello, che siamo minacciati, che verremo schiacciati e che ci ammazzeranno tutti se le porte, tutte quante, non le chiudiamo. Se non ci chiudiamo.

Vins Gallico - Fabio Lucaferri, La barriera, Fandango, Roma, 2017.

Vins Gallico – Fabio Lucaferri, La barriera, Fandango, Roma, 2017.

Per rendere questo senso di oppressione il romanzo adotta un ritmo che non lascia respiro: è la versione narrativa di un film d’avventura, con attraversamenti di terre desolate, città e confini, nuotate da campione olimpionico, corse di velocità e di resistenza, centometristi e mezzofondisti. Ma il vero protagonista, muto ed eloquentissimo, è lo sfondo: il mondo, il solo luogo che abbiamo, il giardino recintato a mo’ di gabbia.Il linguaggio è rapido, frenetico ma preciso. Nessuna frase è buttata là solo per fare conversazione, nessun dettaglio è meramente descrittivo. Tutto è finalizzato a fornirci i dati essenziali di un manuale di sopravvivenza, un docufilm girato a ritmi serrati in cui si mostrano mosse e contromosse, lo scontro tra le regole annichilenti del potere e la volontà di restare vivi. I diritti naturali nello scenario descritto non sono più garantiti, devono essere riconquistati in una corsa da maratoneta e il premio finale, i diamanti da salvare, sono la dignità e la libertà. Gli aguzzini qui sono molto meno appariscenti di quelli descritti nel film di John Schlesinger con Dustin Hoffmann eLaurence Olivier. Sono burocrati in apparenza scialbi, e questo li rende perfino più temibili. In questo romanzo si arriva a far sì che siano le vittime a dover anelare di essere marchiati. Il tatuaggio, l’identity matrix, è la meta per cui si è disposti a fare di tutto. Ci si getta da soli nella gabbia camuffata da luogo stabile e sicuro.

Si procede nel libro, guardandosi anche alle spalle: la Germania, il MuroSchindler’s ListLe Vite degli Altri e mille istantanee immagazzinate nella memoria riprendono vita e si intrecciano ad un futuro che è ipotesi più che plausibile e a un presente che è già dato di fatto vissuto. In un circolo che avvolge e soffoca: con la burocrazia che uccide la dignità senza neppure sporcarsi le mani. I capitoli del libro sono nomi di persona, luoghi e date. Quasi a confermare che ciò che ancora conta è l’equazione spazio-tempo, la possibilità di continuare a conservare la nostra identità a dispetto del mutare delle epoche e dei luoghi. O, meglio, saperla conservare lottando giorno dopo giorno per l’evoluzione, la sopravvivenza della specie autentica, quella specie umana che è costretta a difendere il proprio diritto alla diversità, al pensiero autonomo, alle scelte fondamentali, non ultime la sete di giustizia e di amore.

Moltissimi sono i riferimenti a situazioni che conosciamo bene e con cui interagiamo quotidianamente. Nel 2029 ci sarà ancora Facebook e ci saranno i tatuaggi, ma diventeranno macabre immagini di una gigantesca schedatura collettiva. Ci sarà ancora il sesso. Ma quello descritto nel libro è rapido e quasi incolore. La passione e la gioia sono al di là della barriera. Una delle sensazioni che le pagine trasmettono è che si potrà tornare ad assaporare tutto davvero fino in fondo solo quando la corsa per la sopravvivenza potrà essere interrotta. Coerentemente, nel libro c’è poco spazio per le divagazioni “liriche” e perfino per le pause descrittive. La solo poesia possibile nel contesto raffigurato è quella dei gesti, degli sguardi rapidi d’intesa, come quelli dei naufraghi, dei fuggiaschi. Come quelli delle spie, gli infiltrati in un mondo nemico. Le occhiate rapide di chi si riconosce affine ma non può fermarsi, per non destare attenzione.

La Germania del 2029 ha lineamenti in comune con quella nazista, ma anche con parenti insospettabili, la Calabria del secolo scorso e con lei il Meridione attuale e tutte le mafie di ogni genere e tipo, ad ogni latitudine.

Berlino è la scenografia ideale, per questa narrazione di impronta cinematografica, rapida, intensa. La Berlino di questo romanzo è una città senza cielo, riflessa nei colori scuri di un passato di ferro e di sangue, ma anche nei vetri lucidati a specchio dei palazzi altissimi e dell’arte solenne e geometrica che atterrisce e attrae, inglobando corpi e menti nelle sue strade e nelle immense periferie livide. La bellezza è cupa. Non è morta ma deve essere risvegliata. Nel momento in cui torneremo ad essere armonici, aperti e davvero liberi, ritroveremo anche le luci, i riflessi fascinosi del sole del nord.

Con abilità e in modo quasi subliminale vengono messi in atto parallelismi fondamentali. L’anno descritto si colloca a distanza di un secolo esatto da quello della grande crisi finanziaria, dal crollo di Wall Street e dell’economia globale. Il futuro è adesso e il passato è uno spettro che ancora si aggira nelle case, negli uffici, nelle officine. La Germania del 2029 ha lineamenti in comune con quella nazista, ma anche con parenti insospettabili, la Calabria del secolo scorso e con lei il Meridione attuale e tutte le mafie di ogni genere e tipo, ad ogni latitudine.

Leggendo questo libro si respira a fondo, si è coinvolti anche noi in una corsa vitale, nel senso letterale del termine. La posta in palio è la più preziosa, il nostro diritto a restare umani, con tutto il bene e il male che ciò comporta, con il libero arbitrio, la capacità di riconoscerci affini a chi è diverso da noi. La sfida è ardua, lo scopriamo pagina dopo pagina. L’unico spiraglio è quello offerto dal riferimento all’ideogramma orientale che esprime il concetto di “crisi” facendo riferimento simultaneamente all’idea di pericolo e a quella di opportunità. Ciò che viene descritto e collocato in un futuro prossimo è profezia che già sconfina nella realtà. La vicenda narrata ci prepara, ci invita a mantenere tonici i muscoli delle gambe e del cuore fin d’ora, anzi, proprio ora, nel presente su cui possiamo agire, mutando noi stessi, per poter guardare negli occhi il nostro volto in un volto altro, arrivato da qualche luogo del pianeta di fronte a una Barriera che esiste, ed esisterà, solo se avrà consistenza nella nostra mente.

L’inciampo – recensione

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L’inciampo – recensione

Propongo qui una mia nota di lettura al recente libro di Daniela Pericone.

Chi fosse interessato a inviarmi suoi testi, editi o inediti, per letture editoriali o recensioni, mi contatti a questo recapito :  ivanomugnaini@gmail.com

COPERTINA L'INCIAMPO

Daniela Pericone, L’inciampo, L’Arcolaio edizioni, Forlì, 2015, pagg. 90, € 11

Nota di lettura di Ivano Mugnaini

Inutilmente la vita mi rincorre
la gara è breve ma la fatica è doppia
a ogni tappa è mia la vittoria
il passo sempre di uno sbaglio avanti
.

Questi riportati qui sopra sono alcuni versi che ho scelto tra i più significativi, a mio avviso, della raccolta L’inciampo di Daniela Pericone. A dire il vero avrei dovuto citarne molti, alcuni sparsi e racchiusi in contesti apparentemente e forse volutamente transitori, come tappe di un percorso che conduce a bagliori di visioni tanto brevi quanto intensi.

Ci sono molte parole chiave, nei versi riportati: “vita, gara, fatica, passo, sbaglio”. Sembra fuori dei confini semantici, e per questo spicca, il termine “vittoria”.

L’esplorazione del terreno esistenziale è condotta con sguardo attento e acuto, disincantato, sapendo che ogni sorriso comporta la conquista non di rado penosa dei domini del tempo e dello spazio. Con la consapevolezza che ogni passo è, insieme, gioia e dolore, volo e inciampo.

Sapendo che forse il solo volo possibile è quello brevissimo, tragico, ironico, salvifico a suo modo, che separa e unisce il desiderio dell’aria e l’asprezza del terreno.

“Uno sbaglio avanti” è uno dei molti ed efficaci casi in cui il linguaggio viene plasmato per esigenze di sintesi e per creare un ponte tra la sintassi e il sentire più profondo, per andare oltre il senso immediato, esprimendo in una manciata di sillabe un mondo, un microcosmo, individualità tanto assoluta da diventare paradossalmente universale.

(La recensione completa è a questo link: http://www.ivanomugnaini.it/linciampo-recensione/ )

Destinazioni libri – intervista

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Destinazioni libri – intervista

Alcune osservazioni su tennis, surf, Internet, ma anche su libri, autori, esordi, personaggi, generi, gusti letterari e “Lo specchio di Leonardo”.
Una mia chiacchierata sulla scrittura con Alessandra Monaco del blog Destinazione Libri https://destinazionelibri.com/2016/06/22/ivano-mugnaini/

Chiacchierare con alcuni autori è davvero un piacere e immediatamente si abbattono quelle barriere che forse possono esserci per il “non ci siamo mai visti”, non ci conosciamo. Forse la passione per quello che si fa, porta immediatamente a rilassarsi e parlare come se davvero ci si conosce da parecchio tempo.
Un autore, Ivano, presentatomi da Annalaura, lei dal fiuto raffinato per i buoni libri. Anche questa volta ha colto in pieno l’essenza e il messaggio di questo autore.
Questa la nostra chiacchierata…
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Foto Recanati
Ciao Ivano, benvenuto nel nostro blog, Destinazione libri. Inizierei subito chiedendoti di raccontarci qualche cosa di te, chi sei nella vita di tutti i giorni, cosa fai oltre a scrivere?
Ciao a te Alessandra. Ti ringrazio per l’ospitalità in questo spazio riservato ai libri e ai lettori, specie rara e preziosa, più del panda, che ormai è salvo, per fortuna. I lettori in Italia sono un gruppo tenace ma non numerosissimo, al contrario. Almeno non numeroso quanto dovrebbero e potrebbero essere. Quindi gli spazi come il tuo creano delle riserve in cui la specie dei lettori si conserva, e, fattore ancora più importante, si moltiplica.
Per fare bella figura rispondendo alla tua prima domanda potrei millantare attività mirabolanti, scalatore estremo, paracadutista d’alta quota, esploratore di giungle vergini. Non è così: quando non scrivo… passo altro tempo al computer, per traduzioni, collaborazioni editoriali, articoli, recensioni, e anche per divertimento. Oppure vado al cinema, frequento i miei pochissimi ma buoni amici e pratico sport poco avventurosi e poco originali, calcio, calcetto, tennis (anche se quest’ultimo più che farlo lo guardo in televisione: vedo Federer, faccio un confronto sulle capacità tecniche, e mi dico che è meglio tornare al computer a scrivere).

Quanti libri hai pubblicato?
Ho pubblicato le raccolte di racconti LA CASA GIALLA e L’ALGEBRA DELLA VITA, i romanzi IL MIELE DEI SERVI e LIMBO MINORE e i libri di poesie CONTROTEMPO, INADEGUATO ALL’ETERNO e IL TEMPO SALVATO. Il mio racconto DESAPARECIDOS è stato pubblicato da Marsilio e il mio racconto UN’ALBA è stato pubblicato da Marcos Y Marcos. Di recente pubblicazione i miei romanzi IL SANGUE DEI SOGNI e LO SPECCHIO DI LEONARDO, di cui parliamo qui oggi.

Di cosa parla il tuo libro, Lo specchio di Leonardo?
Senza entrare troppo nei dettagli e nello specifico della trama per non rovinare la sorpresa a chi lo vorrà leggere, posso dire che Lo specchio di Leonardo si colloca in quello spazio che unisce realtà e immaginazione, passato e presente. La vita di Leonardo da Vinci è descritta seguendo riferimenti esatti, sia sul piano biografico che per la cronologia dei suoi più noti capolavori di artista e scienziato. Ma, a fianco di questi dati di fatto, sovrapposta e intrecciata, si innesta una trama che ha come perno la scoperta casuale di un sosia, una replica in carne ed ossa, fedele e perfetta, del genio fiorentino. Un “doppio”, identico a lui come aspetto esteriore ma diversissimo come mentalità, carattere e visione del mondo. Da qui il “folle volo”: l’idea dello scambio di persona e dell’inversione dei ruoli. È questa l’invenzione più estrema di Leonardo: lasciare al proprio sosia il suo ruolo di savio e docile artista al servizio dei potenti e dei ricchi mecenati e fuggire via, verso la vita vera, la sensualità autenticamente sfrenata e gli studi liberi ed eretici.
Con conseguenze importanti, avventure e disavventure, illusioni e delusioni che si dipanano passo passo fino alla sorpresa finale.

Come è nata l’idea di scrivere questo libro?
Lo spunto iniziale del romanzo è nato da un film-documentario, uno dei tanti dedicati a Leonardo da Vinci, alle sue scoperte, al suo inesauribile talento. Veniva mostrato alle prese con gli specchi da lui studiati a lungo per scopi scientifici e militari. Mi sono interrogato, in quell’istante, sul rapporto del genio con la sua immagine. Ho provato ad immaginare il divario tra ciò che appariva al mondo, la gloria e la fama, e ciò che sentiva dentro di sé. Ho pensato al contrasto tra i suoi veri desideri e ciò che era costretto a realizzare in qualità di persona soggetta alle ambizioni dei potenti del suo tempo, signori, notabili, politicanti e ricchi mecenati.

(L’intervista completa a questo link: http://www.ivanomugnaini.it/destinazioni-libri-intervista/ )

Letteratura Necessaria – Esistenze & Resistenze

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LETTERATURA NECESSARIA – ESISTENZE E RESISTENZE
 
AZIONE  N° 11
 
Domenica 22 Aprile ore 20.30
 
Modì Caffè
Via S. Giorgio 4
MANTOVA
 
 
reading letterario multimediale
 
con
 
Luca Artioli, Anila Resuli, Michele Mari,
Jacopo Ninni & Agnese Leo, Enzo Campi
 
 
Pagina Evento su facebook
 
 
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Luca Artioli
 
È nato a Mantova nel 1976, dove tuttora vive.
Dal 2001 scrive su riviste on-line e siti a carattere letterario, curando rubriche dedicate a scrittori affermati ed esordienti.
Attualmente dirige il blog “Il Divano Muccato”, uno spazio dedicato a recensioni e interviste ad autori (http://ildivanomuccato.wordpress.com).
Fa parte del “Movimento dal Sottosuolo”, gruppo per l’unione delle arti, con sede a Montichiari (BS).
Presente in varie antologie sia di prosa che di poesia.
Ha all’attivo pubblicazioni monografiche.
In ambito poetico: “Fragili Apparenze” (TCM, Mantova 2005), “Suture – La poesia come resilienza” (Ed. Fara, marzo 2011) . Per la narrativa: “Come ladri di vento” (Ed. Albatros – Il Filo per la collana “La trama e l’ordito”, Roma 2012).
Il suo sito internet ufficiale è http://www.lucaartioli.it
 
 
Anila Resuli
 
È nata in Albania nel 1981, pubblicata su numerose riviste nazionali e internazionali, è presente in raccolte collettive quali: Nella borsa del viandante. Poesia che (r)esiste a cura di Chiara De Luca, 2009; nell’antologia di poesia ceca ed italiana Dammi la mano, gioia mia. Podej mi ruku, radosti moje Praha, Vicenza 2010; Sempre ai confini del verso. Dispatri poetici in italiano, Éditions Chemins de tr@verse, Francia 2011. È stata tradotta in portoghese per la rivista di San Paolo “Celuzlose N°5”, dalla poetessa Prisca Agustoni. Collabora a progetti di poesia con diversi poeti contemporanei ed è traduttrice di poesia albanese contemporanea. Nel 2009 fonda la prima editrice di ebook online Clepsydra Edizioni. Nel 2010 scrive la prefazione al libro Sulla via del labirinto di Alessio Vailati, edito da L’Arcolaio.
 
 
Michele Mari
 
È nato a Volta Mantovana nel 1986.
Scrive racconti, canzoni e poesie in italiano e in dialetto lombardo.
La domenica si occupa di cronache di calcio minore.
Ha un sito denominato www.lattadelbardo.it e realizza spettacoli.
Un suo racconto ha vinto l’edizione 2011 di Coopforwords.
Ha partecipato, sempre nel 2011, a RicercaBO.
 
 
Agnese Leo
 
Romana, classe ’77, cresce ad Ancona dove muove i suoi primi passi nel teatro di ricerca, proseguendo poi il percorso a Bologna, dove si forma e collabora con varie realtà teatrali regionali (ERT-EmiliaRomagnaTeatro Fondazione, Teatro Ridotto, Teatro San Martino, ecc) affinando soprattutto le tecniche d’emissione ed espressione vocale.
Dal 2010 inizia la sua collaborazione con il poeta-performer Jacopo Ninni e con il Collettivo Self Poetry, in qualità di lettrice ed organizzatrice di laboratori e performance. Partecipa lo stesso anno all’evento “eaux d’artifice” all’interno del Reggio Film Festival, a seguito del quale si apre la collaborazione con Enzo Campi nella creazione di letture collettive con alcuni poeti della casa editrice Smasher e, a seguire, nel progetto “Letteratura Necessaria – Esistenze & Resistenze”.
Intanto prosegue la sua attività d’organizzatrice d’eventi letterario-musicali in collaborazione con diverse realtà associative bolognesi
È vocalist del gruppo soul ADM e fa parte del coro di canto sociale Hard Coro de’ Marchi di Bologna
 
 
Jacopo Ninni 
 
È nato a Milano, vive a Vicchio (FI), dove scrive per il settimanale locale, suona e collabora con la biblioteca.
Ha pubblicato diversi racconti in antologie (Perrone editore) e in riviste come Toilet e Prospektiva.
Alcune sue poesie sono state selezionate per alcune antologie e segnalate o premiate in alcuni concorsi.
Collabora con l’attrice Agnese Leo ed è redattore del blog collettivo Poetarum Silva.
Diecidita (Smasher, Messina, 2011) è la sua opera prima.
 
 
Enzo Campi
 
È nato a Caserta. Vive e lavora a Reggio Emilia. Autore e regista teatrale. Critico, poeta, scrittore.
È presente in alcune antologie poetiche edite, tra gli altri, da LietoColle, Bce Samiszdat, Liminamentis. È autore del saggio filosofico Chaos – Pesare-Pensare, scaricabile sul sito della compagnia teatrale Lenz Rifrazioni di Parma. Ha pubblicato per Liberodiscrivere edizioni (GE) i saggi Donne – (don)o e (ne)mesi (2007) e Gesti d’aria e incombenze di luce (2008); per BCE-Samiszdat (PR) il volume di poesie L’inestinguibile lucore dell’ombra (2009); per Smasher edizioni (ME) il poemetto Ipotesi Corpo (2010) e la raccolta Dei malnati fiori (2011). È redattore dei blog La dimora del tempo sospeso e Poetarum Silva. Ha curato prefazioni e note critiche in diversi volumi di poesia. Dal 2011 dirige, per Smasher edizioni, la collana di letteratura contemporanea Ulteriora Mirari e cura l’omonimo Premio Letterario. È ideatore e curatore del progetto di aggregazione letteraria “Letteratura Necessaria – Esistenze e Resistenze”.
In fase di pubblicazione per Smasher edizioni: Il Verbaio – Dettati per (e)stasi a delinquere (terzo classificato Premio Giorgi 2010, finalista Premio montano 2011).
 
 
LETTERATURA NECESSARIA – ESISTENZE E RESISTENZE
 
 
Per una co-abitazione delle distanze:

In un’epoca dove ritornano a galla sempre più prepotentemente l’urgenza e il bisogno di rispolverare e ridefinire i concetti di comunità e condivisione, nasce il progetto di aggregazione letteraria  LETTERATURA NECESSARIA – ESISTENZE E RESISTENZE.

Lo scopo del progetto è essenzialmente quello di far CIRCOLARE i libri e le cosiddette “risorse umane” creando dei momenti di aggregazione, scambio e confronto che possano abbattere qualsiasi tipo di divisione ideologica, editoriale, di mercato, ecc., mettendo in comunicazione tra loro diverse e svariate realtà che operano nel settore o che sono impegnate in tal senso.
In parole povere si tratta di costituire una serie di poli geografici di riferimento disseminati lungo tutto l’arco del territorio nazionale. Ogni polo avrà un referente che si occuperà dell’organizzazione in loco e con il quale concordare gli autori (locali e nazionali) da coinvolgere e le modalità di realizzazione dell’evento.

Il progetto è diviso in varie fasi; ad una prima fase quasi esclusivamente performativa seguirà una seconda fase dove gli autori – per rendere ulteriormente “concreto” il concetto di aggregazione – verranno chiamati a leggere e presentare criticamente altri autori.

Visto che il progetto intende caratterizzarsi come un qualcosa di itinerante e ad ampio respiro si cercherà di organizzare e rendere fattiva una terza fase in cui gli autori che intendono contribuire alla realizzazione del progetto ma che si trovano territorialmente distanti e/o impossibilitati a partecipare direttamente agli eventi, potranno rendersi presenti anche nella loro assenza attraverso contributi fonici e visivi.
La quarta fase del progetto prevede la realizzazione di uno o due volumi antologici “comunitari” con contributi letterari e critici di diverse decine di autori che collaborano all’iniziativa. Nella fattispecie, ogni autore antologizzato si impegnerà a realizzare un evento nella propria città e, attraverso le risorse individuate dalla rete, inviterà autori territorialmente vicini a partecipare all’evento. Durante questi eventi, oltre a “spacciare” i contenuti del progetto e l’antologia cosiddetta comunitaria, gli autori coinvolti potranno eventualmente presentare le loro opere e eventualmente altri autori.

Quello che conta qui è una vera e propria “messa al lavoro” della letteratura. Semplificando e riducendo, si potrebbe dire che se le “esistenze” sono riconducibili ai libri, in quanto oggetti fisici, le “resistenze” rappresentano le “azioni” di quei “soggetti” fisici che producono i libri. Aggiungendo una sola caratterizzazione: il fatto di ostinarsi, per esempio, a produrre e a “spacciare” poesia, oggi come oggi, deve essere considerato come un vero e proprio “atto politico”. In tal senso ogni azione di questo tipo viene a rivestirsi di un plusvalore sociale. “Letteratura necessaria” è un progetto che vuole rendersi pratico, concreto e tangibile. Qui si tratta di far sì che la necessità di mettersi in gioco in prima persona diventi l’aspetto preponderante della diffusione della letteratura come atto corporeo, politico e aggregativo. L’idea di fondo è quella di ovviare alla sempre più imperante DISPERSIONE che caratterizza, in negativo, l’attuale panorama letterario nazionale e di creare una sorta di rete che permetta la costituzione e la ripetizione di eventi (“marchiati” e catalogati progressivamente in “azioni”) collegati tra loro ove far interagire realtà letterarie e realtà editoriali, in un regime non competitivo, ma collaborativo.

“Letteratura necessaria”, beninteso, non vuole essere un movimento tematico, ma pluritematico, volto a certificare la propria “esistenza” e a diffondere una sorta di “resistenza”. Resistenza a chi e a cosa? A tutto ciò che è privazione, restrizione, negazione, omologazione, ghettizzazione, a tutto ciò che lede i propri diritti, che ripropone gli stessi, triti e ritriti canoni letterari. In poche parole il progetto, almeno in fase concettuale, nasce “in costruzione” e crescerà sempre “in costruzione”, assorbendo e consolidando, di volta in volta, necessità, urgenze, tematiche e facendosi portavoce di messaggi che possano rientrare nei concetti di necessarietà, esistenza e resistenza.

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Finora, tra Bologna, Milano, Parma, Reggio Emilia, Roma, Capua (CE), Sasso Marconi (BO), sono state realizzate 11 azioni live che hanno coinvolto : Francesco Marotta, Enrico De Lea, Jacopo Ninni, Agnese Leo, Dina Basso, Nadia Agustoni, Ermanno Guantini, Silvia Molesini, Patrizia Dughero, Nina Maroccolo, Alessandra Cava, Anna Maria Curci, Cristina Annino, Vincenzo Bagnoli, Loredana Magazzeni, Luca Ariano, Viola Amarelli, Lucia Pinto, Marco Bini, Alessia D’Errigo, Annamaria Ferramosca, Ada Gomez Serito, Lorenzo Mari, Simonetta Bumbi & Orlando Andreucci, Stefania Crozzoletti, Antonella Taravella, Silvia Rosa, Roberto Ranieri, Marinella Polidori, Sergio Pasquandrea, Marco Palasciano, Daniele Ventre, Gianluca Corbellini, Valentina Gaglione, Enea Roversi, Martina Campi, Fernando Della Posta, Vittorio Tovoli, Francesca Del Moro, Meth Sambiase, Patrizia Rampazzo, Marco Ruini, Claudio Bedocchi.

Le attività proseguiranno ad aprile con un’altra azione a Verona e a maggio con altre 6 azioni tra Torino, Milano, Verona e Bologna. Sono in fase di costruzione altre azioni tra Marche, Veneto, Emilia Romagna e Lombardia.

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E’ stato costruito un blog per documentare le attività del gruppo, per segnalare altri eventi e per pratiche di divulgazione letteraria.

 
 
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